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La percezione del lavoro nella società greca arcaica: il caso di Esiodo

Secondo la mitologia greca in un tempo primigenio il lavoro non esisteva. Tuttavia i versi del poeta Esiodo lasciano intuire una considerazione etica positiva del lavoro come sostentamento: "Nessun biasimo al lavoro; biasimo all’inattività" anche perché "Fame sempre è compagna dell’uomo inoperoso". Tuttavia il lavoro nella Grecia antica non è la realizzazione dell'uomo
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La nozione di "lavoro"

Il sostantivo greco che corrisponde al nostro concetto di "lavoro" è ἔργον, esito di una rad. indoeuropea *werg-, che trova continuazione ancor oggi nell'ingl. work o nel ted. Werk. Di qui il verbo (un denominativo, appunto) ἐργάζομαι, ad esprimere basilarmente la nozione del "fare": di un fare produttivo, di un operare che produce sostentamento, di un agire che potremmo definire 'economico', ovvero teso alla realizzazione di un bene, al conseguimento di un utile (una nozione ben diversa, dunque, da quella espressa dai concorrenti verbi ποιέω o πράσσω, anch'essi esprimenti la nozione del "fare", ma con altre modalità e finalità). L'idea di "lavoro" legata a ἐργάζομαι si applica principalmente, anche se non esclusivamente, al lavoro agricolo, come facilmente intuibile, essendo l'agricoltura il settore produttivo principale alla base dell'economia greca arcaica. E proprio su questo punto vale la pena svolgere qualche considerazione.  

La giustificazione del lavoro

La cultura greca, come tante altre culture, ha elaborato l'idea di un tempo in cui il lavoro non esisteva. Un tempo primigenio, in cui la terra dava frutto spontaneamente e l'uomo si limitava a godere dei beni: il tempo di Crono, il tempo felice di un Eden ben rappresentato da Esiodo in Opere e giorni, ai versi 109-119: «Per prima la stirpe d’oro degli uomini mortali fecero gli immortali abitatori d’Olimpo.                                                    110 Esistevano al tempo di Crono, quand’era sovrano del cielo: come gli dèi vivevano con animo privo d’angoscia, senza fatiche e travaglio, né miserevole vecchiaia incombeva: sempre di pari vigore i piedi e le mani, godevano delle feste, lungi da ogni male.                                                115 Morivano come vinti dal sonno; di ogni bene essi disponevano: il campo fecondo dava frutto spontaneamente, molto e abbondante; essi volentieri, sereni, si spartivano i prodotti tra grandi gioie».
Il testo greco di Opere e giorni è reperibile cliccando qui 

Verso un'etica del lavoro

Ma se l'accettazione del fatto che il lavoro agricolo per il sostentamento è una condizione ontologica, per così dire, dell'uomo, ecco che di qui si compie un ulteriore passo che porta alla definizione di un'etica del lavoro. Un passo di altrettanta fondamentale importanza, giacché se l'accettazione di una necessità ha valore a livello individuale, la creazione di un'etica del lavoro ha valore a livello collettivo: dalla necessità di lavorare segue il dovere di lavorare bene, e lavorare bene implica seguire una serie di regole che pertengono non solo al lavoro in sé, ma anche al lavoro all'interno di una comunità, ovvero al lavoro come regola comportamentale. Ed ecco quindi l'esortazione al lavoro che a più riprese è ribadita nel testo di Opere e giorni. Un esempio emblematico della centralità del lavoro nel sistema dei valori sociali tematizzati da Esiodo sono i versi 299-316: qui all’esortazione iniziale («lavora, Perse!») segue l’illustrazione dei vantaggi che il lavoro presenta: vantaggi concreti in termini materiali (= allontanamento della fame e della miseria) e sociali (= apprezzamento del lavoro da parte di dèi e uomini): lavora, Perse, luminosa stirpe!, affinché Fame ti odi e ti ami Demetra dalla bella corona,                                                   300 degna di rispetto, e il tuo magazzino riempia di viveri; infatti Fame sempre è compagna dell’uomo inoperoso; di lui si risentono uomini e dèi: di chi inoperoso vive, simile d’indole ai fuchi inermi, che la fatica delle api consumano inoperosi                                            305 mangiando; a te sia caro preparare opere adeguatamente, perché i tuoi magazzini siano pieni di viveri in ogni stagione. Grazie alle opere gli uomini sono ricchi di greggi e benestanti, e chi lavora molto più caro agli immortali [e agli uomini sarà, ché molto odiano gli inoperosi.]                              310 Nessun biasimo al lavoro; biasimo all’inattività. Se ti metti all’opera, subito ti emulerà l’inoperoso, poiché ti arricchisci: di ricchezza prestigio e rinomanza sono compagni. Quale sia il tuo destino, è più vantaggioso lavorare, se dai beni altrui l’animo folle                                                                    315 al lavoro volgendo del sostentamento ti curi, come io ti esorto. Emblematica risulta la formulazione gnomica del verso 311, che recita «nessun biasimo al lavoro; biasimo all’inattività», dove i concetti antitetici ἔργον / ἀεργίη sono espressamente legati a una delle forme di controllo sociale operanti in una società tradizionale, il biasimo: ὄνειδος. Giacché bisogna lavorare, bisogna lavorare bene, perché il lavoro porta vantaggi: questo, in estrema sintesi, il ragionamento che porta dall’accettazione del lavoro alla sua valorizzazione etica.
Clicca qui per leggere spunti di riflessione sulla concezione del lavoro da altro punto di vista
 

Il lavoro nobilita?

Ma lavorare è solo un dovere, non un piacere. E su questo sarebbe bene tornare a riflettere, oggi più che mai, in tempi in cui la realizzazione sociale dell'individuo è fortemente legata alla sua capacità e alla sua funzione lavorativa. Il lavoro procura sostentamento, questo sì, ma non è la realizzazione dell'individuo. Il lavoro serve a tenere lontana la fame, a procurare tranquillità a sé e a i propri, punto e basta. Altre sono le forme di piacere e realizzazione che l'individuo aveva a disposizione. In questo contesto culturale, dove l'obiettivo del lavoro è unicamente concreto, c'è spazio per la mendicità: una condizione di vita precaria mai elevata a paradigma positivo di comportamento e fortemente esecrata, ma comunque rispettata. Tant'è che lo πτωχός, il "mendicante", è una figura sociale riconosciuta e accettata, come risulta chiaro da Opere e giorni 25-26, dove proprio la condizione del mendico è affiancata a quella di chi 'lavora' (almeno secondo noi). In tempi di carrierismo e di presunte logiche economiche vincolanti come quelle che ci vengono continuamente riproposte (età pensionabile compresa), tornare a riflettere sul senso 'sociale' del lavoro riguardandolo da un punto di vista altro può solo giovare. E magari si può tornare a scoprire che l'otium è più importante del negotium. Crediti immagini: Apertura: Thomas Cole, Dream of Arcadia, olio su tela, 1830, Denver, Art Museum (Wikimedia Commons) Box: busto di Esiodo (Wikipedia)
Pseudo-Seneca_BM_GR1962.8-24.1
Thomas_Cole_-_Dream_of_Arcadia_-_Google_Art_Project

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