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Scienze umane

Quando l'indifferenza prevale: l'effetto spettatore

Esattamente 50 anni fa, a New York, la ventottenne Kitty Genovese viene brutalmente uccisa sotto gli occhi di decine di persone, che rimangono a guardare senza intervenire. Ne nasce un caso mediatico, a cui fanno seguito approfonditi studi di psicologia sociale: viene così teorizzato l'effetto spettatore, ancora oggi al centro di numerose ricerche.
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Negli ultimi anni si è molto discusso di casi di bullismo nelle scuole e in rete, anche per effetto del potere virale di alcuni video che riprendevano scene di sopraffazione psicologica e spesso anche fisica. Studiando questi episodi, sono stati identificati dei ruoli che si ripropongono sempre uguali, con piccole variazioni: oltre al bullo e alla vittima, ci sono degli spettatori che a seconda del contesto scelgono se sostenere il bullo, contrastarlo, o assistere osservando alla scena.

Questi comportamenti sono diffusi non solo tra i ragazzi, ma anche tra gli adulti, e ben noti alla psicologia sociale che da decenni indaga la reazione delle persone di fronte a eventi che dovrebbero determinare l’intervento di chi assiste.

Un omicidio che fa discutere l'America Sono le tre del mattino del 13 marzo 1964 quando la ventottenne Kitty Genovese sta tornando, a bordo della sua Fiat rossa, verso casa a Kew Gardens, nel Queens, un tranquillo quartiere residenziale di New York. A un semaforo viene notata da un uomo, Winston Moseley, che si accoda all’auto della Genovese, e una volta che è scesa dalla macchina, la insegue e la aggredisce colpendola più volte con un coltello. La ragazza grida e chiede aiuto. Si ode una voce dai palazzi che intima all’aggressore di lasciare in pace Kitty. Moseley risale in macchina e si allontana, ma dopo poco torna sul luogo dell’aggressione. Kitty, gravemente ferita, si è trascinata nel frattempo fin sul retro del suo palazzo. Moseley la trova e la colpisce ancora ripetutamente, lasciandola in fin di vita. È passata più di mezz'ora dalla prima aggressione. Un vicino chiama finalmente la polizia, ma la ragazza muore durante il viaggio in ambulanza verso l’ospedale.
In questo video si ricostruisce la dinamica dell’omicidio di Kitty Genovese.
L’inchiesta che getta un’ombra su un’intera comunità Il caso si guadagna solo qualche riga sulla cronaca dei quotidiani. Ma due settimane dopo un’inchiesta del New York Times firmata da Martin Gansberg scatena un moto di sconcerto e indignazione in tutto il paese: un’intera comunità, quella dei palazzi intorno all’abitazione di Kitty Genovese, finisce sotto accusa. Almeno 38 persone, nella ricostruzione fatta dal giornalista dell’autorevole quotidiano newyorkese, avrebbero assistito dalle loro finestre alla violenza e alle grida disperate di aiuto della vittima, senza intervenire o chiamare la polizia. Il caso Genovese diventa subito la metafora dei mali della civiltà urbana contemporanea, che genera indifferenza e un apatico distacco rispetto alle sorti degli altri.
Ritratto di Kitty Genovese realizzato dalle gemelle Rebecca e Alexandra Chipkin, Kew Gardens, NY, 2005 (immagine: Wikipedia)
Va ricordato il contesto storico e sociale del 1964: la società americana è ancora scossa dall’omicidio del presidente John Fitzgerald Kennedy avvenuto pochi mesi prima, nel quartiere afroamericano di Harlem siamo alla vigilia di una rivolta, e si diffondono timori di criminalità in aumento. In anni recenti, tuttavia, è emerso che l’inchiesta pubblicata sul New York Times era viziata da diverse imprecisioni nella ricostruzione del delitto ed errori nella valutazione del numero di osservatori realmente consapevoli di ciò che stava accadendo, come racconta questo articolo del New Yorker. Ma il caso Genovese era destinato ad avere un’influenza vasta sulla società americana e non solo. L'effetto spettatore La vicenda di Kitty Genovese diventa ben presto materia di studio per gli psicologi, che cercano di spiegare il comportamento delle persone che assistettero all'omicidio. Gli psicologi statunitensi John Darley e Bibb Latané conducono negli anni successivi una serie di esperimenti (come quello del fumo o quello dell'attacco epilettico) per verificare le reazioni delle persone in condizioni di emergenza. Anche in condizioni controllate, di laboratorio, si verificano reazioni apatiche, di assenza di intervento, dettate dalla presenza di altre persone sulla scena: ciascuno nota che gli altri non intervengono, e si convince che non ve ne sia la necessità. I due psicologi coniano il termine “effetto spettatore” (bystander effect) per descrivere questo tipo di reazioni, e introducono concetti come l’ignoranza pluralistica e la diffusione di  responsabilità.
In questo video viene condotto un esperimento in un contesto di vita quotidiana per vedere come reagiscono le persone.
Ancora oggi psicologi e sociologi continuano ad approfondire l’analisi dell’effetto spettatore. Un esempio è questo recente studio inglese, che ha coinvolto 40 tifosi della squadra di calcio dell’Arsenal impiegando un ambiente di realtà virtuale, come quello mostrato qui sotto, per testare le reazioni delle persone.
Un esperimento di psicologia sociale che utilizza la realtà virtuale (immagine: UCL)
Altri esperimenti celebri (e controversi) di psicologia sociale Più o meno negli stessi anni in cui si iniziava a indagare l’effetto spettatore, venivano condotti altri esperimenti che hanno fatto la storia della psicologia contemporanea. Tra questi quello ideato da Stanley Milgram per analizzare l’atteggiamento di obbedienza all’autorità (in questo video viene riprodotto l’esperimento). Siamo nel 1961, e pochi mesi prima era iniziato a Gerusalemme il processo contro il criminale nazista Adolf Eichmann (sul quale la filosofa Hannah Arendt scriverà La banalità del male), e l’esperimento messo a punto nel dallo psicologo dell’università di Yale era un tentativo di rispondere alla domanda: “È possibile che Eichmann e i suoi milioni di complici stessero semplicemente eseguendo degli ordini?”. Una decina di anni dopo un altro psicologo dell’università di Stanford, Philip Zimbardo, conia il termine “effetto Lucifero” per descrivere i risultati del suo sconvolgente esperimento. Di questo studio si è tornato a parlare in occasione delle torture perpetrate da soldati statunitensi nella prigione irachena di Abu Ghraib. Questi e altri esperimenti di psicologia sociale condotti fino ai primi anni settanta del secolo scorso oggi non sarebbero possibili, per motivi etici e di appropriatezza. Ma ci hanno fornito indizi preziosi e un’ampia materia di indagine sulla natura umana. Immagine in apertura: "Indifference" di salomonrbc (via Flickr)
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