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Storia di oggi

Guerra fredda USA - Cuba: la svolta del 17 dicembre 2014

Il 17 dicembre 2014 gli Stati Uniti e Cuba hanno dichiarato di voler ristabilire normali relazioni diplomatiche. Con questa storica svolta nei rapporti tra i due paesi è crollato uno degli ultimi e più anacronistici «muri» della guerra fredda.
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Il 17 dicembre 2014 gli Stati Uniti e Cuba hanno dichiarato pubblicamente di voler ristabilire, dopo 53 anni di aperta ostilità, normali relazioni diplomatiche. L’annuncio è stato dato, quasi contemporaneamente, dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama e dal presidente del Consiglio di Stato cubano Raúl Castro. Con questa storica svolta nei rapporti tra i due paesi è crollato uno degli ultimi e più anacronistici «muri» della guerra fredda. Nel presente aggiornamento cercheremo di capire il contesto, le ragioni e le implicazioni di questo importante mutamento d’orizzonte della politica estera degli Stati Uniti e di Cuba. A tal fine ripercorreremo schematicamente la tormentata vicenda dei rapporti tra i due paesi nel XX secolo. Ci concentreremo poi sul significato e sui termini effettivi della «svolta». E ci interrogheremo infine sui limiti e le prospettive future di questo storico accordo, su cui pesano ancora molteplici incognite.
Il discorso del presidente Obama del 17 dicembre 2014 (in inglese)
Il discorso completo di Raúl Castro (in spagnolo)
  1. CUBA DAL DOMINIO SPAGNOLO AL PROTETTORATO AMERICANO La colonizzazione spagnola e la guerra ispano-america­na. Separata dalla Florida da un braccio di mare di soli 140 chilometri, l’isola di Cuba è entrata direttamente nell’orbita degli Stati Uniti alla fine del XIX secolo. Colonizzata dagli spagnoli, essa rimase sostanzialmente estranea all’ondata di movimenti indipendentisti che nella prima metà dell’Ot­tocento portarono l’Ameri­ca latina all’eman­ci­pa­zione dalla do­minazione coloniale europea. Una prima decennale guerra di indipendenza (1868-78) diede all’isola una relativa autonomia amministrativa dalla Spagna. La definitiva liberazione dal dominio coloniale, tuttavia, giunse vent’anni più tardi, a seguito di una seconda feroce guerra di indipen­den­za (1895-98) e soprattutto del diretto intervento degli Stati Uniti che, interessati al controllo dell’isola per ragioni strategiche e commerciali, dichiararono guerra alla Spagna (febbraio 1898), la costrinsero alla resa (dicembre 1898) e occuparono Cuba stabilendovi un proprio governo militare provvisorio (gennaio 1899). Il «protettorato» americano: dall’emendamento Platt alla dittatura di Batista. Nel 1902 i militari statunitensi si ritirarono da Cuba, che poté così istituire il suo primo governo indipendente. Prima che ciò avvenisse, tuttavia, i cubani dovettero incorporare nella propria Costituzione (giugno 1901) il cosiddetto «emendamento Platt»: una risoluzione del Congresso Usa (presentata dal senatore Orville H. Platt), che imponeva la concessione agli Stati Uniti di alcune basi militari – tra queste la famigerata Guantanamo – e il diritto di intervenire negli affari interni dell’isola.
Una vignetta satirica illustra gli effetti dell'emendamento Platt
Nel 1934 gli Usa rinunciarono formalmente a questo diritto, pur mantenendo le proprie basi nel paese. Di fatto, però, tra la guerra ispano-americana del 1898 e la rivoluzione castrista del 1959 essi stabilirono un vero e proprio protettorato sull’isola, che favorì una massiccia penetrazione dei capitali americani e provocò una crescente dipendenza economica e finanziaria di Cuba dagli Stati Uniti, soprattutto nei settori della produzione dello zucchero e del tabacco. In questi anni gli Usa inviarono più volte proprie truppe nell’isola. Diedero il loro sostegno alle oligarchie locali, in cambio della protezione dei propri interessi economici. E dopo la fine della dittatura filofascista del generale Gerardo Machado (1924-33) fornirono un appoggio sistematico a Fulgencio Batista, l’uomo che per oltre due decenni dominò la politica cubana: dapprima come capo delle forze armate, poi come presidente della Repubblica (1940-44) e infine, in piena guerra fredda, come leader di un regime brutalmente dittatoriale portato al potere da un colpo di stato sostenuto e prontamente riconosciuto dagli Stati Uniti (1952-59).   2. LA RIVOLUZIONE CASTRISTA: LA GUERRA FREDDA NEI CARAIBI  
Fidel Castro
Dalla rivoluzione alla «crisi dei missili». Fu la rivoluzione castrista a mettere fine alla dittatura di Batista il 1° gennaio 1959 e a porre Cuba in aspro contrasto con il suo potente vicino. Le riforme di Fidel Castro – in particolare la riforma agraria e la nazionalizzazione delle imprese straniere che operavano sull’isola – scatenarono l’opposizione interna e quella degli Usa. Il risultato fu la radicalizzazione del movimento rivoluzionario, che assunse rapidamente un carattere socialista e si avvicinò all’Unione Sovietica, dapprima sul piano economico e commerciale e poi su quello più propriamente politico. Da qui, in rapida sequenza, l’embar­go degli Usa sulle merci dirette a Cuba, imposto da Eisenhower (1960) e poi da Kennedy (1962); la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi (gennaio 1961); il fallito tentativo americano di rovesciare il regime di Castro sostenendo uno sbarco di esuli cubani anticastristi nella baia dei Porci (aprile 1961); e ancora la proclamazione di Cuba quale «repubblica socialista» (maggio 1961). Un anno e mezzo più tardi, nell’ottobre 1962, l’installa­zione sull’isola di rampe missilistiche sovietiche in grado di veicolare testate nucleari contro il territorio americano aprì una gravissima crisi internazionale tra Usa e Urss. La «crisi dei missili» – una delle più pericolose di tutta l’età della guerra fredda – rientrò dopo un paio di settimane, con il ritiro delle installazioni sovietiche e l’inizio di un periodo di distensione tra le due superpotenze. Da allora, tuttavia, i rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti rimasero estremamente tesi. Il rapporto con l’Urss e le conseguenze della caduta dei comunismi. Strangolata dall’embargo, l’isola caraibica poté contare ancora per molti anni su significativi aiuti militari ed economici sovietici, che le permisero di consolidare il regime all’interno e di svolgere un ruolo di qualche rilievo tra i movimenti anti-impe­rialistici latinoamericani e più in generale del Terzo Mondo. Tra il 1989 e il 1991, tuttavia, la caduta dei comunismi e la disintegrazione dell’Unio­ne Sovietica lasciarono Cuba nel più completo isolamento e in una drammatica situazione economica. È in questo quadro che iniziarono a maturare alcune importanti premesse della «svolta» che si è poi compiuta il 17 dicembre 2014. Tra esse vanno annoverate alcune prime timide aperture all’economia di mercato e agli investimenti stranieri e poi, nel 2006, l’uscita di scena di Fidel Castro, il simbolo vivente della rivoluzione cubana. Gli subentrò il fratello minore Raúl, che impresse un’ulteriore spinta alla riforma interna del regime. Egli cercò al tempo stesso di porre fine all’iso­la­mento del paese. Per un verso, consolidando i rapporti con altri paesi latinoamericani, in particolare con il Venezuela, la Bolivia e il Brasile. Per un altro verso, guardando con crescente interesse agli Stati Uniti di Obama, eletto presidente nel 2008 e sin da allora disposto, sia pure a fronte di precise condizioni, a prendere in considerazione la possibilità di normalizzare le relazioni con Cuba.   3. LA SVOLTA DEL 17 DICEMBRE 2014 Gli ostacoli alla normalizzazione. Un imponente ostacolo alla normalizzazione dei rapporti tra gli Usa e Cuba era rappresentato dalle accuse di spionaggio che i due paesi continuavano a muoversi reciprocamente. Un peso particolare aveva avuto nel 2009 – proprio quando si cominciavano a registrare i primi segnali di distensione – l’arresto di Alan Gross, un cittadino americano legato alla U.S. Agency for International Development che aveva venduto ai cubani, senza l’autorizza­zione del governo, materiale per le comunicazioni satellitari e computer portatili. Due anni più tardi, nel 2011, Gross fu condannato a 15 anni di prigione per «minacce alla sicurezza e all’indipendenza dello Stato». Il che, ancora una volta, tornò a inasprire i rapporti tra gli Stati Uniti e Cuba. Le trattative e l’accordo. Fu proprio il caso Gross, tuttavia, a sbloccare la strada dell’accordo tra gli Usa e Cuba. Fu decisiva in proposito la mediazione del governo canadese e soprattutto del Vaticano e di Papa Bergoglio, che attraverso trattative segrete durate diciotto mesi contribuirono a far ripartire i colloqui tra i due paesi. Il risultato fu innanzitutto uno scambio di prigionieri: Gross e una spia statunitense da lungo tempo in carcere a Cuba furono rilasciati; gli Usa, dal canto loro, liberarono tre agenti segreti cubani arrestati nel 1998 in Florida e poi condannati per spionaggio.
Alan Gross rientra negli Stati Uniti
  Poche ore più tardi, il 17 dicembre 2014, i due presidenti annunciarono in televisione i termini dell’accordo tra gli Usa e Cuba, che prometteva misure di distensione assai più ampie di un semplice scambio tra prigionieri. Tra esse: la riapertura delle ambasciate a L’Avana e a Washington; l’eliminazione di Cuba dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo; una parziale riduzione delle limitazioni poste alla circolazione di denaro e all’import-export tra i due paesi; significative facilitazioni per i ricongiungimenti familiari dei cubano-ameri­cani e l’aumento delle rimesse che essi erano autorizzati a inviare sull’isola; l’allenta­mento delle restrizioni sui viaggi a Cuba; e, ancora, l’impe­gno a favorire la diffusione di internet sull’i­sola e, con essa, un più ampio e libero «flusso di informazioni».   4. RAGIONI, LIMITI E PROSPETTIVE DELLA SVOLTA «Todos somos americanos». La svolta del 17 dicembre è stata presentata da Obama e Castro come il frutto della volontà di superare un’ostilità ormai del tutto anacronistica. Come la presa d’atto della necessità di «imparare l’arte di convivere, in modo civile, con le nostre differenze», come ha detto Castro. Ovvero – così Obama – come l’opportuna e necessaria conseguenza di una sostanziale unità del continente americano («Todos somos americanos»). Al di là di ogni pur ragionevole retorica, sono tuttavia evi­denti i vantaggi che i due ex contendenti si attendono dal nuovo corso. Cuba conta di ridare ossigeno alla sua economia in crisi e di puntellare il suo regime ormai traballante. Gli Usa, dal canto loro, sperano di avviare una nuova massiccia stagione di investimenti nell’isola caraibica e soprattutto di rilanciare il proprio ruolo in America Latina. Il problema dell’embargo e il futuro delle relazioni tra Usa e Cuba. Non è affatto detto che queste attese possano essere soddisfatte nel prossimo futuro. Sulle relazioni tra i due paesi continua a pesare come un macigno il problema dell’embargo – del bloqueo – che, pur ridimensionato da Obama, rimane tuttavia ancora in vigore.
Uno degli effetti più caratteristici del bloqueo
La sua rimozione, infatti, non è nelle prerogative presidenziali, ma in quelle del Congresso, ora dominato da una maggioranza repubblicana fortemente ostile a qualsiasi ipotesi di distensione, con l’appoggio della forte comunità dei cubani anticastristi soprattutto della Florida. È dunque possibile che la svolta del 17 dicembre, e tutto ciò che seguirà nei prossimi mesi in termini di relazioni diplomatiche, non produca nel breve periodo effetti davvero consistenti. La svolta, tuttavia, c’è stata. Secondo molti osservatori, sul medio-lungo periodo essa introdurrà importanti novità nella regione e nei rapporti interamericani. Non è affatto scontato, però, che tali novità vadano nel senso auspicato da Castro e Obama. Il regime castrista, infatti, potrebbe non reggere ai cambiamenti e cedere del tutto, come è accaduto, sia pure in un contesto molto diverso, per l’Unione Sovietica di Gorbaciov. Allo stesso modo, non è affatto certo che la «diplomazia del dollaro» degli Stati Uniti sia davvero la chiave per la riconquista di un ruolo egemonico nel continente americano.
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