Il 31 ottobre è scomparso Remo Ceserani. Uno dei maggiori critici italiani, aveva insegnato a Berkeley, Harvard e Stanford
Con Lidia De Federicis ha pubblicatoi 10 volumi del manuale «Il materiale e l’immaginario».
Probabilmente la cosa per cui Ceserani rimarrà sono i dieci volumi, curati insieme a Lidia De Federicis, di Il materiale e l’immaginario – un’antologia scolastica uscita per Loescher che, alla fine degli anni Settanta, proponeva nuovi metodi e percorsi per lo studio della letteratura.
COM’È FATTO IL MATERIALE E L’IMMAGINARIO
Ma io lo ricordo per altre due cose. La prima è un suo libro, uno tra i tanti che pubblicò: si chiama Raccontare il postmoderno ed è il primo tentativo organico, in Italia, di studiare un fenomeno letterario che da noi è arrivato tardi, negli anni Ottanta. Per la prima volta, nei libri di un accademico comparivano nomi come DeLillo e Pynchon, e si parlava di concetti come serialità, consumo, nostalgia della storia. Era una piccola rivoluzione, che si accompagnava ad altri titoli affascinanti, in cui Ceserani studiava il rapporto tra l’immaginario (parola che ricorre spesso nei suoi scritti) e, per esempio, i treni: Treni di carta va a scovare, nella letteratura moderna e contemporanea, la presenza dei treni, ne studia la funzione, il rapporto con i personaggi. Il treno – simbolo della modernità – è malvagio in Tolstoj, e in Anna Karenina compare due volte: la prima come un presagio funesto all’arrivo dell’eroina a Mosca; la seconda come la macchina che schiaccia Anna e la uccide. È invece esaltato dai futuristi, che volevano cucinare tutto al “vapore della modernità”. E così via. Ceserani ha aperto, con questi studi che non sono pionieristici (negli Usa, dove ha prima studiato, con René Wellek, e poi insegnato, cose del genere si fanno da molto tempo), delle nuove prospettive al mondo accademico italiano.
L’altra cosa è Paolo Zanotti.
CHI ERA PAOLO ZANOTTI, E IL PREMIO A LUI DEDICATO
Ho incontrato Ceserani un paio di volte, e in entrambe le occasioni c’entrava la morte di Paolo. Me lo ricordo vecchio, rallentato, nell’inverno del 2013, un anno dopo che Paolo se n’era andato mentre, nella sala comunale del paesino vicino a Novara dove Paolo era nato e dove era tornato a morire, raccontava di quel suo ex allievo stralunato e bravissimo a cui non era riuscito a trovare un posto in accademia; ne parlava come di un ragazzo talentuoso, da coltivare (Paolo aveva 41 anni), che aveva però già dato un contributo decisivo alla comparatistica. C’era, in quell’occasione, quel tono celebrativo che rende tutto dovuto e falso: ma Ceserani sembrava davvero il nonno che ha perduto il nipote, e il rimpianto che si sentiva nella sua voce era un rimpianto vero.
Noto solo adesso, mentre scrivo questo strambo necrologio tenendo i volumi di Ceserani accanto, che il nome di Paolo compare nella bibliografia di Raccontare il postmoderno: è un libretto scritto a sei mani e che si intitola Strade ferrate – probabilmente un lavoro preparatorio a Treni di carta che Ceserani commissionò ad alcuni suoi allievi (era il 1995, Paolo aveva 24 anni). Non ho cominciato questo pezzo con questa intenzione: volevo raccontare che cosa mi rimarrà di Ceserani ora che è morto, e non avevo pensato a Paolo. Ma Paolo è arrivato quasi subito, e ora vedo che il suo nome è nella bibliografia di uno dei libri di cui ho parlato; non solo: tratta dell’altro argomento che mi è caro.