Un mondo in movimento
Per le scienze umane la globalizzazione non è solo lo sfondo della nostra esistenza contemporanea: essa è un fenomeno travolgente che sovverte le culture, modifica i rapporti istituzionali, popola la mente di molti abitanti del globo e li inserisce in un grande flusso, fatto di persone, capitali, idee, immagini in perenne movimento. Per sintetizzare questo incessante flusso, l'antropologo di origine indiana Arjun Appadurai ha coniato una serie di neologismi, come etnorama, che definisce un panorama di persone che si spostano da una parte all’altra del pianeta. A spostarsi però sono anche le idee (ideorama), le risorse economiche (finanziorama), le immagini massmediatiche (mediorama), le tecnologie (tecnorama). L’esistenza di questi flussi influisce profondamente sul modo di pensare delle persone: rende più facile pensare di spostarsi, di migrare per trovare condizioni di vita migliori e magari di tornare al paese d’origine. Essere all’interno di questi flussi è la cifra distintiva della globalizzazione ed è una condizione normale per chi abita in un paese industrializzato: basta pensare a come siamo influenzati da immagini prodotte in altri paesi, a come i nostri soldi possono viaggiare sul web quando facciamo un acquisto online e al fatto che noi stessi viaggiamo o possiamo farlo con grande facilità.
Qui trovi il sito di Appadurai
Un concetto o uno slogan?
Occorre però evitare di cadere nell’errore di pensare alla globalizzazione come una nozione semplice, neutra, che si limita a descrivere un fenomeno in atto. Il sociologo Luke Martell (Sociologia della globalizzazione, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2011) spiega che globalizzazione è un concetto in grado non solo di rappresentare la realtà, ma di agire su di essa, trasmettendo una certa idea di sé. Per esempio, alla globalizzazione viene spontaneo associare un certo grado di uniformità, come se essa fosse diffusa ovunque allo stesso modo. L’invito di Martell è invece quello di considerare la globalizzazione come fenomeno disomogeneo, i cui grandi slogan (libertà, mobilità, internazionalizzazione) si concretizzano in modo diverso a seconda del soggetto che cerca di esercitarle. Pensiamo al fenomeno della mobilità: la globalizzazione favorisce gli spostamenti, ma i rapidi viaggi dei manager delle multinazionali sono ben diversi dai drammatici esodi dei profughi in fuga da situazioni di guerra.Due figure della globalizzazione: turisti e vagabondi
Consapevoli di quanto la mobilità sia nello stesso tempo un elemento essenziale della globalizzazione e un banco di prova per misurare gli effetti dell’intero fenomeno, i maggiori sociologi dei nostri giorni si sono interrogati su come la mobilità plasmi le classi sociali a livello planetario. A questo proposito Zygmunt Bauman in uno dei suoi ultimi scritti (Dentro la globalizzazione: i suoi effetti sulle persone, Laterza, Roma-Bari 1998) si è soffermato su due “figure” della mobilità contemporanea – Bauman in questa opera preferisce l’uso di immagini emblematiche all’analisi dettagliata - che sembrano incarnare i contrasti della globalizzazione: il turista e il vagabondo. Il turista è in viaggio perché attratto da un mondo che appare alla sua portata; il vagabondo viaggia perché non ha altra scelta sopportabile. Tutti possono essere nomadi, sintetizza Bauman: ma vi è una enorme differenza tra l’essere al vertice o alla base della libertà. Nel mondo cosmopolitico degli uomini d’affari, dei manager, e delle grandi personalità della cultura e dell’università i confini sono rarefatti; all’estremo opposto, il vagabondo che emigra conosce un mondo fatto di mura, visti, permessi di soggiorno, viaggi difficoltosi. Al dramma si aggiunge il paradosso: in un’epoca di facilità di comunicazione, di compressione dello spazio e del tempo, i due opposti vertici della società della mobilità non possono dialogare tra loro ma sono sempre più divisi.
Qui trovi un articolo dedicato dedicato a Bauman, pubblicato poco dopo la sua morte