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Il cattivo esempio. I libri per l’infanzia che hanno fatto l’Italia

Il tempo libero dell'infanzia non è fatto solo di giocattoli e giochi, ma anche di letture. Da Pinocchio a Harry Potter, i libri che hanno fatto la storia di intere generazioni di bambini e di ragazzi
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Il giorno e la notte

Forse non tutti sanno, o meglio, forse non tutti ricordano che Pinocchio, il libro italiano più famoso nel mondo insieme alla Commedia di Dante, è un libro a tratti brutale, violentissimo. Collodi cominciò a pubblicarlo a puntate sul “Giornale dei bambini”, nel 1881, e fu subito criticato per via dei comportamenti poco ortodossi del protagonista e degli altri personaggi, che non davano certo il buon esempio ai lettori. Così, dopo un pugno di capitoli, Collodi decise di porre fine alla storia del burattino. Ma c’erano due problemi: anzitutto, la storia finiva in modo crudele – il Gatto e la Volpe impiccavano Pinocchio e lo lasciavano lì, appeso a un albero, morto; poi, a dispetto di quanto pensavano e scrivevano i pedagoghi e, in generale, gli adulti, che lo ritenevano un libro diseducativo e immorale, i bambini avevano dimostrato di adorare questa storia sgangherata e brusca, dove un burattino subisce di continuo violenze e truffe e si lascia trascinare dalle cattive compagnie in regni di perdizione e vizio. Così, su esortazione del “Giornale dei bambini”, Collodi riprese in mano la penna, resuscitò Pinocchio, lo fece andare per mare, gli mise orecchie e coda d’asino, gli fece fronteggiare la perdita (del padre), la morte (della fata), gli fece fare sempre la scelta sbagliata, lo fece disperare e alla fine lo premiò: era passato attraverso grandi prove e gravi errori, aveva capito come si sta al mondo e si era redento, meritandosi di diventare un bambino vero. È però curioso che, nel 1890, quando Collodi morì, il quotidiano fiorentino “La Nazione” evitasse di parlare di Pinocchio nell’articolo che commemorava lo scrittore. Qualcuno non lo aveva perdonato.
Oggi c’è perfino un parco dedicato a Pinocchio: si trova a Collodi, vicino a Pistoia. Clicca qui per visitare il sito del parco
Sei anni più tardi, nel 1896, arrivava il libro didattico per ragazzi perfetto: Cuore, una lezione di morale che per quasi un secolo sarebbe stata la lettura per eccellenza nelle scuole italiane. Un vero racconto edificante, dove si piange anziché far marachelle, dove i bambini buoni pensano ciò che gli adulti credono sia giusto che pensino, dove trionfano i buoni sentimenti. Edmondo De Amicis lo scrisse con la piena coscienza di voler costruire una storia educativa, pedagogica. Tutti siamo cresciuti con il libro Cuore; molti sono cresciuti, invece, senza aver letto la versione originale di Pinocchio: considerano bastante l’edulcoratissima versione Disney, o qualche riduzione illustrata. Invece Pinocchio e Cuore, le due colonne portanti dei libri per l’infanzia italiani, sono il giorno e la notte della nostra letteratura per i più piccoli: nel primo si osa, si mettono in scena cose terribili, nel secondo si insegna, si danno norme di comportamento.
Clicca qui per leggere un "come te lo spiego" di Andrea Tarabbia su Edmondo De Amicis
 

I libri che hanno fatto l’Italia

Traggo molte di queste notizie da un volume, pubblicato nel 2011 da un’associazione culturale bolognese, Hamelin, che è uno dei centri studi più avanzati sulla letteratura per ragazzi, non solo in Italia. Il volume si chiama I libri per ragazzi che hanno fatto l’Italia, ed è stato pubblicato in occasione dei 150 anni della nascita della nazione.
Clicca qui per accedere al sito dell'Associazione Hamelin
Vi si trova, per ogni decennio della nostra storia, l’elenco ragionato dei titoli che, per diffusione, hanno contribuito a plasmare l’immaginario degli italiani. In altre parole: noi siamo il popolo che siamo perché, nel corso della nostra storia, abbiamo avuto delle letture in comune che ci hanno formato e che sono un patrimonio comune della collettività. La tentazione, leggendo il libro, è quella di costruire una biografia degli italiani attraverso i libri che hanno sicuramente letto: Pinocchio, Cuore, il ciclo di Sandokan di Emilio Salgari, Gian Burrasca, un certo Buzzati, le Fiabe italiane raccolte da Calvino, le Favole al telefono di Gianni Rodari. Tutti ci siamo passati almeno una volta, tutti li conosciamo: dunque sono un nostro patrimonio “genetico” comune, soprattutto perché li abbiamo letti mentre eravamo piccoli e siamo cresciuti con loro. Ci siamo formati sull’idea che le bugie allunghino il naso, o che ci sia un pirata malese che solca i mari brandendo una scimitarra, o che la Sicilia sia stata all’improvviso invasa da un branco di orsi rimasti senza cibo o, ancora, che esitano palazzi fatti di gelato e cifre astronomiche come il meraviglione.
Clicca qui per maggiori approfondimenti su Dino Buzzati, autore di "La famosa invasione degli orsi in Sicilia" E qui per vedere un commento di Marco Baliani al libro
 

Gli stranieri in Italia

Ma non di soli libri scritti nella nostra lingua sono “fatti” gli italiani, anzi: sono molti e sempre di più i volumi stranieri che sono entrati nel nostro immaginario. Pensate ad Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll (pubblicato nel 1865 e tradotto in italiano nel 1912), a Piccole donne di Louisa May Alcott (1868/1908), a Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne (1870/1908), a L’isola del tesoro di Robert L. Stevenson (1883/1886), a Il libro della giungla di Rudyard Kipling (1894/1903), a Il richiamo della foresta di Jack London (1903/1927), a Peter Pan di J.M. Barrie (1906/1919), a Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry (1943/1949): quasi tutte tradotti in italiano con clamoroso ritardo, sono oggi delle storie paradigmatiche, esemplari. Sembra che esistano da sempre, perché sempre ci sono state per noi che ne siamo stati lettori giovanissimi. Come sembra che esista da sempre la saga di Harry Potter (1997-2007), che tutti quelli che hanno meno di trent’anni hanno letto come i più anziani hanno letto Jack London.  

L’irregolare che viene dal nord

Roberto Denti, che è stato, oltre che libraio, un grande scrittore di libri per l’infanzia, racconta nell’introduzione al volume di Hamelin di un caso tutto sommato simile a quello che travolse Pinocchio: nel 1958 fu pubblicato in Italia Pippi Calzelunghe, scritto nel 1945 dalla svedese Astrid Lindgren. Pippi è una bambina di nove anni che vive sola insieme a una scimmia e un cavallo, e che, come Pinocchio, è insofferente alle regole. Non le importa di non avere i genitori, mangia quando le pare e cosa le pare, non va a scuola e possiede tesori. Ottant’anni dopo Pinocchio un altro personaggio per bambini arrivava a dare il cattivo esempio e far storcere il naso ai benpensanti. Pippi è diseducativa! Eppure, anche grazie a dei fortunatissimi telefilm, Pippi divenne presto un’icona per l’infanzia.
Clicca qui per leggere un articolo sulla storia di Pippi Calzelunghe 
 

Il potere diseducativo dei libri

Ma perché molti libri per bambini e ragazzi sembrano raccontare storie terribili o diseducative? Forse perché sono storie catartiche: i personaggi si comportano come, a volte, vorremmo comportarci noi senza poterlo fare; leggere le loro vite è dunque sufficiente per sfogarci e per farci sentire liberi. Ma forse c’è di più, forse la spiegazione sta rinchiusa nella più magica di tutte le formule: C’era una volta. Immaginate che qualcuno vi racconti la storia di una bambina molto piccola che vive sola con la madre sul limitare di un bosco; immaginate che la madre le chieda di attraversare il bosco da sola portando del cibo alla nonna ammalata, che abita dall’altra parte del bosco; immaginate che la bambina, inoltrandosi nella foresta, abbia paura di incontrare un lupo; immaginate che il lupo esista e che divori la nonna e attenda l’arrivo della bambina; immaginate che il lupo divori anche la bambina; immaginate che un cacciatore di pelli, passando vicino a casa della nonna, senta il lupo russare, si insospettisca, lo uccida e lo squarti liberando nonna e nipote, e che tutti e tre festeggino pasteggiando accanto al cadavere della bestia. È una storia terribile, macabra, che nessuno, credo, racconterebbe a un bambino. Eppure, l’avrete capito, è Cappuccetto rosso, forse la fiaba per antonomasia: la ascoltiamo a due, tre anni, e non abbiamo paura (forse solo un po’, ma solo la prima volta che ce la raccontano). Perché? Perché è introdotta dalla formula magica: C’era una volta apre ogni volta uno spazio immaginifico, sospeso, un mondo parallelo dove i lupi parlano, le streghe esistono, le case sono fatte di marzapane e gli eventi che accadono sono spesso atroci ma hanno un lieto fine. Uno comincia con C’era una volta e può raccontare qualunque cosa: “Le cose terribili che stai ascoltando non accadono qui” dice la formula magica, “Non ci sono davvero, appartengono a un altro spazio e a un altro tempo, e tu sei al sicuro da loro: sono soltanto un simbolo, ti divertono e ti spaventano ma non accadono; nascondono infine, se lo vorrai ascoltare, un insegnamento morale”. Crediti immagini: Apertura: prima pagina di Alice nel Paese Delle Meraviglie, con un'illustrazione di Carrol (da Wikipedia) Box: illustrazione di Pinocchio (da Wikipedia)
Alice's_adventures_under_ground,_p_1
Pinocchio

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