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Lettere classiche

Fuori dalla storia, ovvero delle donne e del mito

Le donne nelle antiche società greche e romane hanno avuto un ruolo marginale sul piano politico, ma nei miti e in alcune opere alcuni ruoli decisivi sono giocati da figure femminili. Non è un caso che nel pantheon dell'antica Grecia ci siano figure femminili come le Moire e Dike il cui potere era paragonabile a quello di Zeus
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Una premessa storica Le antiche società classiche, quella greca e quella romana, hanno riconosciuto e assegnato ruoli sociali marginali alle donne. L'ipotesi di un originario matriacato è tramontata da tempo, perché (parrebbe) poco fondata. Ed è ancora una volta un dato di fatto che figure femminili di rilievo spicchino, nelle culture classiche, nel racconto del mito più che nelle vicende della storia.
Sulla condizione della donna nelle società classiche è ormai un punto di riferimento il libro di Eva Cantarella "L'ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell'antichità greca e romana". Roma 1981
"Confinamento" nel mito L’epica greca non concede troppo spazio a figure femminili, salvo pochi casi, e soprattutto nell’Odissea (Elena, Nausicaa, Circe, Penelope; nell’Iliade è certamente Andromaca la figura di spicco). Né l’epica romana sembra fare di meglio (la tragica Didone è l’unica figura di rilievo nell’universo, in fondo tutto maschile, dell’Eneide). Un primo momento di stupore è tuttavia offerto dal teatro ateniese. La tragedia attica è piena di eroine, fin quasi alla saturazione, alcune di statura notevole (e non casualmente con una capacità di persistenza nella letteratura posteriore assolutamente eccezionale): Antigone e Medea, al centro nelle omonime tragedie rispettivamente di Sofocle e di Euripide, sono figure che oramai appartengono a quella che usa definire World-literature, “letteratura mondiale”, appannaggio non più di una singola cultura, ma patrimonio comune di tutti. Più significativo il fatto che, con una buona frequenza, sono cori di donne a dare il titolo alle tragedie: Fenicie, Supplici, Trachinie, Troiane eccetera.
Per le sopravvivenza del mito di Medea, si veda B. Gentili, F. Perusino (a cura di), Medea nella letteratura e nell'arte, Venezia 2000
Divinità femminili Eppure nell’immaginario antico la donna doveva avere una centralità ben superiore a quanto riusciamo a intravedere. Risulta dalle figure divine di sesso femminile, incarnazione o ipostasi di potenze allo stesso tempo creatrici e distruttrici, positive e negative. Alcuni mitemi paiono indicare piuttosto chiaramente il ruolo primario del sesso femminile nella creazione e nella configurazione dell’ordine cosmico e sociale: il destino umano è consegnato alle Moire; la giustizia è nelle mani di Dike; le persecutrici dei delitti di sangue sono le Erinni. Tutte divinità femminili, che sono a guardia di un ordine che evidentemente la razionalizzazione di un pantheon al maschile, con Zeus assiso nel centro, non bastava a garantire. La capacità unica ed esclusiva della donna di procreare e generare resta, a ogni modo, la più divinizzata, nelle sue varie ipostasi e declinazioni, da Gaia a Demetra, da Afrodite a Era. Ed è esattamente questa specificità biologica femminile che ha prodotto una specie di complesso di inferiorità nell’orizzonte mentale dell’uomo: questo pare doversi leggere dietro i miti di partenogenesi maschile (e forse anche dell’ermafroditismo), tentativi più o meno goffi di eliminare completamente la donna dallo scenario culturale umano, privandola (o cercando di privarla) anche di quella capacità che l’uomo non ha e di cui vuole appunto appropriarsi. Ma questo non poteva essere: e dalla partenogenesi di Zeus nasce Atena, una dea. Un caso non limite: l’accettazione del punto di vista maschile Nella storia di Roma, dove a tratti qualche nome femminile emerge, è particolarmente interessante una figura di donna, Cornelia “madre dei Gracchi” (definizione, questa, diventata quasi un epiteto fisso), di cui intraprese moraleggianti e tentativi di edificazione ‘al femminile’ antichi e moderni si sono variamente appropriati, tanto da farne un modello (più o meno fasullo) di madre ideale. Cornelia aveva un’ascendenza genealogica dal peso specifico notevole: tra i sui maiores si contano il padre, P. Cornelio Scipione l’Africano; il nonno paterno e quello materno, due ex consoli, entrambi caduti nella seconda guerra punica (l’uno in Spagna, l’altro al comando dell’esercito romano a Canne); Scipione l’Asiatico (suo zio paterno), vincitore di Antioco il Grande; lo zio materno Emilio Paolo, vincitore del re di Macedonia. A fronte di questo lignaggio, le fonti ci rappresentano l’immagine di una donna ossessionata dal prestigio familiare e dall’ansia che i propri figli riuscissero a emularlo e incrementarlo; Cornelia era tanto condizionata da questa ‘pressione’ familiare da non potersi sottrarre all’accettazione di quella tendenza a far coincidere il proprio comportamento con le aspettative sociali legate al cognomen, conformandosi in toto (consapevolmente o inconsapevolmente) alla logica delle gentes romane e segnatamente dell’ambiente scipionico. Un aneddoto su di lei, riferito da Plutarco nella Vita di Caio Gracco (8. 7), illustra emblematicamente la percezione di sé e la proiezione del proprio ruolo: la matrona si lamenta perché «i Romani continuavano a chiamarla figlia di Scipione e non ancora madre dei Gracchi». Da queste sue parole emerge da un lato il peso schiacciante dell’ascendenza familiare, dall’altro l’aspettativa ansiosa coltivata sui figli; da un lato la negazione della sua individualità da parte della società (non esiste Cornelia: lei è la figlia di Scipione), dall’altro il tentativo di sottrarsi a questa specie di limbo esistenziale attraverso l’affermazione di un ruolo sociale altro, per quanto sempre non autonomo: Cornelia vuol essere ricordata appunto come mater Gracchorum, di fatto perpetrando e ribadendo il modello avito e virile di nobilitas. La donna, diluita in questa logica tutta maschile, agli occhi propri (e della storia) semplicemente non esiste.
Sulla donna nella società romana, una prima sintetica informazione è rintracciabile a questo link  Sulle donne romane famose (di fatto eccezioni), con informazione non sempre accurata, ma con presentazione d’effetto c'è questo articolo sul blog NanoPress Un video sulle matrone lo puoi trovare cliccando qui
 Immagine di apertura: Dioniso e le Ore, Museo del Louvre (via Wikipedia) Immagine del box: John Strudwick, "Un filo prezioso". Olio su tela, 1885. (via Wikipedia)
Dionysos_Horai_Louvre_MR720
Hera_Campana_Louvre_Ma2283
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