Aula di Lettere

Aula di Lettere

Percorsi nel mondo umanistico

Sezioni
Accad(d)e che
Come te lo spiego
Interventi d'autore
Il passato ci parla
Sentieri di parole
Nuovo Cinema Paini
Storia di oggi
Le figure retoriche
Gli antichi e noi
Idee didattiche digitali
Le parole dei media
Dall'archivio
Tutti i temi del mese
Materie
Italiano
Lettere classiche
Storia e Geografia
Filosofia
Storia dell'arte
Scienze umane
Podcast
Chi siamo
Cerca
Scienze umane

L’uomo flessibile: Richard Sennett e la fine del lavoro a lungo termine

Spesso in merito di lavoro si sente parlare di flessibilità. Di cosa si tratta? Lo spiegò vent'anni fa il sociologo americano Richard Sennett nel saggio "L'uomo flessibile" che analizzava gli effetti della flessibilità sui rapporti di lavoro
leggi
Da un paio di decenni il linguaggio dell'economia e del mondo del lavoro si è arricchito di una nuova parola: “flessibilità”. A chiarire il suo significato è il sociologo Richard Sennett, autore di un fortunato libro intitolato non a caso L'uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale (pubblicato nel 1998 e in Italia da Feltrinelli nel 1999).  

Il male della routine

Tra Settecento e Ottocento gli economisti più accorti, come Adam Smith e Karl Marx, si accorsero che il tempo del lavoro e la routine influenzavano profondamente l'intera esistenza del lavoratore. Smith riteneva che il lavoro routinario reprimesse la simpatia, la capacità umana di provare empatia per gli altri. Marx, ancora più radicalmente, riteneva che il quotidiano lavoro del proletario, fatto di operazioni ripetitive e svolto in condizioni umilianti, provocasse l'alienazione, una perdita di se stessi e della propria umanità. Considerato dai loro punti di vista, un lavoro routinario è uno svantaggio per il lavoratore, mentre un lavoro vario, in cui vengono meno le rigidità degli orari e delle mansioni è più salutare e appagante.  

Le nuove strutture di potere

L'analisi di Richard Sennett svela però l'inganno che l'attuale “flessibilità” sta perpetrando ai danni dei lavoratori. Non è vero che la flessibilità ha incrementato la libertà, ma al contrario ha prodotto «nuove strutture di potere e di controllo», come nel caso delle forme di telelavoro o di lavoro a distanza che hanno moltiplicato gli strumenti per controllare l'attività del lavoratore (mail, telefono, reti informatiche), nel timore che la distanza fisica da un ufficio o da un superiore lo trasformasse in uno sfaccendato. Laddove un tempo era il cronometro a scandire il tempo necessario per una fase di lavoro alla catena di montaggio (o in una sequenza di operazioni), oggi la “logica metrica” del tempo si è trasferita allo schermo del computer, argomenta Sennett.
Cliccando qui trovi il sito di Richard Sennett
Gli elementi che caratterizzano il sistema di potere della flessibilità sono la reinvenzione delle istituzioni, la flessibilità delle istituzioni e il potere concentrato ma non centralizzato. Consideriamoli uno per uno.  

Le istituzioni reinventate

Nel capitalismo attuale, spiega Sennett, le aziende vanno incontro a processi di riorganizzazione profondi. Una delle chiavi di questi processi sta nel passaggio da un'organizzazione piramidale e gerarchica a un sistema di reti aperte: lo scopo sarebbe quello di eliminare doppioni organizzativi, incrementare la produttività e la creatività. Sennett mostra però impietosamente come questa trasformazione nella direzione della flessibilità comporti spesso gli esiti opposti a quelli sperati: lavoratori in esubero, personale demotivato, vendita di unità produttive ecc., anche se può bastare il semplice annuncio di una ristrutturazione per incrementare il valore delle azioni di un'azienda.  

Produzione flessibile

Per rispondere alle richieste di un mercato in rapido cambiamento, la produzione deve essere in grado di modificare rapidamente prodotti e modalità di organizzazione: in poche parole, deve essere flessibile. L'elemento chiave è allora la disponibilità di un'azienda a modificare la propria struttura per adattarsi alla nuova realtà, come è accaduto in passato alle aziende manifatturiere del Nord Italia, che hanno imparato a programmare rapidi cambiamenti in base alle richieste.  

Concentrazione di potere

Con la flessibilità viene meno la grande industria che svolge internamente buona parte della produzione. Resta però un nucleo centrale che coordina unità produttive, aziende satelliti, fornitori ecc. In questo modo il potere si trova concentrato, ma in assenza di una struttura piramidale. Ciò significa semplicità di comunicazione e di lavoro? No, risponde Sennett. La struttura delle relazioni diventa più complicata e così pure l'attività di chi si trova alla periferia di questa realtà e riceve richiede impossibili da realizzare.  

Gli effetti sulla vita delle persone

Per capire come questi elementi si combinino tra loro, prosegue l'analisi di Sennett, è opportuno considerare la dimensione del tempo. Nel capitalismo attuale al tempo rigido subentra quello flessibile: part-time orizzontali, part-time verticali, articolazione in turni differenti ecc. Il risultato è un mosaico complesso in cui fianco a fianco lavorano persone con orari diversi, che vanno minuziosamente verificati. La libertà offerta dal tempo flessibile è quindi chiusa in reticolati di controllo più sottili e pervasivi rispetto alla sirena di fine turno delle fabbriche di decenni fa. Inoltre, la concessione di forme di flessibilità appare una specie di privilegio, che l'azienda può accordare o meno, come un ulteriore strumento di ricatto. In una realtà flessibile, computerizzata, controllata vengono meno le dinamiche di lungo periodo di un luogo di lavoro: carriere costruite nel tempo, legami sociali forti, solidarietà, destrezza nel proprio mestiere (anche se queste considerazioni di Sennett si riferiscono a realtà produttive semplici, come certe panetterie molto tecnologiche e non si possono applicare in toto a settori dove la specializzazione è necessaria). Il passaggio dal modo tradizionale di gestire un’azienda a quello “flessibile” ha sconvolto la vita di alcuni dipendenti della IBM, nota Sennett, che hanno vissuto il loro licenziamento come un tradimento da parte dell’azienda.
Leggi qui per approfondire il tema della flessibilità nel mondo del lavoro
In chiave economica e aziendale Sennett rileva un fenomeno che il filosofo francese Michel Foucault aveva a suo tempo evidenziato con lo sviluppo dello Stato moderno: la nascita di un micropotere di controllo, di classificazione degli individui, di organizzazione della persone. La flessibilità nel lavoro non fa scomparire quelle forme di controllo che anche la grande azienda aveva sviluppato: ne genera di nuove, più adatte a una situazione complessa. E tutto questo non ha effetti sulla vita privata? Sennett, passando costantemente dal piano generale dei grandi fenomeni economici a quello delle vite individuale, ci mostra qualche esempio degli effetti della flessibilità, come quella di Rico, un consulente tecnologico costretto a reinventarsi un’attività dopo il licenziamento: in gioco non c’è solo la difficoltà di conciliare tempi del lavoro e tempi della famiglia, ma anche quella di trasmettere ai propri figli valori legati alla “lunga durata”, come la fedeltà e l’impegno, in un mondo dove “il lungo termine” viene sempre più bandito dalla realtà del lavoro. Riferite soprattutto al mondo statunitense delle grandi aziende, le analisi di Sennett mettono in guardia da una troppo facile esaltazione della flessibilità, ma lasciano aperto il quesito se a quasi vent’anni dalla sua riflessione, la flessibilità sia ancora quella pensata da Sennett o se nel frattempo sistemi economici, welfare pubblico e strategie individuali non abbiamo imparato a fare i conti positivamente con questa nuova realtà. Crediti immagini: Apertura: foto di Richard Sennett tratta dal suo sito web Box: copertina del libro "L'uomo flessibile" (Feltrinelli editore)
richard sennett
9788807816413_quarta

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento