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Il voto dai cocci ai cookies

Il suffragio universale che oggi nei moderni stati democratici diamo per scontato ha una lunga storia alle spalle. Oggi il dibattito non è concluso e si concentra in particolare sul diritto alla cittadinanza e sul legame sempre più stretto tra voto politico e scelte di consumo
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Si fa (relativamente) presto a dire “voto”, ma nel corso della storia gli uomini sono stati chiamati ad esprimere il loro parere sulla gestione della cosa pubblica con modalità e fini fra loro molto diversi da quelle del suffragio universale tipico delle democrazie contemporanee.

Se le polis greche sono comunemente considerate il primo esempio di democrazia della storia, una larga parte della loro popolazione probabilmente non sarebbe stata d’accordo con questa definizione: dal voto erano esclusi ad esempio gli schiavi, gli stranieri (detti meteci) e le donne, in altri termini la maggioranza degli abitanti. Alcune cariche poi non venivano scelte tramite il voto ma ad estrazione fra i cittadini politicamente attivi,  il che allora significa gli aventi diritto tout court, perché la dignità piena per un uomo si otteneva solo attraverso l’esercizio dei diritti politici.  Oltre alle funzioni politiche tradizionali ad Atene l’assemblea dei cittadini poteva comminare grazie, conferire impunità o cacciare per dieci anni una persona dalla città attraverso l’esercizio di una procedura detta “ostracismo”, da ostraca, i pezzi di coccio su cui si vota per questo determinato scopo

Nell’antica Roma, lo ius suffragi qualificava al voto per le cariche amministrative e fu progressivamente concesso anche agli stranieri. Nell’88 a.C. fu riconosciuto ai  socii italici e più avanti anche agli abitanti dell’Italia settentrionale. Nel 212 d.C. infine l’imperatore Caracalla lo attribuì a ogni abitante libero dell’Impero. Dopo la fine dell’impero romano il concetto di voto venne a lungo dimenticato in ambito politico, continuando a venire utilizzato solo in altri contesti come all’interno degli ordini, delle corporazioni o durante i concili ecclesiastici.

È solo con l’affermarsi del costituzionalismo moderno e del principio di eguaglianza che viene teorizzata l’idea secondo la quale ad un uomo corrisponde un voto, il voto, cioè, concepito come diritto individuale inalienabile. Il percorso è comunque lento e graduale se è vero che nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d'America viene affermato il suffragio universale,  ma esclusivamente maschile e con l’esclusione dei neri e di coloro che non erano in grado di pagare la tassa di registrazione.

Pochi anni più tardi, nel 1793 la Francia nella sua costituzione prevede il suffragio universale maschile, senza altre limitazioni. Una situazione che verrà poi momentaneamente abolita dalla restaurazione. È in questo periodo storico che il filosofo liberale Benjamin Constant pronuncia il famoso discorso “La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni” in cui alla democrazia diretta delle polis greche (i cui cittadini, come abbiamo visto, godevano del non indifferente vantaggio pratico dato dal disporre di un ampio parco schiavi) viene confrontata con quella rappresentativa più tipica invece ai moderni, un modello in cui solo una parte ristretta della popolazione si occupa costantemente di politica, e il resto viene chiamato saltuariamente al voto e può così  dedicarsi ad altri impegni, in primis i commerci, che Constant considera la principale garanzia di pace fra le nazioni.

Nei secoli successivi il suffragio continua ad ampliarsi (al momento dell’unità d’Italia ad esempio riguardava solo il 2% della popolazione) quello maschile si afferma praticamente ovunque prima di quello femminile, in Italia ad esempio quest’ultimo allargamento del corpo elettorale si raggiunge solo nel 1946. Altre restrizioni precedenti erano state il suffragio censitario (legato cioè allo status economico) o quello capacitario (riguardante il grado di istruzione). Ai giorni nostri il dibattito attorno al diritto di voto riguarda soprattutto la concessione o meno della cittadinanza ai figli degli immigrati (Jus soli vs Jus sanguinis).

Lo sviluppo dei commerci e l’affermarsi della società del consumo ha però di fatto affiancato al voto politico anche il potere politico delle scelte di consumo: le decisioni di mercato da parte dei consumatori hanno la capacità  di influire in positivo o in negativo (vedi campagne di boicottaggio) sia sul mondo economico che su quello politico.

Più di recente, la rivoluzione digitale e l’inserimento dei cittadini-consumatori all’interno di una sorta di Panopticon in cui ogni transazione commerciale viene registrata e i dati successivamente studiati e commerciati, fanno si che il potere del consumo abbia un peso crescente (e immediatamente misurabile) rispetto a quello declinante del voto politico, espresso con tempistiche lunghe e complesse all’interno di stati nazione geograficamente molto limitati in un’epoca in cui il mercato si esprime invece su scala globale e in tempo praticamente reale.

(Crediti immagini: Wikimedia Commons e Wikipedia)
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