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Scrivere di filosofia. Strutture, stili e linguaggi del pensiero critico

Il libro filosofico ha esplorato tantissimi generi sin dall'epoca dei filosofi antichi: dialoghi, aforismi, saggi, romanzi, testi teatrali. Una scelta dettata dai temi, dalle mode o dagli obiettivi comunicativi di ciascun filosofo

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Il libro filosofico ha assunto nel corso del tempo molteplici forme: dalla raccolta di frammenti, spesso riordinati arbitrariamente dopo la morte dell’autore, al trattato, costruito secondo una logica ben definita. Se per secoli questi testi sono stati prodotti di nicchia, destinati a un numero ristretto di studiosi, l’invenzione della stampa e la progressiva laicizzazione del pensiero occidentale hanno determinato l’ampliarsi del pubblico di riferimento. Simili cambiamenti hanno influito sul modo di concepire il libro filosofico: non più  solo oggetto di sapere, ma anche strumento di divulgazione. I filosofi devono perciò misurarsi tanto con  i contenuti quanto con la forma del libro,  reinterpretando di volta in volta generi, stili e linguaggi.

Agli albori della tradizione scritta. Aforismi e dialoghi

Ricostruire il pensiero dei filosofi presocratici, attivi nella Grecia antica tra il VII e il V secolo a.C., è un compito difficile, perché solo pochi frammenti delle loro opere sono giunti sino a noi. Tra questi, sono numerosi gli aforismi, ovvero frasi brevi e incisive, attraverso cui i primi filosofi tentano di cogliere e condensare in poche parole le profonde verità dell’esistenza. Per Eraclito di Efeso (535 a.C.-475 a.C.), la realtà è incessante mutamento, divenire, opposizione dei contrari. Questa convinzione emerge chiaramente in alcuni celebri aforismi. «Tutto scorre» (panta réi), afferma Eraclito: come le acque di un fiume non sono mai le stesse, così ogni aspetto dell’universo è in continua trasformazione, anche quando non ce ne accorgiamo; e all’origine di ogni cambiamento, vi è una lotta tra elementi opposti, che pure non possono mai esistere l’uno indipendentemente dall’altro: per Eraclito, «il conflitto (polemos) è il padre di tutte le cose».

Reso celebre da Platone (428/427 a.C.-348/347 a.C.), il dialogo è il genere letterario che meglio identifica la filosofia greca antica. Già nella stessa etimologia del termine, dia («in mezzo a», «fra») e logos («ragione»), è insito l’autentico significato della pratica filosofica: il confronto razionale tra almeno due protagonisti, che duellano a parole portando argomenti ben costruiti a sostegno delle proprie tesi. Platone traspone i discorsi orali, pronunciati e ascoltati nelle piazze delle poleis, in testi scritti che fissano per sempre i contenuti discussi. Ed è proprio in questo passaggio che avviene la rottura tra Platone e il maestro Socrate: quest’ultimo, infatti, considerando la filosofia una ricerca continua e non una dottrina da trasmettere, rifiutava quella cristallizzazione che un’opera scritta inevitabilmente comporta. Nonostante l’apparente spontaneità dei Dialoghi platonici, essi costituiscono il frutto di un lavoro meticoloso e calcolato, in cui i personaggi non sono che strumenti attraverso cui l’autore fa emergere la propria visione filosofica.

Pur trattandosi di generi letterari tipici della filosofia greca, sia l’aforisma sia il dialogo sono stati ampiamente utilizzati anche nelle opere di filosofi di epoca moderna e contemporanea.

Il tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) ha tratto ispirazione proprio dai frammenti di Eraclito di Efeso, lasciandoci una notevole quantità di aforismi, molti dei quali raccolti nell’opera La volontà di potenza, pubblicata postuma nel 1901. Tra i dialoghi più noti, troviamo invece l’opera principale del filosofo e scienziato italiano Galileo Galilei (1564-1642), ovvero il "Dialogo sui due massimi sistemi del mondo", pubblicato nel 1632, in cui lo studioso difende la legittimità della teoria copernicana.

Argomentare per iscritto tra rigore e irriverenza. La saggistica

Tipico dell’età moderna, il saggio è tuttora uno dei generi filosofici più diffusi. Solitamente di breve lunghezza, si tratta di un testo agevole in cui l’autore espone e argomenta la propria opinione su un tema specifico, senza avere la pretesa di esaurirne la discussione. Alcuni di questi lavori costituiscono dei veri e propri capisaldi del pensiero occidentale. È questo il caso dello scritto del filosofo statunitense Henry David Thoreau (1817-1862), La disobbedienza civile, ancora oggi punto di riferimento teorico dei movimenti di protesta non violenta. Duro critico della schiavitù e delle politiche espansionistiche del suo paese, Thoreau ritiene un dovere dell’individuo opporsi alle decisioni dello Stato, qualora le consideri moralmente ingiuste. Tuttavia, egli rinnega ogni ricorso alla lotta armata, difendendo al contrario forme di resistenza passiva, come il rifiuto di pagare le imposte.

Stili e linguaggi dei saggi possono essere molto vari. Alcuni filosofi prediligono un approccio pacato e familiare, al fine di coinvolgere maggiormente il lettore, altri utilizzano toni ironici e sferzanti, con chiaro intento polemico. È senza dubbio l’illuminista francese Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet (1694-1778), il più noto autore di scritti di questo secondo tipo. Tra i suoi numerosi contributi, il Trattato sulla tolleranza (1763) occupa una posizione privilegiata: in esso Voltaire, prendendo spunto da un drammatico fatto di cronaca, si scaglia contro quell’atteggiamento religioso, fanatico e dogmatico, che rende gli uomini pericolosamente intransigenti verso i propri simili. Si osservi che il confine tra saggio filosofico di contenuto polemico e pamphlet (o “libello”), genere di grande successo nel contesto dell’illuminismo francese, non è sempre facilmente definibile. Si potrebbe individuare una distinzione nel fatto che, mentre il saggio ha l’obiettivo di decostruire gli argomenti avversari, il pamphlet non possiede necessariamente un taglio filosofico, prendendo in molti casi di mira personaggi che godono di una certa popolarità.

La filosofia “nascosta”. Narrativa e teatro

La riflessione filosofica trova spazio anche in generi letterari che tradizionalmente non le sono propri, ma che hanno il merito di essere più facilmente accessibili al grande pubblico. Si può trattare, ad esempio, di romanzi che affrontano temi di carattere esistenziale, mettendo in scena l’assurdità della condizione umana attraverso le vicende di personaggi comuni. Emblematico in questo caso è Lo straniero dello scrittore Albert Camus (1913-1960), il cui protagonista è Meursault, un grigio impiegato che vive ad Algeri. L’io narrante di Meursault accompagna il lettore in una quotidianità vissuta con totale distacco ed estraniamento, persino nei suoi momenti più drammatici. Su tutto, l’incombere costante della morte: non a caso, un funerale apre questo breve romanzo filosofico, l’attesa di un’esecuzione mortale lo conclude.

A partire dalla Grecia antica e fino al Novecento, anche il teatro è stato uno strumento privilegiato per scandagliare paure, ossessioni e debolezze dell’animo umano. Il celebre monologo «Essere o non essere» pronunciato da Amleto, protagonista dell’omonima tragedia del drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare (1564-1616), non è che un lacerante dilemma morale ed esistenziale: come si dovrebbe comportare un uomo nobile di fronte a un’ingiustizia? Dovrebbe reagire, fino a ricorrere alla violenza, o dovrebbe sopportare in silenzio i colpi avversi del destino? Progettando la sua terribile vendetta in nome del padre, Amleto sceglie la prima strada, sprofondando così in una follia che lo annienta e che sembra anticipare le oscure nevrosi dell’uomo novecentesco.

Per approfondire la biografia dello scrittore algerino Albert Camus e i temi affrontati nelle sue opere letterarie e filosofiche si rimanda al link:

http://www.letteratura.rai.it/articoli/albert-camus-e-il-senso-dellassurdo/1047/default.aspx

La breve rassegna di testi proposta mostra come non esista un genere letterario che possa essere definito strettamente “filosofico” e questo vale anche per la filosofia dei nostri giorni. In base ai temi trattati, alla moda del tempo, agli obiettivi prefissati, i filosofi hanno di volta in volta preso a prestito dalla letteratura strutture, stili e linguaggi che hanno infine adattato alle proprie esigenze.

Crediti immagine: jorisvo / Shutterstock 

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