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Lettere classiche

Dalla linguistica alle migrazioni

Per capire la distribuzione dei popoli e delle lingue parlate gli studiosi dell'Ottocento elaborarono il cosiddetto modello di migrazione-conquista. Oggi però il modello è in crisi, smentito dalla genetica e dalla paleoetnobotanica

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Nella ricostruzione della preistoria e della protostoria europee il fenomeno della ‘migrazione’ è stato ripetutamente invocato per spiegare un assetto storico successivo, già noto. Il flusso migratorio è stato inteso, ora implicitamente, ora esplicitamente, come spostamento di una consistente massa umana, spesso guidata e accompagnata da una classe di guerrieri a cavallo, il cui esito obbligato era la conquista e l’occupazione permanente del territorio di arrivo. Questa idea di migrazione-conquista è stata la cifra di lettura più solitamente utilizzata fino ad almeno la metà del secolo scorso per spiegare la distribuzione delle lingue e dei popoli indoeuropei in area eurasiatica: solo l’ipotesi di uno spostamento sembrava (e in parte tuttora sembra) rendere ragione delle discontinuità linguistiche e degli iati culturali che si rilevano.  

La linguistica comparativa e il protoindoeuropeo

Questo “modello migrazionista” di ricostruzione storica molto deve alla linguistica dell’Ottocento. Grazie agli studi (non solo, masoprattuto) di Friedrich von Schlegel e Franz Bopp furono gettate le basi per un’analisi linguistica scientifica su base comparativa: il confronto sistematico tra parole appartenenti a lingue diverse portò a rilevare legami e origini comuni, e tali relazioni tra lingue fisicamente distanti nello spazio e nel tempo furono intese come rapporti di parentela secondo un modello descrittivo ad albero genealogico (il cosiddetto Stammbaumprinzip, “Principio dell’albero genealogico”, appunto), alla cui base era collocato un protoindoeuropeo. Per dirla in altri termini: le coincidenze e le parentele lessicali tra lingue diverse stavano a dimostrare che doveva esistere un progenitore comune: il protoindoeuropeo.

Un esempio di comparazione: la prima persona singolare dell’indicativo presente del verbo “portare”: inglese 'bear'; antico alto tedesco 'biru'; antico slavo 'bera'; sanscrito 'bharami'; greco 'phero'; latino 'fero'. Una sintesi delle tappe fondamentali della linguistica comparativa può essere trovata a questo sito

Dalla linguistica alla ricostruzione storica

Il ragionamento indotto dalla linguistica, semplificato al massimo, è stato il seguente: se è esistita una protolingua indoeuropea, è esistito anche un popolo protoindoeuropeo, stanziato da qualche parte nell’area eurasiatica, dal quale devono discendere tutti i popoli e tutte le lingue indoeuropee; se in situazione storica ci troviamo di fronte a tante lingue e tanti popoli indoeuropei, è perché, evidentemente, singoli gruppi si sono separati da questo gruppo originario, per evolversi linguisticamente e culturalmente in maniera propria. Ed eccoci al punto che interessa: separazione = spostamento = migrazione. La linearità di questa linea di ragionamento ha avuto presa immediata in ambito archeologico e storico: la comparsa di nuovi oggetti materiali in una certa area geografica,come ad esempio un nuovo tipo di ceramica, sembrava spiegabile solo supponendo l’arrivo di una nuova popolazione portatrice di quel fatto di cultura. E precisamente in questo modo si è arrivati ad affermare che i primi gruppi parlanti greco sono arrivati in Grecia intorno al 1900 a.C. E sempre declinando il modello della migrazione-conquista è stato spiegato il crollo del mondo miceneo e l’arrivo dei Dori in Peloponneso e a Creta, come vedremo più avanti.  

La crisi di un modello

Ma il modello migrazionista non ha retto alla prova dei fatti. Il progresso degli studi in linguistica ha portato a individuare la presenza di prestiti e di punti di contatto mediani che in vari casi impediscono di ricostruire filiazioni e derivazioni recta via di una lingua dall’altra, modificando i rapporti di parentela e conseguentemente gli spostamenti presunti o da presumere. Alcuni assunti passati dell’archeologia sono stati dimostrati sbagliati, in primis il fatto che a una cultura materiale si debba associare un popolo parlante una certa lingua, e quindi che a ogni nuovo fatto di cultura materiale si debba associare la comparsa di un nuovo gruppo umano: è stato dimostrato che certi manufatti e/o tecnologie si sono diffusi per contatto in aree diverse senza che ci sia stato alcun trasferimento di popolazione o di lingua: a passare da un luogo a un altro, in parole semplici, è stato unicamente l’oggetto. L’individuazione di culture esito di integrazione progressiva di gruppi umani diversi ha ulteriormente smontato l’idea della migrazione-conquista come modello applicabile alla ricostruzione storica sempre e comunque. Per non parlare dei fatti di “acculturazione” indagati dall’antropologia.  

L’arrivo della genetica e il modello “onda di avanzamento”

Gli studi di genetica e di paleoetnobotanica hanno definitivamente affossato il modello della migrazione. Una nuova spiegazione degli assetti storico, culturale e linguistico dell’Europa è stataavanzata per la prima volta da Colin Renfrew, che ha messo a frutto non solo i dati dell’archeologia e i nuovi dati della linguistica, ma anche le ricerche in campo genetico di Luigi Luca Cavalli Sforza. Ecco i fatti in estrema sintesi: la distribuzione dei vari popoli in area europea è da collegare alla diffusione dell’agricoltura; le prime tracce di pratiche agricole sono documentate in Grecia e a Creta intorno al 6000 a.C. Di qui l’agricoltura e con essa la popolazione agricola si sarebbe diffusa in tutta Europa, seguendo un modello a “onda di avanzamento”: nessuna migrazione di massa organizzata, nessuna conquista, nessuno spostamento consistente, ma semplici nuclei familiari (o simili) che si spostano di 20-30 km per occupare nuovo spazio sfruttabile. Se ogni nuova generazione si sposta semplicemente ‘un po’ più in là’ rispetto al luogo di dimora dei genitori, nell’arco di qualche generazione la distanza tra il primo gruppo agricolo e l’ultimo è di centinaia di km, e nel giro di un paio di migliaia di anni si arriva a popolare l’Europa intera di discendenti di quel primo gruppo di agricoltori.

Per la continuità, linguistica e insediativa, dal paleolitico all’epoca storica in area Europea, senza ipotesi migrazioniste, ampia informazione e raccolta di materiale a questo sito.

Questa ricostruzione spiega molto plausibilmente la diffusione di alcune omologie e similarità sia linguistiche che materiali quali si rilevano in epoca successiva. Inoltre, eliminando lo spostamento di masse consistenti in un unico momento storico, cioè rinunciando all’idea della migrazione-conquista, e introducendo l’ipotesi di una penetrazione lenta e graduale, di piccole ondate successive che arrivano e si insediano in un ambiente, si spiegano meglio alcune sequenze storiche. Torniamo al caso esemplificativo dei Dori in Peloponneso. Da un punto di vista archeologico, i Dori non esistono: non sono portatori di una cultura materiale altra rispetto a quella preesistente, ovvero non ci sono tracce tangibili di una loro migrazione né marcatori che consentono di individuarli. Solo le tradizioni mitiche greche legate al ritorno degli Eraclidi, i figli di Eracle, informano sulla “migrazione dorica”. Come spiegare che i Dori sono proprio lì dove prima erano i Micenei senza che sia rilevabile un loro passaggio in termini materiali? E che i Dori siano almeno linguisticamente diversi dai Micenei è acclarato dalla dialettologia greca. Se ipotizziamo non l’arrivo in massa di un gruppo di conquistatori, ma la penetrazione in area peloponnesiaca di piccoli gruppi, di piccole ondate successivedi individui che si stabiliscono e si integrano culturalmente nel nuovo territorio, magari dapprima come realtà marginale, poi con consistenza maggiore, fino a che un gruppo minoritario diviene gruppo dominante (demograficamente e/o politicamente) la questione è risolta. Del resto, fenomeni simili di penetrazione lenta e graduale sono chiaramente rilevabili ora in molti paesi europei, Italia compresa. E le dinamiche demografiche, sociali, politiche e culturali latosensu legate a questi gruppi hanno da più punti di vista posto in essere dinamiche per una nuova etnogenesi. Sentir parlare lingue diverse dall’italiano, vedere negozi ‘etnici’, aver inserito nella nostra dieta cibi semplicemente sconosciuti 15 o 20 anni fa, è un’esperienza sotto gli occhi di tutti. Nel giro di qualche generazione, la combinazione genetica farà il resto.

Per i dati, si veda il dossier a questo link (rapporto immigrazione, sintesi)

Crediti immagine: Apertura e box: Wikimedia Commons

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