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Predire il futuro: una pratica antica quanto l’uomo

La divinazione, o mantica, è una pratica antica che si regge sulla considerazione che l'uomo possa interrogare la divinità per poter ottenere informazioni sul futuro. Sebbene profondamente radicata nel mondo antico, non mancavano gli scettici
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Chi non ha provato almeno una volta la curiosità di consultare l’oroscopo o la tentazione di farsi leggere le carte da una di quelle chiromanti che, con sgabello candela e tavolino, vivacizzano le feste popolari nel periodo estivo? Chi non è rimasto in qualche modo attratto o incuriosito dal significato dei segni zodiacali o dal susseguirsi casuale delle carte, estratte dal mazzo e poi analizzate per dare risposta a quesiti relativi ad amore, salute, soldi? Quei gesti, quelle pratiche e quei rituali, che appaiono così bizzarri nell’odierna società tecnologica e razionalista, costituiscono la testimonianza ancora vitale di usanze antichissime, sviluppatesi all’alba della storia dell’uomo e giunte fino a noi attraverso i millenni ancora cariche del fascino misterioso che da sempre avvolge l’arte di predire il futuro. L’astrologia, così come la cleromanzia, ossia la predizione del futuro per mezzo di oggetti (sassi, bastoncini, fave, frecce, dadi) estratti o gettati a caso, costituivano solo due esempi tra le numerosissime pratiche adottate dagli antichi per cercare di conoscere il destino del singolo, dei popoli, degli eserciti, dei governi. Nel paganesimo occidentale e nelle altre culture dell’età antica la convinzione circa la stretta contiguità tra uomini e divinità, unita alla percezione della natura come parte integrante del divino, che in essa abitava e si manifestava, favorirono la diffusione di molteplici usanze finalizzate a comprendere il volere degli dei, così come a interrogarli per ottenere responsi sugli argomenti più disparati: dal risultato della semina alla sorte di una battaglia, dal futuro di una stirpe reale al successo di un proposito amoroso.  

La voce degli dei

Nel bacino del Mediterraneo la divinazione, o mantica, era divisa in due fondamentali categorie: la mantica induttiva e la mantica intuitiva. Nel primo caso il contatto con la divinità avveniva tramite la lettura di segni obbiettivi offerti dal mondo naturale o direttamente provocati, la cui interpretazione era affidata a sacerdoti specializzati nella scienza divinatoria. Nel secondo caso la voce degli dei si manifestava invece in modo più immediato, attraverso le parole proferite da una figura umana direttamente ispirata dal dio. Alla prima categoria apparteneva una vasta gamma di pratiche che andavano dai sacrifici di animali (nei quali venivano interpretati tanto i segni emersi durante il rituale dell’abbattimento quanto le viscere e il fegato estratti dalla carcassa) alla lettura di gocce d’olio lasciate cadere in un catino riempito d’acqua (lecanomanzia); dall’interpretazione degli anelli di fumo generati dalla combustione dell’incenso (libanomanzia) all’osservazione del comportamento dei volatili (ornitomanzia); dalla cleromanzia alla lettura di presagi fisiognomici, quali la presenza di difformità e anomalie nella parte destra o in quella sinistra del corpo umano. Anche la lettura delle stelle o l’interpretazione degli eventi naturali spontanei come i fulmini, le comete, le eclissi e i terremoti facevano parte della mantica induttiva, amministrata da appositi sacerdoti. Se dunque la mantica induttiva affidava alla natura il fondamentale ruolo di tramite con il divino, nella mantica intuitiva l’uomo, o la donna, assurgevano a protagonisti assoluti del rapporto con la divinità. Il mondo classico era disseminato di luoghi sacri considerati cari agli dei, nei quali profeti o profetesse (letteralmente “coloro che parlano al posto di dio”) fornivano risposte ai quesiti rivolti da personalità pubbliche o da semplici privati. Il responso giungeva dopo una serie di riti purificatori e sacrifici operati dal consultante e a seguito dell’apposita preparazione del portavoce della divinità, che prevedeva l’assunzione di vino o sangue degli animali sacrificati. In altri casi, come avveniva nella città greca di Delfi (sede di uno dei più importanti santuari dell’antichità dedicato ad Apollo), la profezia si compiva tramite l’inspirazione di vapori provenienti da una fenditura del terreno presente all’interno del tempio. I responsi proferiti erano solitamente oscuri, ambivalenti, “sibillini” (dal termine Sibilla con il quale venivano indicate le profetesse dotate del dono di parlare per bocca del dio) e necessitavano dell’interpretazione del collegio sacerdotale incaricato di custodire il santuario. A fianco di tali mantis “stanziali”, come l’oracolo di Delfi, la Sibilla cumana in Italia, la Sibilla di Eritra sulle coste dell’Asia minore, operavano anche mantis “ambulanti”, che giravano per le contrade e i paesi offrendo responsi a chiunque li domandasse. Un discorso a parte meritano la “necromanzia”, ossia l’usanza di interrogare i defunti, anch’essi ritenuti depositari della facoltà di conoscere il futuro, e la diffusissima pratica dell’interpretazione dei sogni, fin dai tempi più remoti tenuti in grande considerazione per prevedere il verificarsi di eventi fausti o nefasti.  

Testimoni di un mondo al suo epilogo

Dalla Mesopotamia alla Grecia, dal Nilo al Reno, da Roma a Gerusalemme le civiltà che si susseguirono nel corso dei millenni affidarono la gestione del delicato rapporto con il mondo degli dei a maghi, druidi, profeti, oracoli e veggenti la cui fama fu talvolta così ampia da renderli immortali nella memoria dei popoli. Alcuni nomi sono giunti fino a noi attraverso la narrazione biblica, altri per mezzo delle raccolte di testi sacri della tradizione persiana o delle opere letterarie e delle raffigurazioni tramandate dalla cultura greco-latina. Sono i testimoni di un’epoca remota, i depositari di usanze millenarie e condivise, capaci di collegare tra loro culture diverse e talvolta geograficamente lontanissime. Così scriveva Cicerone nel De divinatione: “In Gallia vi sono i Druidi: ne ho conosciuto uno anch’io […] il quale dichiarava che gli era nota la scienza della natura chiamata dai greci physiología e in parte con gli augurii in parte con l’interpretazione dei sogni diceva il futuro. Tra i Persiani interpretano gli augurii e profetano i maghi i quali si riuniscono in un luogo sacro per meditare sulla loro arte e per scambiarsi idee […] né alcuno può essere re dei Persiani se non ha prima appreso la pratica e la scienza dei maghi. […] In Siria i Caldei eccellono per conoscenza degli astri e per acutezza d’interpretazione. L’Etruria conosce profondamente i presagi tratti dai luoghi colpiti dal fulmine […] Quanto, poi, ai Frigi, ai Pisidii, ai Cilici, al popolo arabo, essi obbediscono scrupolosamente ai segni profetici dati dagli uccelli; e sappiamo che lo stesso è avvenuto per lungo tempo in Umbria.” (Marco Tullio Cicerone, De divinatione, Libro I, Paragrafo 41, …) Con l’avvento dell’era cristiana e l’inasprirsi della lotta contro il paganesimo, nell’Impero romano la pratica della divinazione venne gradualmente abbandonata, in parte per decreto imperiale in parte per la forte influenza esercitata dalla nuova cultura dominante. Essa sopravvisse tuttavia attraverso i secoli con silenziosa tenacia tra le masse rurali e ancora oggi è possibile rinvenirne tracce e brandelli custoditi in fondo alla memoria inconscia del mondo contadino. Già ai tempi di Cicerone, tuttavia, non poche erano le voci che confutavano o addirittura deridevano l’affidabilità della mantica antica, tanto da spingere l’insigne romano, e altri insieme a lui, a lamentarsene pubblicamente. Non esageratamente dissacratorie appaiono allora le parole che, a distanza di secoli, lo scrittore statunitense Thorton Wilder fa pronunciare a un contemporaneo di Cicerone, Caio Giulio Cesare, impegnato a combattere la Guerra gallica: “Un pomeriggio – ricorda Cesare - nella valle del Reno, gli àuguri del nostro quartier generale mi vietarono di attaccare battaglia col nemico. Pare che i nostri polli sacri mangiassero di malavoglia. Le Signore Galline camminavano coi piedi storti, guardavano spesso il cielo, e non senza ragione. Anch’io affacciandomi alla valle avevo constatato con costernazione che era un covo di aquile. Noi generali siamo costretti a scrutare il cielo con occhi di pollo. […] Quella sera, però, Asino Pollione e io facemmo una passeggiata nei boschi; raccogliemmo una dozzina di larve; le tagliuzzammo a pezzettini e le spargemmo intorno alla stia sacra. L’indomani l’intero esercito aspettava sospeso di udire il volere degli dei. Gli uccelli fatali furono portati accanto al cibo. Dapprima scrutarono il cielo emettendo quel pigolio di spavento che basterebbe a fermare diecimila uomini; poi rivolsero lo sguardo sul cibo. Per Ercole, strabuzzarono gli occhi, lanciarono gridi folli di ghiottoneria; si lanciarono sul loro pasto, e mi venne permesso di vincere la battaglia di Colonia” (T. Wilder Idi di marzo, Arnoldo Mondadori Editore, Verona 1951, p. 17-18. Trad. di Fernanda Pivano)
Per approfondire l’argomento Clicca qui per leggere un articolo sulla divinazione in Mesopotamia (da instoria.it)  e qui per la mantica in età classica (da editorialeagora.it) e qui per un articolo sull'indovino nell'Antica Grecia (articolo di Carmine Pisano)
 Crediti immagini: Apertura: "Fortune teller", di A. Davery, su flickr (link) Box: Caravaggio, "Buona ventura", olio su tela, 1593-95 ca, Roma, Pinacoteca Capitolina (link)
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The gypsy fortune teller

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