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Il passato ci parla

I giovani e il cibo dell’anima: infans, adulescens, pais

Nell’antichità greco-romana l’educazione e l’istruzione sono visti come strumenti di crescita e di perfezionamento di una natura ancora incompleta: il giovane è, per definizione, il destinatario ideale di una “paideia” intesa come nutrimento dell’anima.
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Molte delle parole che nel mondo antico nominano l’infanzia e l’adolescenza ne offrono una definizione “in negativo”. Dell’infanzia, ad esempio, viene indicato non ciò che essa è, ma ciò che non è, ciò in cui è manchevole. Così il bambino appena nato è infans (prefisso in, con funzione negativa, più fans, participio presente del verbo fari, “parlare”), cioè “non ancora in grado di parlare” e, analogamente, nel mondo greco egli è nēpios (negazione più epos, “parola”), cioè il “senza parola”. Fondamentali sono considerate, nell’antichità greco-romana, l’educazione e l’istruzione come strumenti di crescita e, insieme, di perfezionamento e inveramento di quella natura che nel giovane è vista come ancora incompleta. Pais, in greco, è il bambino a cui non solo compete il gioco (paizein), ma a cui soprattutto è destinata la paideia, il percorso educativo che lo aiuterà a diventare adulto. Il latino adulescens (formato dal rafforzativo ad e dal participio presente del verbo alere, “nutrire”) è il giovane in quanto si alimenta di ciò che vivifica il corpo, ma anche e soprattutto di un cibo che nutre e rafforza l’anima. Diventare adulto significa, all’opposto, “essersi nutrito”. Se il giovane è, per definizione, il destinatario ideale di una paideia intesa come nutrimento dell’anima, una guida interessante in questo percorso educativo è il De liberis educandis (Mor. 1A-14C), breve trattato inserito tra i Moralia, attribuito (oggi con fortissime riserve) a Plutarco, e che ha goduto di enorme fortuna soprattutto in età umanistico-rinascimentale: l’autore si occupa dell’educazione dei giovani, dall’infanzia alla prima età scolare fino alla piena adolescenza, introducendo regole di grande modernità per crescere figli liberi e onesti. Il giovane è visto come un terreno destinato alla semina: la natura lo ha reso, fin dalla nascita, fertile o arido, ma quest’ultima sfortunata eventualità non deve tradursi in un atteggiamento di sfiducia o fatalismo. Come il bravo agricoltore, attraverso la pratica e la disponibilità di ottime sementi, può ottenere un buon raccolto anche da un terreno poco fertile, così l’adulto che accompagna il giovane nel processo di crescita gli deve fornire strumenti preziosi (soprattutto esercizio e dedizione allo studio) per aiutarlo a fiorire, riscattandolo dall’eventuale miseria della propria origine. Viceversa, il terreno naturalmente più fertile isterilisce se abbandonato all’incuria. Così, per l’autore del De liberis educandis sono tre i fattori destinati ad assicurare, nel loro mutuo equilibrio, il raggiungimento della virtù e della felicità: natura (physis), istruzione (mathēsis) ed esercizio (askēsis). Questi due ultimi sono, però, i più preziosi perché in grado di modificare, almeno in parte, la natura che alla nascita ci è stata assegnata, mitigandone le asperità. Attraverso una ricca serie di esempi, tratti dalla storia, dall’esperienza quotidiana e dal mondo degli animali, ci viene mostrato come il carattere di una persona non sia altro che un’abitudine (ēthos) che si struttura nel tempo. La virtù chiede tempo. Già il poeta e rapsodo Senofane di Colofone, in un enigmatico frammento, aveva sostenuto che Gli dèi non rivelarono certo fin dall’inizio tutto ai mortali, ma questi nel tempo cercando trovano meglio. (21B 18 Diels Kranz) Il mistero di questo “trovare” si adatta a una molteplicità di interpretazioni, ma ciò che è certo è che, se agli dei spetta una visione delle cose istantanea e assoluta nel tempo e nello spazio, l’uomo è invece destinato a una paziente ricerca che assicura, nel corso del tempo e in forma mai definitiva, il raggiungimento di un “meglio” in senso morale e conoscitivo. Duttile e insieme fragile è la natura dei bambini: come morbida cera, essi si modellano sulla base degli insegnamenti ricevuti e anche del tipo di fiabe narrate loro dagli adulti. Di qui l’importanza che i modelli educativi siano validi e che i racconti siano ispirati a rettitudine e virtù, oltre che espressi in un linguaggio appropriato. A una buona paideia, a un buon nutrimento dell’anima corrisponderà un giovane virtuoso e soddisfatto della propria vita. Amore e modelli positivi sono il fondamentale presupposto di una buona crescita, e a tal fine viene scoraggiata la pratica, diffusa nell’antichità, di affidare i piccoli a balie e nutrici. Se possibile, molto meglio che siano le madri ad allattare e crescere i figli perché lo faranno con dedizione totale, “quasi li amassero da dentro” (Mor. 3C2). La syntrophia, cioè la condivisione del cibo e insieme del processo di crescita, è termine evocativo che allude a uno sviluppo armonico in grado di coinvolgere, allo stesso tempo seppur in forma diversa, adulto e giovane. Syntrophia è “una chiave che tende la corda dell’amore” (Mor. 3D3-4, trad. di G. Pisani), facendola vibrare in perfetta armonia. L’autore del trattato conosce bene le intemperanze dei giovani, il loro ardore e la loro passione, e ne osserva con indulgenza la natura impetuosa e gli istinti ribelli. La filosofia sarà la disciplina più importante da coltivare per il raggiungimento della virtù e la felicità futura. Infine, in una sorprendente rilettura del modello tradizionale di paideia, il trattato si chiude con l’esempio ammirevole di una madre che, in età avanzata, intraprese lo studio delle lettere per apprendere insieme ai figli il dono delle Muse. Perfetto esempio di amore e potenza educativa, l’illirica Euridice, “tre volte barbara”, si consacrò infatti allo “studio delle lettere, che serbano delle parole il ricordo” (Mor. 14C1-2). Scompare così la distanza tra adulescens e adultus, tra chi si nutre e chi si è già nutrito, non solo perché la ricerca è un cammino che avviene nel tempo, ma anche perché la syntrophia, come condivisione di sapere e bellezza, rende il processo di crescita un’esperienza fortunata e senza fine. Crediti immagini Apertura: Un magister romano con tre allievi. Bassorilievo rinvenuto a Neumagen-Dhron, presso Treviri (Wikimedia Commons) Box: Giovinetta intenta alla lettura (bronzo del I sec.) (Wikimedia Commons)
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