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Rivoluzioni che ritornano

La rivoluzione copernicana ha per sempre cambiato la storia della scienza, le rivoluzioni politiche hanno prodotto cambiamenti irreversibili nella storia di paesi e popoli: tuttavia, ironicamente, l'accezione astronomica del termine lascia intendere l'esatto contrario, ovvero l'assenza di cambiamenti, il ripetersi costante di un evento, come il ritorno di un corpo celeste in un punto preciso dello spazio
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Il termine “rivoluzione” fa la sua comparsa inizialmente in campo astronomico dove viene usato per indicare “il moto di un corpo celeste che descrive un’orbita attorno ad un altro”.  Di derivazione latina (dal verbo revolvere) a partire dal XVI secolo sta ad indicare anche violenti moti che puntano a cambiare radicalmente gli assetti istituzionali, economici e sociali. In una terza accezione il termine “rivoluzione” viene utilizzato per indicare cambiamenti decisivi sì, ma non esclusivamente politici e non costretti dentro un limite molto preciso di tempo, ad esempio “la rivoluzione industriale” o l’attuale “rivoluzione tecnologica”, fenomeni di ampia portata ma dalla diffusione irregolare e i cui momenti di inizio e di fine sono particolarmente esposti all’arbitrio degli studiosi.

 

Le rivoluzioni scientifiche

In campo astronomico la cosiddetta rivoluzione Copernicana, che pone per la prima volta il sole al centro del sistema di orbite dei pianeti, contiene in sé sia il primo che il terzo significato del termine.  Se da un lato infatti le orbite dei pianeti possono essere indicate anche con il termine rivoluzione, dall’altra la teoria di Copernico (che in realtà ha le sue radici nel pensiero dell’antico pensatore greco Aristarco di Samo) ha avuto nel tempo un impatto tale nel campo dell’astronomia da poter essere tranquillamente definita una rivoluzione nel senso di cambiamento radicale dello stato dell’arte in quel campo del sapere.  Non che fosse scontato: nei primi cento anni dalla sua comparsa (1543) la teoria copernicana rimase una questione non solo controversa ma anche strettamente per addetti ai lavori e si affermò davvero solo nel secolo successivo. Un testo scientifico che nel tempo si rivelerà fondamentale spesso non ha la stessa immediatezza della presa della Bastiglia, basti pensare ad esempio alle ironie (quando non all’aperto disprezzo) che al momento della sua pubblicazione generò L’origine della specie di Charles Darwin.

Alcuni studiosi si sono spinti a ipotizzare l’esistenza di una complessiva “rivoluzione scientifica” mentre altri sono più inclini a individuare rivoluzioni dai confini più limitati, per cui per esempio il pensiero e le opere di personaggi chiave della storia della scienza come Copernico, Galileo, Newton, Darwin, Einstein, sono responsabili individualmente di rivoluzioni scientifiche determinanti ma circoscritte ad un determinato campo.

A fare un po’ d’ordine sul problema epistemologico che riguarda le rivoluzioni scientifiche provò Thomas Kuhn con La struttura delle rivoluzioni scientifiche secondo cui la scienza procede per periodi di “scienza normale” in cui i paradigmi alla base della ricerca non vengono messi in discussione, ed altri di rivoluzione in cui gli stessi paradigmi, incapaci di spiegare le nuove problematiche emerse o semplicemente superati da teorie migliori, vengono sostituti da nuove e più aggiornate versioni che riorientano l’intero andamento della ricerca scientifica. Karl Popper criticò questa distinzione bipartita sostenendo che non esistono momenti in cui la scienza può astenersi dal dubitare di sé stessa.

Ciò che possiamo dare per assodato è che il dibattito attorno ai confini di una determinata rivoluzione si pongono anche in campo pluridisciplinare. Ad esempio l’invenzione, da parte di James Watt, della macchina a vapore fu determinante per l’avvento della rivoluzione industriale, un evento che travalicò di molto i confini della rivoluzione scientifica. Allo stesso modo l’attuale rivoluzione tecnologica ha, con l’avvento del digitale, reso necessario il ripensamento non solo della produzione e della distribuzione dei beni, ma anche quello dei media, della politica e della diplomazia come evidenziato, fra i molti, dal lavoro del ricercatore indiano Parang Khanna.

 

Le rivoluzioni politiche

La prima rivoluzione dell’età moderna è considerata comunemente quella attraverso la quale i Paesi Bassi ottennero l’indipendenza dalla Spagna (1566-81). Seguirono nel diciassettesimo secolo le rivoluzioni inglesi che misero fine all’assolutismo monarchico in Inghilterra e poi nel 1776 quella americana dalla quale nasceranno gli Stati Uniti d’America.  Segue di lì a poco la rivoluzione francese (1789-99) e circa cinquant’anni dopo il biennio di moti rivoluzionari del 1848-49. Nell’ottobre del 1917 è poi il turno della rivoluzione comunista in Russia.

Se alle spalle delle rivoluzioni precedenti aleggiava lo spirito razionale della Storia (con la S maiuscola) che hegelianamente si distendeva in maniera quasi spontanea e inevitabile, a partire dalla rivoluzione russa prende forza anche la posizione di quei marxisti, come appunto Lenin, che predicano invece l’azione avanguardista di un élite in grado di provocare e guidare una rivoluzione che altrimenti non avrebbe speranze di successo. Al tempo stesso è diventato ormai evidente che alcune fra le rivoluzioni sconfitte possono rivelarsi comunque vincenti sul lungo periodo, basti per pensare ad esempio al fallimento dei progetti di restaurazione seguiti al congresso di Vienna (1814-15) e al graduale avvento di regimi parlamentari in molti stati d’Europa. Se infatti si possono reinstaurare le famiglie regnanti, è più difficile cancellare il peso politico di un movimento culturale come l’illuminismo, o, ancora, l’inarrestabile ascesa economica di una classe, quella borghese, ben più produttiva dell’aristocrazia. Constatazioni queste che inviteranno filosofi, sociologi e politici a riflettere sui complessi legami, non sempre lineari e spesso quasi impossibili da cogliere con esattezza nel momento in cui le cose accadono, che intercorrono fra le rivoluzioni come eventi violenti e le circostanze socio-economiche e culturali in cui si svolgono. Lo scopo diventerà provare a predire non solo il successo o meno di una determinata sollevazione, ma anche il destino sul lungo periodo delle idee e delle istanze che la ispiravano.

Secondo Hannah Arendt il novecento conosce, attraverso il totalitarismo, anche il dramma della rivoluzione permanente ed istituzionalizzata. Una situazione in cui lo stato d’eccezionalità e la violenza sovvertitrice del momento rivoluzionario vengono estese ed applicate ad un intero sistema con lo scopo di cambiare non solo la società ma l’essere umano, un proposito dalle radicali conseguenze nichilistiche.

 

L’ironia del nome

Che la storia delle rivoluzioni si costellata di cambiamenti è una cosa che naturalmente non stupisce. Quella che invece è meritevole di essere ricordata, perché significativa, è la lieve dissonanza che il termine ha rispetto alle altre accezioni quando è usato in campo astronomico. Un corpo celeste che compie una rivoluzione è in fondo quello che torna alla posizione di partenza, allo stesso modo seppure le rivoluzioni socio-politiche e scientifiche sono spesso senza ritorno e i risultati differiscono in maniera irriducibile dalle situazioni di partenza, esiste spesso un elemento di eterno ritorno dell’uguale nelle vicende umane legate al susseguirsi di questo genere di eventi attraverso i quali il destino dell’umanità muta e talvolta, seppur in maniera dolorosa, progredisce. Una trama attraverso la quale potremmo vedere l’uomo tornare sempre indietro su se stesso, proprio mentre tutto quello che egli costruisce, compresi i suoi rapporti sociali, mutano inesorabilmente.

(Crediti immagini: Wikipedia e Wikipedia)
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