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Le figure retoriche

Le altre vite del metaplasmo

Abbiamo già parlato di metaplasmo, ma lo riproponiamo per conoscere meglio la sua famiglia di figure retoriche: sistole e diastole, metatesi, tmesi. E fate attenzione agli accenti!
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[…] Destò la luna i languidi sbadigli degli altri: a lei si riflettè su gli occhi umidi e lustri sotto i curvi cigli. Si scaldavano un poco ora i marmocchi a lei. L’ultimo, in terra, il capo ciondo- loni via via le urtava ai due ginocchi. […] Giovanni Pascoli, Gli emigranti nella luna, Canto II (1909)   Abbiamo già parlato del metaplasmo (qui) ma ci eravamo limitati ad alcune delle sue forme possibili. Oggi ne vediamo altre: quelle in cui, grazie a questi mutamenti fonetici, si può giocare con le parole cambiandone la forma o il modo in cui vengono pronunciate.  

Contrazioni del cuore, inversioni, tentazioni irresistibili, parole spaccate in due

Per esempio, sono metaplasmi due figure che hanno lo stesso nome dei movimenti di contrazione e dilatazione del cuore: la sistole e la diastole. Sistole e diastole hanno anche in retorica delle funzioni di contrazione e dilatazione: con la sistole, una vocale lunga diventa breve (così, per esempio, pièta diventa pietà); con la diastole, avviene il contrario – una vocale breve diventa lunga (c’è un esempio nel Canto VI del Paradiso, al verso 49: «Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi». A Dante serviva modificare l’accento per far rimare la parola Aràbi con “Fabi” e “labi”). Poi c’è la metatesi (e, visto che in questa figura gli accenti contano, fate un po’ di attenzione: qui è sulla “a”): la usiamo tantissimo nella vita quotidiana quando diciamo «Spengi la luce» al posto di «Spegni», o quando ci viene da dire areoplano, areoporto, al posto di aeroplano, aeroporto, o quando infine ci pare che «Il troppo stroppia»: bisognerebbe dire che storpia, ma l’assonanza e l’effetto allitterante tra “troppo” e “stroppia” sono delle tentazioni irresistibili. Infine c’è la tmesi: avviene quando prendiamo una parola e la spezziamo in due. Lo fa Pascoli nel poemetto che riportiamo sopra, quando va a capo tra il penultimo e ultimo verso spaccando la parola “ciondoloni”. A Pascoli, tra l’altro, la tmesi piaceva parecchio: la usa in Myricae, nella bellissima coppia di versi «Io mi trovo a piangere infinita-/mente con te» (Colloquio, II), e pure in Le armi, VII: «Suonano a onde le campane treme-/bonde sopra i villaggi e le città».   Crediti immagini Apertura:  Flickr Box: Pxhere
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