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Tecnologia, immaginario e narrazione

Il legame fra letteratura e tecnologia è molto forte e si declina sotto vari aspetti: dall'entusiasmo per un nuovo prodigio della tecnica alle paure fantascientifiche di future ribellioni delle macchine. Allo stesso tempo i meccanismi narrativi devono tenere conto sempre di più dell'onnipresenza della tecnologia nella vita di tutti i giorni
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Proust al telefono In un passo dei Guermantes, il terzo dei sette libri che compongono Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, il narratore racconta di come, la prima volta, il telefono gli sia sembrato uno «straordinario incantesimo in grazia del quale pochi istanti bastano perché appaia presso di noi, invisibile ma presente, l’essere a cui vogliamo parlare, e che, magari standosene al suo tavolino, nella città dove abita (che in questo caso era Parigi), sotto un cielo così diverso dal nostro, in un clima che può anche essere diversissimo, in mezzo a circostanze e preoccupazioni che noi ignoriamo e di cui quell’essere ci metterà al corrente, si trova d’un colpo trasferito a centinaia di leghe di distanza (lui e tutto l’ambiente, cui egli resta legato), lì, presso il nostro orecchio, nel momento in cui il nostro capriccio lo ha ordinato». È una sorta di magia, di incantamento, quello che pervade il giovane Marcel mentre ascolta dall’altra parte del filo la voce della nonna: «E noi diventiamo simili a quel personaggio della favola cui una fata, sulla semplice formulazione del desiderio, fa comparire in una luce soprannaturale la nonna o la fidanzata, che stanno sfogliando un libro, piangendo, o cogliendo fiori, vicinissime allo spettatore, e tuttavia lontanissime, nel luogo stesso dove realmente si trovano». Eppure, dietro questa malia, si nasconde l’angoscia: è vero che il telefono ci permette di sentire la voce di qualcuno che è lontano; e tuttavia non è in grado di eliminare le distanze, anzi, se ne fa metafora: proprio il fatto che siamo costretti a sentire qualcuno per telefono rende evidente che questa persona ci è lontana e, forse, come nel caso di Marcel, che ascolta la voce della nonna che morirà di lì a poco, la lontananza sarà incolmabile.
Chi era e cosa ha scritto Marcel Proust? Per saperne di più puoi visitare un sito interamente dedicato a lui, cliccando qui.
Una nuova visione del mondo (e del romanzo) A partire dal Sei-Settecento, i manufatti tecnologici entrano nei romanzi. Nei laboratori e nelle accademie si osservano mondi che prima erano o sconosciuti o immaginati, e occhiali, microscopi e telescopi regalano agli uomini una nuova e stupefacente visione del mondo, penetrando nell’immaginario e modificandolo: adesso, con metodi sempre più precisi, si può osservare e conoscere a fondo i particolari di una natura che ha dell’incredibile. Questo, da una parte, genera una certa euforia conoscitiva; dall’altra mina nel profondo quelle che erano considerate delle certezze: il mondo è diverso, o meglio, è più ampio di come si credeva. L’universo ha confini più vasti e la natura svela un microcosmo “infinitamente piccolo” che prima era ignoto.
Per saperne di più sulla rivoluzione scientifica puoi leggere un saggio a firma del professor Franco Giudice che trovi cliccando qui Uno degli strumenti più importanti della rivoluzione scientifica fu il microscopio. A questo link trovi un video animato che presenta l'evoluzione del microscopio.  

Questo dipinto di Jan Brueghel il Vecchio ("Paesaggio con vista del castello di Mariemont", 1611) vede la presenza di un piccolo ma significativo oggetto per l'epoca tecnologicamente all'avanguardia, ovvero un cannocchiale, che diventò subito di moda presso le corti ed ebbe un ruolo centrale nella rivoluzione scientifica (via Wikimedia Commons)
Questo, ovviamente, trova un’eco immediata nella narrativa. Se la letteratura deve raccontare il mondo è anche a partire da queste nuove visioni che lo deve fare. I personaggi dei romanzi cominciano a usare i nuovi strumenti e a confrontarsi con il nuovo: ne è un esempio il grande scrittore inglese Laurence Sterne (1713-1768) che, di fronte alla diffusione del microscopio, comincia a scrivere di un «immenso numero di nuovi mondi, se posso dir così, che prima non avremmo immaginato esistessero». Diretta conseguenza di ciò è una problematizzazione del posto dell’uomo nella natura: semplicemente, se i mondi sono tanti, forse infiniti, noi non ne siamo necessariamente il centro. All’improvviso, dunque, l’incontro con il diverso, con il fantastico e il bizzarro diventa uno dei temi fondamentali della letteratura: si pensi ai Viaggi di Gulliver di Swift (1726) o al Robinson Crusoe (1719) di Defoe, ma anche ai viaggi interplanetari del Micromegàs di Voltaire. E proprio Sterne, nel suo capolavoro, il Tristram Shandy (1760-1767), tematizza questa nuova visione, mettendo al centro la parcellizzazione dell’universo e la relativa perdita di centralità dell’uomo grazie alla biografia parodica di un uomo, Shandy, costruita su divagazioni pseudoscientifiche, digressioni lunghissime, salti temporali e una pressoché totale assenza di trama. In un momento in cui la tecnologia rivoluzionava il mondo, Sterne faceva esplodere le regole della narrazione.
Guarda questo sito (in italiano e inglese) interamente dedicato a Sterne e a "Tristram Shandy"
La modernità perturbante Il rapporto che la letteratura ha con le nuove tecnologie è da sempre però ambiguo, perturbante: al netto delle visioni spesso apocalittiche della fantascienza, la modernità e i suoi manufatti entrano spesso nei romanzi come qualcosa di inquietante, capace di imprimere alla vita degli uomini un corso spesso incontrollabile. La modernità, insomma, viene spesso guardata con sospetto, ci si chiede se la tecnologia sia “buona” o no e ci si risponde più spesso “no”. Si pensi ai treni e all’immaginario letterario che è stato costruito loro attorno. Simbolo della modernità per eccellenza, il treno ha ridotto i tempi di viaggio e aumentato le comodità: ma ha modificato la percezione del paesaggio e, all’inizio, la sua velocità ha messo in crisi l’idea stessa di viaggio e reso il viaggiatore un individuo passivo (Flaubert in una lettera: «In treno mi annoio a tal punto che dopo cinque minuti comincio a urlare per il fastidio»). Così, in Anna Karenina di Tolstoj (1877), il treno compare due volte: all’inizio del romanzo, quando Anna, giunta alla stazione di Mosca, vede morire un macchinista schiacciato da una motrice e vive il tutto come un presagio funesto; verso la fine, in una delle scene madri della letteratura mondiale, quando Anna, disperata, si getta sotto un treno. Anna, che aveva cercato di vivere fuori dalle convenzioni di una società tradizionalista e conservatrice, muore sotto il simbolo della modernità. Ma si pensi anche ad Assassinio sull’Orient-Express di Agatha Christie (1934): che cos’è, il treno, oltre che il luogo del delitto? È la rappresentazione, in piccolo, del mondo: sull’Orient-Express convivono per tre giorni persone di ogni classe sociale e nazionalità; vi si escogitano intrighi e punizioni; ma, soprattutto, il treno è una sorta di prigione da cui vittime e carnefici non possono fuggire.
Dall'opera di Agatha Christie il regista statunitense Sidney Lumet ha tratto un film vincitore anche di un Premio Oscar. Cliccando qui e qui puoi trovare informazioni sul film e sui suoi protagonisti.  
Tecnologia, intreccio e fine del sospetto Proprio Agatha Christie dà il destro per pensare a un’altra, fondamentale sfumatura nel rapporto tra letteratura e tecnologia: l’evoluzione di quest’ultima, infatti, costringe gli scrittori a inventarsi nuove strade per costruire gli intrecci. Prendete il capolavoro della Christie, Dieci piccoli indiani (1939): esso è costruito su un topos narrativo molto frequentato, quello della casa isolata dal resto del mondo. In questa casa, situata sulla misteriosa isola di Nigger Island, vengono convocate dieci persone dall’oscuro passato che verranno uccise a una a una. Durante il soggiorno, le vittime non possono comunicare con la terraferma. Non solo: in seguito alla convocazione, nessuna di loro ha tempo e modo di controllare chi sia il proprietario dell’isola e perché li voglia ospitare. È una situazione narrativa, questa, improponibile per un giallo contemporaneo: ai lettori suonerebbe inverosimile un gruppo di persone privo di cellulari o chiavette internet. Soprattutto, nessun personaggio, nel 2014, arriverebbe sull’isola senza aver prima fatto delle ricerche sui proprietari e senza essersi documentato, con un click, su Nigger Island. Gran parte del mistero che avvolge Dieci piccoli indiani ha dunque bisogno che il lettore odierno sospenda la propria incredulità. Molti gialli del passato oggi sarebbero narrativamente impossibili (si pensi a Delitto perfetto di Hitchcock: l’omicidio è organizzato grazie a una telefonata e sfruttando la posizione del telefono, che costringe chi parla a dare le spalle alla finestra. Oggi, con cordless e cellulari, questo delitto dovrebbe essere organizzato diversamente). In ogni caso, il topos della casa isolata in narrativa continua a esistere: richiede però una motivazione più forte rispetto a quella offerta dalla Christie. Così, oggi, chi vuole raccontare storie dove i personaggi sono lontani da tutto e da tutti deve preoccuparsi di motivare al lettore il fatto che nessuno dei dispositivi che ciascuno di noi possiede funzioni. Gli assassini contemporanei, perciò, tagliano cavi, sequestrano telefoni, rompono computer: l’intreccio viene insomma adattato ai dispositivi tecnologici che i personaggi usano. E tuttavia nelle narrazioni di oggi si guarda alla tecnologia con sempre meno sospetto: se si lasciano da parte le ribellioni delle macchine che popolano l’immaginario fantascientifico, oggi il rapporto tra narrazione e tecnologia ha in gran parte perduto quell’alone di inquietudine e perturbamento che avvolgeva i romanzi fino a qualche decennio fa. Anzi: senza l’aiuto della tecnologia difficilmente un ispettore contemporaneo risolverebbe i suoi casi. Ne sono testimonianza, per esempio, le serie televisive poliziesche dove, da CSI a Person of Interest, l’apporto dell’indagine di laboratorio è sempre un momento chiave nella risoluzione dell’enigma, ma anche le nuove versione dei supereroi dei fumetti, da Batman a Iron man, le cui gesta sono tali grazie a tecnologie avanzatissime e superaffidabili.
Dal sito dell'associazione culturale Doppiozero, cliccando qui, puoi trovare un articolo e un video che parlano di Joe Sabia, artista e intrattenitore americano che utilizza la tecnologia nelle sue  esibizioni.
Immagine in apertura: Train - Royal Scot, 1928, di Simon Pielow (via Flickr). Immagine box: Telephone Time Flying By, di Tim G. Photography (via Flickr)      
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