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Ma perché le donne?
Dice Jules Michelet, storico francese autore, nel 1862, di un grande saggio su La strega, che gran parte della violenza con cui la Chiesa perseguitò, tra il 1300 e il 1600, le cosiddette streghe, è figlia del maschilismo: le donne sono creature “deviate”, ambiziose, infedeli, capaci di circuire i mariti; controllano la fecondazione, all’occorrenza praticano aborti, hanno accesso alle cucine e alle farmacie; possono guarire gli uomini dalle malattie, ma possono anche procurarle. Da sibilla o fata che era nei tempi antichi, la donna si è dunque trasformata nel Medioevo in strega, modificando inesorabilmente il nostro immaginario: essa è il diverso più diverso che ci sia: in una società di uomini, essa uomo non è ed è per questo condannata alla persecuzione.
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La letteratura e le streghe loro malgrado
Nel gennaio del 1590, a Novara, qualcuno depositò sulla ruota un neonato dall’aspetto bruttissimo: sopravvisse al gelo e all’abbandono e fu battezzata – poiché era una bambina – Antonia Renata Giuditta Spagnolini. Vent’anni più tardi, Antonia sarebbe stata arsa sul rogo dalla Santa Inquisizione per stregoneria. In quei vent’anni, Antonia era stata adottata da una famiglia di contadini di Zardino e s’era fatta bella, anzi, talmente bella che qualcuno nel paese aveva cominciato a dire che tanta bellezza sembrava venire dal demonio. Tutti gli uomini del paese la desideravano, ma lei si era innamorata di un vagabondo, e si comportava in modo strano (per esempio si era messa a ballare, una volta, con un lanzichenecco nella piazza del paese). Bella, strana, figlia di non si sa chi: la colpa della carestia e dei cattivi raccolti era sicuramente sua. Di notte, poi, qualcuno l’aveva vista entrare nel bosco – dove incontrava il suo vagabondo – e aveva sparso la voce che partecipasse al Sabba. Così fu catturata, processata e torturata: e solo la pietà del boia, che le diede un po’ di veleno prima di accender le fascine, le permise di morire prima che s’alzasse il fuoco. È una storia tipica, quella che Sebastiano Vassalli ha raccontato in La chimera (1990), probabilmente il suo libro più conosciuto: ma è anche una storia vera, frutto del lavoro che lo scrittore ha compiuto sui documenti e sulle memorie dell’epoca. La chimera è uno dei pochissimi romanzi italiani che fanno davvero i conti con la stregoneria, ed è forse l’unico in cui non c’è magia: Antonia non è una strega, non tenta sortilegi e malefici. È una donna normale percepita come diversa e dunque espulsa dalla comunità e perseguitata.
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È strega suo malgrado anche Margherita, protagonista dello straordinario romanzo dello scrittore russo Michail Bulgakov Il Maestro e Margherita (1940). Complicatissima storia ambientata tra la Mosca degli anni Venti – quando, finita la rivoluzione, Josif Stalin salì al potere – e la Gerusalemme dell’epoca di Cristo, Il Maestro e Margherita racconta due vicende che si intrecciano: nella prima, il Maestro, scrittore considerato pazzo dal regime, è rinchiuso in manicomio. Ha scritto un romanzo sulla figura di Ponzio Pilato – che rappresenta la seconda linea narrativa del libro. In essa, si racconta di come Pilato abbia condannato Cristo sapendo chi egli fosse. Da duemila anni, così, il procuratore è perseguitato dal mal di testa e dal rimorso e dal desiderio di riconciliarsi con Dio. Per ristabilire la giustizia Voland, un diavolo, scende sulla terra con il suo codazzo di demoni, “prende in affitto” un appartamento (l’appartamento numero 50 sulla via Sadovaja, dove lo stesso Bulgakov viveva) e porta scompiglio a Mosca. Il suo scopo reale è incontrare il Maestro, restituirgli il manoscritto del romanzo e liberarlo per sempre: per far questo, però, il diavolo ha bisogno di una dama. Margherita, l’amante del Maestro che da molto tempo non ha più sue notizie, accetta per amore di accompagnarlo al Sabba. Si tramuta in strega per una notte, si vendica di tutti coloro che hanno perseguitato lei e il Maestro, e fa da tramite con il diavolo nel momento dell’incontro finale. Così, al Maestro e a Margherita è finalmente concessa la pace eterna: non saranno più perseguitati e vivranno come hanno sempre sognato – non prima, però, che il Maestro, in un finale vorticoso in cui le due linee narrative si incontrano, abbia liberato Pilato dai suoi tormenti.
A questo link alcune foto dell'appartamento del diavolo, a Mosca
Le streghe come metafora di una mancanza
Le streghe nascono laddove c’è una mancanza: è il senso di giustizia, o meglio, la volontà che la giustizia sia stabilita una volta per tutte che porta Margherita ad accettare la proposta di Voland e a tramutarsi per recuperare, in un aldilà di pace, il suo amato. Antonia, nella sua ricerca dell’amore, non capisce invece la società che le sta attorno e che la giudica e commette degli errori: ma viene accusata di stregoneria perché il riso nelle risaie scarseggia, le annate sono grame e un colpevole ci vuole – qualcuno che ha maledetto la terra in cui vive e l’ha, a suo modo, avvelenata. Allo stesso modo, molti dei grandi miti horror della storia della letteratura nascono come metafore di grandi catastrofi: i topi che Nosferatu trasporta nelle sue bare dalla Transilvania all’Europa centrale sono portatori di peste – quella stessa peste per cui morirono, accusati di avvelenare il mondo, migliaia di ebrei e lebbrosi e che sembrava un castigo troppo grande e crudele per poter esser mandato da Dio.
Clicca qui per leggere una scheda su Nosferatu, il principe della notte di Werner Herzog (1979), rivisitazione del mito di Dracula
Immagine di apertura: Hans Baldung, Witches (via Wikimedia Commons)
Immagine del box: G.B. Douglas, "Witches of Denalbo" (via Wikimedia Commons)