Un popolo in fuga
Nel 376 d.C. la frontiera nord orientale dell’Impero romano, distesa lungo il corso del Danubio, fu teatro di un evento di portata storica. Alla fine dell’estate, le sponde settentrionali del grande fiume vennero prese d’assalto da un’enorme massa di uomini, donne e bambini. Le fonti dell’epoca non sono precise sul numero esatto, ma pare che la cifra complessiva si aggirasse attorno alle 200.000 persone. Si trattava dei Tervingi, uno dei due gruppi in cui era suddivisa la tribù dei Goti che, provenienti dalla regione dei Carpazi, saranno successivamente conosciuti con il nome di Visigoti. Sui volti di quell’enorme massa di profughi erano dipinti il terrore, la fame, la stanchezza del viaggio. Le testimonianze raccolte dagli ufficiali romani, giunti dall’altra sponda del fiume per informarsi circa le ragioni di quell’esodo, parlavano di guerre, devastazioni, massacri indicibili compiuti da un popolo selvaggio, che le leggende dei Goti raccontavano essere il frutto dell’accoppiamento tra streghe scacciate dalle loro tribù e i demoni che popolavano le steppe asiatiche.
La Tracia ai tempi della pressione dei Goti sul confine imperiale (Fonte: Wikimedia Commons)
I selvaggi erano gli Unni, una popolazione nomade dalle origini ancora oggi incerte, sulla quale i romani al tempo sapevano pochissimo, ma la cui ferocia era invece tristemente nota in tutta l’Asia centrale. La loro devastante irruzione nelle terre a nord del Mar Caspio, e poi sulle pianure a sud del Volga e del Don, aveva generato un effetto domino tra le masse barbariche stanziate su quei territori, spingendole a una precipitosa fuga in avanti verso i confini dell’Impero romano. Attraversare il Danubio, le cui dimensioni costituivano per gli Unni un ostacolo invalicabile, ed essere accolti all’interno dell’Impero costituiva agli occhi dei Tervingi l’unica via per sfuggire all’annientamento.
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La scelta di Valente
Le frontiere dell’Impero romano non costituivano del resto uno sbarramento impermeabile a ogni contatto con l’esterno, assomigliando piuttosto a una membrana osmotica, attraverso la quale si intrecciavano i passaggi di uomini e gli scambi di merci e notizie. Era già capitato che, a seguito di guerre o carestie, consistenti gruppi di barbari avessero trovato asilo dentro i confini dell’Impero. Ma ciò che stava accadendo alla fine dell’estate del 376 si presentava come un fenomeno del tutto nuovo e dalle inedite proporzioni. Quello che bussava alla porta dell’Impero era infatti un intero popolo, la cui entità appariva di gran lunga superiore alle capacità di assorbimento da parte della macchina amministrativa imperiale. La prima reazione delle guarnigioni romane fu dunque improntata alla chiusura e i primi gruppi di Goti che avevano tentato la traversata del Danubio vennero intercettati e massacrati senza pietà.
Il solido con l'effige dell'imperatore Valente (Fonte: Wikimedia Commons)
Un’emergenza umanitaria
Le operazioni di trasbordo da una parte all’altra del Danubio vennero preparate con cura. Ad attendere i barbari scaricati dalle numerose imbarcazioni erano stati predisposti, oltre a un nutrito gruppo di soldati, numerosi scrivani incaricati di registrare le generalità di tutti profughi. Il traghettamento avvenne nei pressi di Durostorum (oggi Silistra, nella Bulgaria nord-orientale), in condizioni aggravate dal sopraggiungere del maltempo e quello che avrebbe dovuto essere un flusso ordinato si trasformò in breve in torrente umano impetuoso. Snervati dalla lunga attesa, dalla fame e dalla paura di incursioni da parte degli Unni, grappoli umani si accalcarono sulle imbarcazioni, parte delle quali si rovesciarono con il loro carico, che scomparve tra le acque del fiume in piena. Altri tentarono la traversata costruendo improbabili zattere, altri ancora aggrappandosi a tronchi d’albero.
Le rovine della mura della fortezza romana di Durostorum come si presentano oggi nei pressi del Danubio (Fonte: Wikimedia Commons)
La crisi
Le disposizioni di Valente prevedevano lo spostamento dei Goti verso le regioni interne dell’Impero, ma l’organizzazione dell’enorme convoglio marciava a rilento, acuendo l’esasperazione degli immigrati che, ammassati nei campi profughi, erano giunti a barattare il cibo fornito dai romani sotto forma di carne di cane al prezzo di un bambino per ogni cane. Quando alla fine dell’inverno del 377 giunse l’ordine di partire, il viaggio verso l’interno procedette in modo tortuoso e tra mille incertezze circa la destinazione finale. Sotto le mura della città di Marcianopoli (l’odierna Devnja), mente i capi delle tribù tervingie partecipavano a un banchetto offerto dagli ufficiali romani, scoppiò la rivolta. I legionari incaricati di scortare il convoglio furono aggrediti e trucidati dai Goti inferociti. I capitribù furono lasciati uscire dalla città per riportare l’ordine tra la loro gente ma, appena varcate le mura, si schierarono con la rivolta e dichiararono nulli tutti gli accordi in precedenza stipulati. Era la guerra, ma nessuno poteva immaginare che da quel momento le sorti dell’Impero romano avrebbero iniziato scivolare su un piano inclinato. Le forze inviate a schiacciare i rivoltosi non ottennero risultati decisivi e, alla notizia che i Tervingi – cui si erano unite le tribù dei Grutungi, che nel frattempo erano riuscite ad attraversare il Danubio – stavano mettendo a ferro e fuoco campagne e villaggi, Valente si vide costretto ad abbandonare le operazioni lungo il confine con la Persia per affrontare la ben più pericolosa minaccia maturata all’interno dell’Impero. Gli eserciti si affrontarono il 9 agosto del 378 presso la città di Adrianopoli (l’odierna Edirne, al confine tra Grecia e Bulgaria) e le legioni romane subirono una totale disfatta. Lo stesso imperatore Valente trovò la morte sul campo di battaglia.
Rappresentazione di una battaglia tra romani e barbari, probabilmente Goti a giudicare dall'abbigliamento, sul cosiddetto Sarcofago Ludovisi del III secolo (Fonte: Storia digitale Zanichelli)
Il successore di Valente, Teodosio I, constatata l’impossibilità di imporsi militarmente sul nemico, fu costretto a stipulare nel 382 un trattato di pace che, in cambio del rifornimento di truppe in caso di necessità, assegnava ai Goti la provincia dell’Illirico orientale (comprendenti le attuali Macedonia, Serbia e Bulgaria occidentale), riconosceva loro l’esenzione dai tributi e il diritto di essere governati dai propri capi. Mai l’Impero si era dovuto piegare a condizioni così umilianti.
Nonostante le attenzioni e i favori elargiti da Teodosio, i Goti rimasero una presenza irrequieta all’interno dell’Impero, giungendo a dividersi violentemente al loro intero tra la fazione filo romana, che riteneva conveniente rimanere fedeli ai patti e la fazione che invece premeva per riprendere le ostilità. Alla morte di Teodosio fu quest’ultima fazione a prevalere. Nel 395 i Goti ripresero quindi le armi e devastarono la Grecia, guidati da un nuovo, giovane condottiero. Il suo nome era Alarico e ben presto la stesa città di Roma ne avrebbe fatto diretta e drammatica conoscenza. La fine del mondo antico si stava avvicinando a tappe forzate.
Per un approfondimento sulla guerra gotica e sulla battaglia di Adrianopoli puoi ascoltare questo podcast (da Radio2)
Immagine banner: Le rovine della mura della fortezza romana di Durostorum come si presentano oggi nei pressi del Danubio (Fonte: Wikimedia Commons)