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ISIS, Lo Stato islamico

Con le sigle Isis (“Stato islamico dell’Iraq e della Siria”), Isil (“Stato islamico dell’Iraq e del Levante”) o più recentemente Is (“Stato islamico”) si indica un vasto e articolato gruppo jihadista di confessione sunnita che ormai da diverso tempo, sotto diverse denominazioni, opera tra l’Iraq (dal 2004) e la Siria (dal 2011).
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Con le sigle Isis (“Stato islamico dell’Iraq e della Siria”), Isil (“Stato islamico dell’Iraq e del Levante”) o più recentemente Is (“Stato islamico”) si indica un vasto e articolato gruppo jihadista di confessione sunnita che ormai da diverso tempo, sotto diverse denominazioni, opera tra l’Iraq (dal 2004) e la Siria (dal 2011). Nei suoi Country Reports on Terrorism, il Dipartimento di Stato degli USA classifica l’Isis – e le formazioni da cui esso è sorto – come “Foreign Terrorist Organization”. Gli incredibili successi militari, politici e strategici che questa frangia ultraradicale del jihadismo ha ottenuto soprattutto in Iraq nel corso del 2014, con un uso sistematico e particolarmente efferato della violenza e del terrore, hanno tuttavia trasformato l’Isis in qualcosa di più complicato e di assai più pericoloso di una “semplice” organizzazione terroristica. Non è un caso che il recente vertice dei paesi della NATO riunitosi a Newport (Galles) il 4-5 settembre 2014 abbia individuato nell’avanzata dell’Isis in Medio Oriente, accanto alla crisi in Ucraina, una delle due grandi emergenze dell’attuale situazione politica internazionale.
In questo aggiornamento proveremo a capire, per quanto è possibile sulla base di notizie ancora molto frammentarie e in continua evoluzione, che cosa sia l’Isis (§ 1), quali siano state le sue origini (§ 2) e le principali tappe del suo sviluppo (§ 3) e quali siano le minacce che esso pone ai fragili equilibri del Medio Oriente e al mondo intero (§ 4).
1. Che cos’è l’Isis
2. Le origini dell’Isis: la “seconda guerra del Golfo”
3. Da “Al Qaeda in Iraq” allo “Stato islamico”
4. Scenari
 
1. CHE COS'E' L'ISIS
L’Isis è un’organizzazione militare e terroristica che appartiene all’ampia e variegata galassia del fondamentalismo islamico, magistralmente studiata – ormai diversi anni or sono – da Gilles Kepel nel suo Jihad. Ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico. Al tempo stesso è il prodotto della specifica situazione politica che si è venuta a creare in Iraq nel 2003-2004 all’indomani della «seconda guerra del Golfo». Vale a dire della guerra condotta principalmente da Stati Uniti e Gran Bretagna contro l’Iraq nel 2003, la quale portò alla caduta e poi alla condanna a morte del dittatore iracheno Saddam Hussein. È sulla base di queste due matrici che si può schematicamente comprendere che cos’è l’Isis, il quale oggi si autodefinisce più semplicemente Is: “Stato islamico”.
Come tutti i gruppi che si ispirano al fondamentalismo islamico dal Marocco all’Indone­sia, l’Isis si riconosce nel principio – adottato dai Fratelli Musulmani in Egitto nel 1928 e poi da tutti i movimenti fondamentalisti sorti soprattutto nell’ultimo quarto del XX secolo – secondo il quale “la nostra Costituzione è il Corano”. Esso, cioè, concepisce l’Islam come “un sistema completo e totale” per il governo della umma, la comunità dei fedeli musulmani. Predica il jihad, la guerra santa contro gli infedeli, al fine di instaurare uno “Stato islamico” che adotti e applichi la shari’a, la legge dei sacri testi dell’Islam. E auspica la piena restaurazione del “califfato”, indebolito tra Otto e Novecento dalla colonizzazione europea, di fatto distrutto dalla prima guerra mondiale e poi definitivamente abolito nel 1924 da Atatürk, il fondatore della Turchia moderna.
Da questa prospettiva l’Isis non presenta alcun elemento di particolare originalità. La sua dottrina e il suo progetto sono essenzialmente gli stessi che ritroviamo, sia pure in contesti e con intonazioni differenti, nelle dottrine integraliste originarie dell’egi­ziano Sayyid Qutb (1906-1966), del pakistano Abu al-A’la Mawdudi (1903-1979) e dell’irania­no Ruhollah Khomeini (1900-1989) sino ai proclami “neocaliffali” di Osama Bin Laden e di Al Qaeda, di cui l’Isis – come vedremo – ha fatto per lungo tempo parte in Iraq. La differenza, di non poco conto, è che l’Isis il califfato – lo “Stato islamico” – lo ha effettivamente proclamato il 29 giugno 2014 nei vasti territori che ha brutalmente occupato tra Iraq e Siria, prendendo le distanze dalla stessa Al Qaeda.
Attualmente l’Isis – che proprio dopo la proclamazione del califfato si autodefinisce semplicemente Is – conta sulla forza di svariate migliaia di miliziani jihadisti in Iraq e in Siria. Ha enormi risorse finanziarie, che trae dal controllo ferreo dei territori occupati. Ed è guidato da un leader fortemente carismatico, Abu Bakr al-Baghdadi, lo “sceicco invisibile”, che solo negli ultimi mesi – dopo anni vissuti in quasi totale segretezza – si è mostrato pubblicamente ai suoi seguaci e a tutto il mondo, annunciando l’inizio di un “nuovo jihad internazionale”. Non soltanto in Medio Oriente, ma anche in Occidente.
Per comprendere questi sviluppi più recenti, e con essi la specifica natura dell’Isis, si deve gettare uno sguardo alle origini del movimento e alla sua storia ormai decennale.
 
2. LE ORIGINI DELL'ISIS: LA "SECONDA GUERRA DEL GOLFO"
Come si è già accennato, le radici della parabola dell’Isis vanno rintracciate nella complessa situazione in cui l’Iraq precipitò tra il 2003 e il 2004, all’indomani della cosiddetta “seconda guerra del Golfo”.
Combattuta a dodici anni di distanza dalla «prima guerra del Golfo» (1991), questo breve ma assai destabilizzante conflitto fu fortemente voluto dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush jr. e dal suo entourage all’indomani degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, messi a punto da Al Qaeda contro il World Trade Center di New York e il Pentagono a Washington. Oltre che per ristabilire il controllo degli USA su un paese di fondamentale interesse strategico per gli equilibri geopolitici in Medio Oriente e per l’approvvigio­namento energetico mondiale, per Bush erano due gli scopi essenziali del conflitto. Il primo era quello di estendere la “war on terror” dall’Afgha­nistan dei talebani (con cui gli USA erano in guerra già dall’ottobre del 2001) allo “Stato canaglia” iracheno, il quale, in connessione con gruppi estremistici di ogni tipo tra cui la stessa Al Qaeda – questa almeno la tesi dell’amministrazione Bush – stava attrezzandosi per produrre pericolosissime armi di distruzioni di massa chimiche e biologiche in grado di porre sotto ricatto il mondo intero. Il secondo scopo, di natura più propriamente ideologica e di matrice tipicamente “neoconservatrice” era quello di “esportare la democrazia” nell’universo tumultuoso dei regimi autoritari e dispotici, e soprattutto nel mondo islamico.
La «seconda guerra del Golfo» sollevò aspre opposizioni nella comunità internazionale. Almeno dal punto di vista delle operazioni militari, essa ebbe però uno sviluppo assai rapido. Iniziò infatti il 20 marzo 2003 e terminò meno di un mese dopo con la caduta del regime di Saddam Hussein, il quale fu successivamente arrestato (14 dicembre 2003) e poi processato e condannato a morte da un tribunale iracheno (30 dicembre 2006). Fu lo stesso Bush a dichiarare la fine ufficiale del conflitto il 1° maggio del 2003.
Più che la guerra in sé, tuttavia, fu soprattutto il lungo «dopoguerra» che seguì a costituire il terreno di coltura dell’estremismo islamico e quindi dell’Isis. Esso fu reso particolarmente fertile da due elementi. In primo luogo, dalla presenza del consistente contingente d’occupazione statunitense, che dopo aver trasferito progressivamente tutti i poteri al governo di Baghdad, rimase nel paese sino all’estate del 2010. E in secondo luogo, dagli aspri contrasti politici ed etno-religiosi che opponevano la minoranza sunnita della popolazione (fino al 2003 almeno relativamente garantita dal regime di Saddam Hussein) alla maggioranza sciita (ora in posizione preminente nel governo) e ai curdi, altra consistentissima minoranza stanziata in territorio iracheno. Come si può ben comprendere in un contesto del genere doveva risultare estremamente arduo realizzare un efficace e duraturo controllo del territorio, stabilire il dominio della legge e qualsivoglia forma di “democrazia”, e tenere a bada la violenza dilagante dei clan tribali, dei diversi gruppi etnici e religiosi e poi, appunto, del terrorismo di matrice islamista.
 
3. DA "AL QAEDA IN IRAQ" ALLO "STATO ISLAMICO"
È in questo quadro che si insediò e poi si radicò nel paese l’organizzazione terroristica da cui doveva poi sorgere, attraverso continui rimescolamenti, alleanze e fusioni con altri gruppi estremistici, l’Isis. All’origine di questo processo troviamo dapprima, operante già negli anni Novanta in Medioriente, il network terroristico del giordano Abu Mussab al Zarqawi, che nel 2003, durante la guerra, pose le sue basi in Iraq, stringendo nel corso del 2004 rapporti organici con Al Qaeda e Osama Bin Laden. Nacque così il più immediato precursore dell’Isis: “Al Qaeda in Iraq” (Aqi). Il Dipartimento di Stato USA ha classificato per la prima volta questo movimento come “organizzazione terroristica” nel dicembre 2004, catalogandolo poi come gruppo con caratteristiche proprie, e distinto da Al Qaeda, nel Country Report on Terrorism del 2005.
Fin dal principio del “dopoguerra” iracheno, l’Aqi mise a punto una vasta serie di attentati contro il personale militare americano, obiettivi civili (in particolare sciiti e curdi), infrastrutture e luoghi di culto, ricorrendo anche ad attentatori suicidi. Il tutto allo scopo di creare le condizioni di una vera e propria guerra civile e di scardinare al tempo stesso l’occupazione americana del territorio e il governo a maggioranza sciita dell’Iraq post-Saddam. L’Aqi si sforzò nel contempo di unificare in una struttura unitaria i diversi gruppi terroristici sunniti operanti in Iraq.
Dopo la morte di al Zarqawi, ucciso in un raid aereo americano il 7 giugno 2006, il movimento intensificò le proprie attività incrementando il numero dei propri miliziani. Nell’ottobre di quello stesso anno, restando sempre associato ad Al Qaeda, esso assunse un nuovo nome: “Stato islamico dell’Iraq” (Isi), sotto la guida di Abu Ayyub al-Masri a cui si affiancò in seguito Abu Umar al-Baghdadi. È sotto questa nuova sigla che l’organizza­zione iniziò allora a rivendicare un numero crescente di attentati, diventando presto il più vasto e aggressivo gruppo terroristico operante nel paese. Nonostante l’efficace attività di controinsurrezione messa in atto tra il 2007 e il 2008 dal generale americano David Petraeus, l’Isi riuscì a trarre infatti un forte alimento dalla dissennata politica anti-sunnita del governo iracheno dello sciita Nuri al-Maliki.
Tra il 2010 e il 2011 due sviluppi importanti impressero una svolta ulteriore alla storia del movimento. Il primo fu l’uccisione, nell’aprile del 2010, di al-Baghdadi e di al-Masri nel corso di un’operazione di controterrorismo effettuata da forze irachene e americane. Ad essi subentrò alla guida dell’organizzazione l’attuale leader dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, un personaggio dal forte richiamo carismatico. Il secondo sviluppo – messo in moto dalle cosiddette “primavere arabe” – fu l’inizio della guerra civile in Siria tra il 2011 e il 2012, cui l’Isi prese parte in misura sempre più significativa contro il presidente Bashr al Assad. Dapprima, stabilendo strette anche se difficili relazioni con il Fronte al-Nusrah, anch’esso affiliato ad Al Qaeda e al suo nuovo leader Ayman al-Zawahiri, subentrato alla guida del movimento dopo l’uccisione di Osama Bin Laden il 1° maggio 2011. E poi, nell’aprile del 2013, adottando il nome di Isil (“Stato islamico dell’Iraq e del Levante”) ovvero di Isis (“Stato islamico dell’Iraq e della Siria”). Era un segno molto chiaro che il gruppo jihadista stava maturando una strategia più ampia di quella sino ad allora di fatto circoscritta allo specifico contesto iracheno. La sua sfida si stava proiettando oltre e contro la divisione del mondo arabo in stati-nazione, disegnati in modo artificioso dalle grandi potenze vincitrici della prima guerra mondiale. Nella direzione, appunto, della restaurazione del “califfato”.
Per il suo radicalismo estremo e per l’efferatezza delle sue operazioni militari e terroristiche nel corso del 2014 l’Isis è entrato progressivamente in collisione con gli altri gruppi jihadisti operanti in Iraq e in Siria, alienandosi nel contempo le iniziali simpatie dello stesso mondo sunnita, che avevano conferito forza ed efficacia alle sue azioni. Nel febbraio del 2014 esso è stato sconfessato addirittura dallo stesso al-Zawahiri, il leader di Al Qaeda. E tuttavia, nonostante il suo isolamento, l’Isis ha continuato la sua marcia verso il “califfato”, ufficialmente proclamato il 29 giugno 2014, scatenando nelle settimane successive una virulenta offensiva militare e terroristica che ha impressionato il mondo intero.
 
4. SCENARI
L’Isis o Is controlla oggi (22 settembre 2014) un vasto territorio compreso tra le coste della Siria e le regioni situate a sud di Baghdad. Occupa militarmente decine di città importanti in Iraq e in Siria, in cui ha imposto la shari’a. Attraverso centinaia di devastanti attentati terroristici, esecuzioni e rapimenti di massa (in particolare di donne e minori) che hanno fatto migliaia di vittime, ha dimostrato di non esitare di fronte all’uso più estremo della violenza e di essere capace di propagandarla in forme drammaticamente efficaci, come nel caso della decapitazione dei due giornalisti americani James Foley (19 agosto) e Steven Sotloff (1° settembre) e dell’operatore umanitario britannico David Haines (13 settembre), ripresa a video e postata su internet. Attualmente l’Is tiene prigionieri diversi ostaggi americani ed europei e forse anche italiani. Sebbene non sia del tutto chiaro in quale misura, esso ha dato avvio a un’opera di reclutamento attivando cellule jihadiste in Europa e in America che in parte si sono precipitate a sostenere la “guerra santa” nello “Stato islamico” e in parte minacciano, con una sapiente strategia del terrore, di portare il jihad in Occidente. In questo modo, la sua sfida è diventata globale.
È possibile che la forza dell’Isis venga in futuro ridimensionata, quanto meno nel medio periodo. Accanto a un isolamento sempre più pronunciato, avranno quasi sicuramente un ruolo importante i raid aerei che soprattutto gli USA hanno recentemente cominciato a effettuare, sostenuti in questo da un’ampia coalizione internazionale che comprende anche diversi paesi arabi. È con tale sostegno – questa almeno la convinzione del presidente USA Barak Obama – che gli stessi iracheni potranno forse contenere e alla fine neutralizzare la sfida dello Stato islamico. La situazione rimane, però, estremamente tesa e complessa, perché i bombardamenti aerei rischiano a loro volta di rinsaldare le diverse forze jihadiste che operano non soltanto in Iraq e in Siria, ma anche nel Nordafrica e nel Maghreb. Il pericolo, insomma, è che l’incendio si sviluppi su vasta scala.
L’Isis rappresenta dunque una grave minaccia. In primo luogo, per i complicatissimi equilibri del Medioriente, che potrebbero essere sconvolti dal diretto coinvolgimento di potenze regionali quali soprattutto l’Iran e dalle imprevedibili conseguenze che un tale coinvolgimento potrebbe produrre in un’area già da molto tempo resa instabile da altre irrisolte questioni, prima fra tutte quella palestinese. In secondo luogo, per l’annosa e più generale questione dei rapporti tra Islam e Occidente, che rischia nuovamente di infiammarsi – come è già successo al principio del XXI secolo – in una spirale senza fine di violenza terroristica e di brutali risposte militari ispirate in qualche modo al principio della “guerra preventiva”.
isis

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