Lei si chiamava Felka Platek. Era nata da una famiglia ebrea a Varsavia nel 1899, quando la Polonia era ancora parte dell’immenso impero russo e la città contava oltre un terzo degli abitanti di religione ebraica. Lasciò la casa di famiglia all’inizio degli anni Venti per raggiungere Berlino, città tumultuosa e vivace dove Felka voleva realizzare il sogno di diventare pittrice. Per questo si iscrisse alla Lewin-Funcke, una scuola privata aperta a ragazzi e ragazze, nella quale gli studenti potevano dipingere e scolpire lavorando assieme.
Lui si chiamava Felix Nussbaum. Era anch’egli ebreo ma di nazionalità tedesca. Era nato infatti a Osnabrück, nella Bassa Sassonia, nel 1904. Incoraggiato dal padre, che non aveva potuto intraprendere la desiderata carriera artistica e che vedeva nel figlio un grande talento, Felix studiò pittura nel 1920 ad Amburgo per continuare successivamente a Berlino, presso la scuola Lewin-Funcke.
È qui che le strade dei due giovani artisti si incrociano. È il 1924 e, anche se Felka è più grande di Felix di 5 anni, i due diventano una coppia inseparabile.
Lei è una valente ritrattista, lui dipinge scene surreali e nature morte sulla scia della Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività), un movimento di origine espressionista che intendeva raffigurare la società della Repubblica di Weimar, il periodo a cavallo tra la fine della Prima guerra mondiale e l’ascesa di Hitler.
Nel 1932 Felix vince una borsa di studio bandita dall’Accademia prussiana d’Arte di Berlino per recarsi a Roma, a Villa Massimo (un palazzo che ospita ancora oggi l’accademia tedesca). Parte in ottobre assieme a Felka. I due sono contenti e spensierati: ancora non sanno che non faranno mai più ritorno a Berlino.
Intanto in Germania, il 30 gennaio 1933, Adolf Hitler è nominato cancelliere. Ad aprile giunge a Roma il Ministro tedesco della Propaganda Joseph Goebbels per spiegare agli artisti dell’accademia che la nuova arte nazista deve promuovere l’eroismo e la razza ariana. Una richiesta inaccettabile per due pittori ebrei come Felka e Felix. Nello stesso periodo quest’ultimo è protagonista di una rissa scaturita da un attacco antisemita nei suoi confronti da parte di un collega di corso e per questo motivo sarà espulso da Villa Massimo.
Felix lascia Roma con Felka. La coppia rimane per un anno e mezzo in Italia, sulla costa ligure. In quel periodo ricevono la notizia che il loro studio di Berlino era stato dato alle fiamme e con esso circa 150 opere. Tuttavia i dipinti che Felix realizza in quell’epoca – paesaggi e scorci urbani – sono ancora luminosi e vivaci.
Successivamente i due si spostano a Parigi e poi a Ostenda, in Belgio, dove arrivano nel 1935. In questa città balneare affacciata sul Mare del Nord – dove Felix, da bambino, trascorreva l’estate – la coppia continua a dipingere come sempre. Lei si dedica alle nature morte mentre lui predilige gli autoritratti. Ne realizza anche uno piuttosto insolito con un’allegra risata e un buffo cappello in testa che sembra richiamare le immagini dei folli della pittura olandese del Cinquecento.
Due anni dopo, nel 1937, Felka e Felix si rifugiano a Bruxelles. In Germania erano già in vigore le Leggi di Norimberga, due provvedimenti che di fatto privavano gli ebrei di qualsiasi diritto, pure quello della cittadinanza. Impossibile tornare a Berlino. «Adesso siamo a Bruxelles» scrive Felix nella lettera a un amico «Domani dove? Un Nussbaum come me deve starsene quieto sul suo pezzo di terra, come un albero di noce appunto [nussbaum, in tedesco, significa albero di noce]. Un giorno, si spera, l’albero darà frutti».
Eppure, nonostante il dolore dell’esilio o forse proprio per lenirlo, Felix e Felka decidono di sposarsi quello stesso anno. Da quel momento, però, le opere di Nussbaum diventano via via più cupe, assumendo il carattere di una straziante cronaca della fuga e dell’oppressione, della disperazione e dell’isolamento. Delle opere di sua moglie, invece, ci è giunto pochissimo. Probabilmente dipingeva meno, o forse le sue tele sono andate disperse.
Quando, con l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, scoppia la Seconda guerra mondiale, l’1 settembre 1939, Felix si rende conto che si tratta di un punto di non ritorno. L’angoscia per il destino dell’umanità diventa un’opera agghiacciante, con uomini e donne che urlano e piangono e palazzi distrutti, tutta in toni di grigio: Il grande disastro.
Le sue tetre premonizioni si realizzano il 12 maggio 1940, soltanto due giorni dopo l’invasione tedesca del Belgio. Nussbaum viene arrestato e portato presso il campo francese di Saint-Cyprien, sui Pirenei, dove è detenuto come “straniero indesiderato”. Chiede allora di essere restituito alla Germania ma ad agosto, durante il viaggio di rientro in patria, riesce a fuggire dal convoglio e a fare ritorno da Felka a Bruxelles. È qui che dipinge i ricordi infernali della sua prigionia. Nel suo autoritratto ha il volto emaciato, lo sguardo sofferente. Sullo sfondo stanno le latrine del campo e all’orizzonte il filo spinato. Un incubo riversato su tela.
Felka, che per fortuna non aveva vissuto quella terribile esperienza, realizza invece ritratti su commissione, come quello per la signora Etienne, sua vicina di casa, usando un linguaggio nitido e accademico.
Il 3 giugno 1942 viene promulgata una nuova legge che obbliga gli ebrei del Belgio a indossare pubblicamente la stella gialla per essere riconoscibili. Poco tempo dopo, in agosto, gli ebrei iniziano a essere deportati verso l’est. La situazione sempre più drammatica si riflette nelle opere di Nussbaum.
In Solitudine, dello stesso anno, un uomo in primo piano indica se stesso, come un martire che si offra al sacrificio, mentre una marionetta senza volto lo insegue con un megafono. Due palizzate parallele formano una prospettiva vertiginosa sopra la quale svettano alberi altissimi dai rami brutalmente mozzati. La tavolozza spenta e la deformazione delle figure contrasta fortemente con l’elegante Ritratto di signora in rosso, dipinto da Felka nello stesso periodo.
È il 1943 quando Felix dipinge Autoritratto con la carta d’identità ebraica, la sua opera più nota. Ha lo sguardo del fuggitivo, la stella gialla ben in vista sul cappotto e l’infamante documento in mano. Sullo sfondo, dietro un muro, compare ancora una volta un albero con tutti i rami mozzi, allusione a sé stesso e alla menomazione esistenziale che stava vivendo. C’è solo un ramo fiorito, simbolo di speranza.
Non c’è nessuna speranza, invece, in Suonatore di organetto, dello stesso anno. L’uomo, che dovrebbe allietare le strade cittadine con la sua musica allegra, si trova in un cimitero urbano pieno di drappi neri strappati, scheletri e teschi. Persino le canne del suo strumento sono diventate ossa umane.
Nel frattempo gli amici suggeriscono alla coppia di scappare immediatamente in Palestina per salvarsi la vita. Ma loro preferiscono restare in Belgio, nascosti nella soffitta del loro appartamento al 22 di Rue Archimède.
La vita nel nascondiglio segreto è l’oggetto dell’ultimo autoritratto di Felix. Dipinto nel 1944, raffigura l’artista in alto, Felka in mezzo e in basso Jaqui, un altro rifugiato. Nussbaum si è rappresentato come un ebreo osservante: ha in testa la kippah, il copricapo a calotta che si indossa nella sinagoga, e addosso il tallìt, lo scialle da preghiera. Accanto a lui una mappa geografica che allude alla globalità del conflitto mentre il giornale sul tavolo indica la difficoltà a ricevere notizie dall’esterno. La stella di David è il segno della loro condanna mentre l’albero spoglio, fuori dalla finestra, rappresenta la desolazione in cui è piombato il mondo intero. Tutto il resto lo dicono la tavolozza spenta e gli sguardi divergenti, vuoti e privi di speranza.
L’ultimo dipinto creato da Felix (risale all’aprile 1944) è un’opera sconvolgente dal titolo emblematico: Trionfo della morte. Una moltitudine di scheletri si aggira suonando una diabolica fanfara sopra una distesa di oggetti tra i più svariati, scarti di vite ordinarie bruscamente interrotte. Aquiloni dal volto ghignante si sollevano su un cielo tetro. Tutto è rovina, distruzione. Ricorda certe danze macabre medievali e i tanti trionfi della morte fioriti dopo le grandi pestilenze del passato. Ma non c’è alcun intento moralizzante, nessun memento mori. Qui non c’è redenzione né salvezza dell’anima. Ciò che il pittore vede arrivare è solo e semplicemente morte.
Il nefasto presagio si avvera il 21 giugno del 1944. Un vicino di casa tradisce i Nussbaum rivelando il nascondiglio alla polizia. La coppia viene immediatamente arrestata, portata al campo di transito di Mechelen e successivamente, il 31 luglio, verso il campo di concentramento di Auschwitz con l’ultimo treno di deportati.
Felka e Felix giungono alla loro destinazione finale il 2 agosto. Verranno uccisi separatamente, nella camera a gas, una settimana dopo.
Poco prima di essere catturato, Felix lasciò detto a un amico: «Se muoio, non lasciare morire le mie opere; mostrale al pubblico». E questo è lo scopo di questo articolo. Dedicato alla memoria di Felix Nussbaum e Felka Platek.
Autoritratti di Felka Platek e Felix Nussbaum
Felix Nussbaum, Autoritratto dal nascondiglio, 1944
Felix Nussbaum, Trionfo della morte, 1944
Felix Nussbaum, Autoritratto con carta d’identità ebraica, 1943
Felix Nussbaum, Suonatore d’organetto, 1943
Felix Nussbaum, Il grande disastro, 1939
Felix Nussbaum, Baia di Alassio, 1933
Felix Nussbaum, Strada verso il mare, 1933
Felix Nussbaum, Autoritratto nel campo, 1940
Felka Platek, Ritratto di Frau Etienne, 1940
Felix Nussbaum, Solitudine, 1942
Felka Platek, Ritratto di signora in rosso, 1942
Felix Nussbaum, Il rifugiato, 1939
Felka Platek, Ritratto di donna, 1927
Felix Nussbaum, Ricordo di Nordenrey, 1929
Felix Nussbaum, Felka al cavalletto, 1935
Felix Nussbaum, Autoritratto con cappello di carta e sciarpa blu, 1936
Diana
08 febbraio 2024 alle 16:22
Una storia veramente commovente e da divulgare alle nuove generazioni
gabriella silvana
09 febbraio 2024 alle 15:05
Grazie per questa storia così piena di emozione! Gli artisti non muoiono, attraverso le loro opere possono vivere in eterno...