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Lettere sulla tolleranza

Cinema e tolleranza

Analizzando diversi film contemporanei, Luigi Paini espone diversi modi in cui la tolleranza (religiosa, culturale ma anche tra i membri di una famiglia) viene raccontata sul grande schermo.

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È forse la cosa più difficile: essere tolleranti sembra ovvio, scontato, eppure…  Eppure, alla prima occasione di scontro, ecco che una vocina dentro di noi si riaccende: ma io con queste persone, con queste idee non voglio aver nulla a che fare! Io sono dalla parte del giusto, tutti quelli che la pensano come me sono dalla parte del giusto, gli altri evidentemente non hanno studiato abbastanza, non leggono, non guardano i programmi intelligenti, si fanno influenzare dai social, sono vittime di stereotipi eccetera eccetera. Sì, essere tolleranti è davvero difficile, proprio e anche perché esistono idee giuste e idee sbagliate, ma riconoscere il giusto e lo sbagliato non è mai un’operazione indolore. E se anche noi, mentre critichiamo gli altri, fossimo vittime di pre-giudizi uguali e contrari? Se anche noi, mentre ci riteniamo apertissimi, fossimo in realtà prigionieri di false idee, mancanza di apertura mentale, antipatia per tutto quello che contrasta la nostra “routine di pensiero”? Ecco, il cinema può essere un buon antidoto all’apatia intellettuale, soprattutto quando è capace di mettere alla berlina quelle che i francesi chiamano le “idées reçues”, i preconcetti  che hanno la diabolica forza di presentarsi come verità granitiche. Analizziamo alcuni esempi, scelti questa volta in gran parte tra produzioni particolarmente recenti (in diversi casi ancora in sala).

La cospirazione del Cairo, di Tarik Saleh, Svezia 2022

L’Egitto dei nostri giorni. Un Paese con il quale non si può evitare di avere rapporti importanti, vista la sua posizione chiave nel Mediterraneo; ma, allo stesso tempo, un Paese che pone gravissimi interrogativi sul tema della tolleranza e del rispetto dei diritti civili (basti ricordare, per noi italiani, i casi Regeni e Zaki). In questo film, realizzato per ovvi motivi fuori dai confini nazionali (la produzione è svedese), l’attenzione è posta in particolare sul difficile rapporto tra potere civile e autorità religiose. Da una parte l’onnipotente polizia segreta, con i suoi mille informatori e la sua violenza; dall’altra il più importante centro culturale dell’Islam, l’Università Al Azhar del Cairo, sempre a rischio di essere infiltrata dai fondamentalisti. È quasi impossibile distinguere tra “buoni” e “cattivi”, tracciare un solco netto, così come ci ha abituati tanto cinema americano. I poliziotti rispondono direttamente ai più alti gradi politici (e non dimentichiamo che il Presidente, il generale al Sisi, è al potere dal 2014 in seguito a un colpo di Stato militare) e in pratica non hanno nessun limite al loro operato, praticando torture e assassini. Dall’altra parte, però, il pericolo rappresentato dai fondamentalisti è fortissimo, e pone in difficoltà anche le cariche religiose che vogliono tenere l’università e la società tutta al riparo da derive terroristiche. La vicenda del giovane studente protagonista, il figlio di un giovane pescatore che arriva nella capitale dopo aver vinto una borsa di studio, riassume compiutamente questo dissidio. Suo malgrado, si troverà a giocare un ruolo importante nella lotta in corso, rischiando però di esserne letteralmente stritolato.

Un uomo felice, di Tristan Séguéla, Francia 2023

Dal dramma alla commedia. Il cinema francese ha una particolare abilità nel trattare i temi più impervi, quelli che possono scatenare discussioni infinite e spesso devastanti, riuscendo a trovare una chiave leggera, ironica, pungente, ma capace nello stesso tempo di far sorridere. Invece di accapigliarsi sulla problematica del cambio di sesso, ecco che il film si inventa la storia paradossale di una matura, e benestante, coppia di famiglia. Lui (Fabrice Luchini, una “colonna” del grande schermo transalpino) è il rispettato sindaco, ovviamente un po’ maneggione, di una tranquilla cittadina di provincia alle prese con quello che ritiene, al momento, essere un grosso problema: far “digerire” alla moglie la sua decisione di correre per un nuovo turno elettorale. Non sa, il tapino, che la consorte gli sta preparando ben altro imprevisto: ha infatti da tempo iniziato, all’insaputa della famiglia, un percorso per cambiare sesso…  Alla sua età? Senza che ci siano stati in passato segni premonitori? Chiaro, il punto di partenza è volutamente paradossale, ma quello che conta sono le reazioni delle persone che le stanno vicino. Su quella del marito non ci sono dubbi: per poco non gli viene un coccolone! Ma i figli? E i vicini? E gli elettori? Provincia o metropoli, è dura confrontarsi con una realtà che, improvvisamente, cambia in modo radicale. C’è chi si stupisce, chi pensa che il mondo sia diventato una gabbia di matti, chi è possibilista. Il dibattito è aperto, e per una volta divertirsi non solo è permesso, ma fortemente consigliato.

Non sposate le mie figlie!, di Philippe de Chauveron, Francia 2014

Altro giro, altra commedia. Stavolta l’ambito in cui si mette a prova la tolleranza è quello del confronto etnico. Ancora la Francia, uno dei maggiori laboratori europei di una società “plurale”, alle prese da decenni con i problemi dell’integrazione, con le ricorrenti turbolenze delle banlieue, le degradate periferie urbane. Ma nella grande famiglia al centro del film tutti i problemi in questo campo sembrano (sembrano…) risolti. Papà e mamma hanno quattro figlie, tre delle quali si sono sposate rispettivamente con un arabo, un ebreo e un asiatico: più aperti di così… E adesso anche la quarta figlia ha annunciato le sue nozze e, per la gioia dei genitori, sarà finalmente con un cattolico: in effetti, un cattolico mancava ancora nel gruppo! Solo che… solo che quando il cattolico viene infine presentato, si scopre essere un ragazzo della Costa d’Avorio. Dunque gli “apertissimi” genitori ora avranno un genero nero, la qual cosa mette abbastanza a dura prova la loro supposta apertura mentale. Senza considerare poi che impigliati nei di pregiudizi saranno, a turno, tutti i componenti del gruppo, l’arabo, l’ebreo, l’ivoriano, l’asiatico e diversi dei componenti delle rispettive famiglie. Che gran guazzabuglio è il mondo, e com’è davvero difficile “essere” tolleranti nei fatti, oltre che dichiararsi tali a parole..

As bestas – La terra della discordia, di Rodrigo Sorogoyen, Spagna, Francia 2022

Un dramma, due commedie, e ora di nuovo una vicenda a tinte fosche. La storia, come purtroppo capita spesso nella vita reale, parte dalle migliori intenzioni. Una coppia di mezza età francese ha deciso di trasferirsi in Spagna, fra i monti della Galizia, alla ricerca di una sorta di Eden perduto: coltivano la terra, vendono i loro prodotti naturali nei mercatini della zona, ristrutturano case abbandonate nella speranza di rivitalizzare il villaggio, colpito dallo spopolamento. E dunque, dovrebbero essere ben visti dai locali… Invece no, perché un grande gruppo energetico norvegese sta progettando di installare gigantesche pale eoliche, dietro la promessa di un po’ di quattrini. Non molti, per la verità, ma fanno gola a chi ha sempre vissuto una vita magra e non vede altre prospettive per il futuro. Dunque è questa la miccia che fa scoppiare l’intolleranza feroce verso quel “francesino” che è venuto a guastare i piani di chi, a ogni costo, vuole vendere i terreni per emigrare il più lontano possibile. Un sogno utopico contro la dura realtà della miseria. Forse, se si parlassero potrebbe essere possibile trovare un compromesso. Ma la contesa è subito aspra, dai dispetti si passa alle azioni violente, non si vede una via d’uscita. Città-campagna, persone istruite contro contadini distrutti alla vita, due idee completamente differenti del domani. Un film durissimo, come durissima può essere la vita. Un film che ci mette in guardia dal pensare che si possa sempre uscire dai conflitti. Un film che inquieta e dà profondamente da riflettere.

Popiełuszko – Non si può uccidere la speranza,  di Rafal Wieczynski, Polonia 2009

Intolleranza politica. Sono passati poco più di trent’anni da quando sono cadute le feroci dittature comuniste che hanno per lungo tempo oppresso i Paesi dell’Est Europa, ma quella tragedia tende spesso a essere dimenticata. Negli Stati satellite dell’Unione Sovietica, dalla fine della Seconda guerra mondiale all’inizio degli anni ‘90 nessuna libertà era concessa: vietato avere idee differenti dai Partiti comunisti al potere, vietato scioperare, spesso addirittura vietato seguire il proprio credo religioso. Un immenso carcere a cielo aperto, dal quale moltissime persone volevano solo fuggire. Ma non tutti avevano perso la speranza, e continuavano a lottare. Fra loro il sacerdote polacco del titolo, Jerzy Popiełuszko, che seppe unire  la pratica religiosa alle dure e pericolose battaglie insieme al sindacato Solidarnosc, protagonista della rivolta polacca contro la dittatura. Raccontando la vita di questo prete coraggioso, ucciso il 19 giugno 1984 dagli agenti della polizia segreta (e poi beatificato il 6 giugno 2010 da Papa Benedetto XVI) il film racconta una feroce storia di intolleranza, di mancanza di rispetto, tanto più grave in quanto accaduta all’interno di un regime che si autoproclamava difensore dei diritti dei lavoratori e delle classi più svantaggiate. Il finale della vita del sacerdote è tragico, sembra segnare la vittoria della violenza e della prevaricazione; ma è anche grazie al suo coraggio e alla sua morte (ai funerali parteciparono oltre 400milapersone) che la Storia della Polonia e di tutti gli altri Paesi dell’Est ha preso, infine, la via della libertà.


Crediti immagine: Pixabay

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