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La psicologia dei criminali nazisti

Il profilo psicologico degli alti gerarchi nazisti – responsabili di aver voluto e attuato il piano di sterminio degli ebrei, e non solo, durante la Seconda guerra mondiale – è stato indagato da psicologi sin dal processo di Norimberga. In occasione del processo, lo psicologo americano Gustave Mark Gilbert ebbe l’occasione di incontrare nazisti di spicco come Hermann Goering.

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Da quando è emerso in tutta la sua estensione, il piano nazista di sterminio del popolo ebraico e la sua attuazione non smettono di suscitare interrogativi. La creazione di un immenso dispositivo di rastrellamento, trasporto, sfruttamento e uccisione degli ebrei su scala industriale appare di difficile comprensione.

È sufficiente chiedersi se esso, oltre che disumano, poteva rispondere a una logica di efficienza e risparmio? Lo storico Raul Hilberg lo ha valutato come un “fardello” che ha pesato su tutta la Germania, considerando i costi della gestione del sistema (trasporti, campi di concentramento, rastrellamenti ecc.). Da qui l’ovvia necessità di spostare l’attenzione dal piano economico a quello psicologico.

Perché disumanizzare le vittime?

In Sommersi e salvati Primo Levi si interroga sul senso della violenza nazista contro gli ebrei. Come può esser utile la violenza esercitata contro uomini già diretti verso i campi di sterminio, o contro anziani che si sarebbe potuto uccidere seduta stante? Umiliazione e disumanizzazione di persone già destinate alla morte, secondo Levi, trovano una spiegazione solo nel bisogno dei carnefici di evitare il senso di colpa. Ma siamo sicuri che anche i leader responsabili dell’organizzazione del massacro potessero provare un senso di colpa? Che cosa potesse esserci nella mente dei leader nazisti è un quesito su cui si sono interrogati diversi psicologi e psichiatri.

Uno psicologo al processo di Norimberga

Avviciniamoci progressivamente al tema. In qualche recente processo sono andati alla sbarra anziane persone che in gioventù erano state coinvolte nella gestione dei campi di concentramento. Il modo in cui, a distanza di decenni, giustificano il loro comportamento ha qualcosa di asettico: erano giovani, non hanno ucciso nessuno in modo diretto, non si aspettavano che i loro ultimi anni sarebbero stati così travagliati, sembrava loro impossibile agire in modo diverso e così via.

Quale accusa giuridica può essere mossa a queste figure di terzo piano? Non tanto l’omicidio diretto, quanto la partecipazione (la complicità) a un’attività che uccideva esplicitamente i prigionieri.

Se queste spiegazioni appaiono insoddisfacenti, possiamo rivolgerci ad alcuni medici che hanno in effetti avuto la possibilità di studiare da vicino i vertici del nazismo in occasione del processo di Norimberga (1945-1946) durante il quale vennero giudicate molte personalità del regime tedesco.

Lo psicologo della prigione di Norimberga, l’americano G.M. Gilbert, analizzò personalmente gli alti gerarchi della Germania nazista rimasti in vita. La salute mentale di alcuni appariva compromessa (Julius Streicher e Rudolf Hess), ma gli altri apparivano lucidi e capaci di argomentare in modo razionale a favore delle loro azioni.

Agli occhi di Gilbert spicca la figura di Hermann Goering, che nel Reich aveva ricoperto diversi ruoli (in primis quello di Vice-cancelliere e di Ministro dell'aeronautica). Arrivato in carcere nel pieno della dipendenza da codeina, parecchio sovrappeso e in stato semi confusionale, dopo qualche tempo si era ripreso e discorreva volentieri con lo psicologo.

Dalle conversazioni emergono due tratti importanti: da un lato un certo pragmatismo con il quale Goering valuta il processo come “un affare politico bello e buono”; dall’altro un patologico egotismo che si manifesta in molti modi, come la compiaciuta soddisfazione per i risultati di un test di intelligenza e la soddisfazione per la propria capacità di rispondere agli interrogatori. Ma il giudizio dello psicologo è ben più severo: a Gilbert, Goering appare uno psicopatico incapace di affrontare le conseguenze delle proprie azioni, e che annega la coscienza morale nella droga e nei gesti teatrali.

I ricordi di Gilbert risalgono al 1947. Oggi lo stesso Gilbert e gli altri medici in servizio a Norimberga sono oggetto di studio. Dalle indagini svolte risultano molti aspetti interessanti: gli psicologi in servizio a Norimberga facevano uso del test di Rorsarch e di test di intelligenza ed erano stati esplicitamente inviati ad analizzare i leader della Germania per comprendere meglio la loro psicologia.

Nella mente di Himmler e di Hitler

Ma forse anche il racconto di Gilbert lascia insoddisfatti. Acclarati i tratti patologici di Goering, ci si chiede per quali ragioni i gerarchi nazisti si siano accaniti contro gli ebrei, al punto da perseguitarli e sterminarli anche quando non erano in grado di danneggiare la Germania o perché lontani dal cuore del Reich o semplicemente per ragioni anagrafiche.

Con tutta la cautela del caso, si possono richiamare considerazioni sulla psiche di Heinrich Himmler, capo delle SS e della polizia durante gli anni della guerra, e poi di Adolf Hitler. In assenza di analisi dirette, occorre rifarsi a testimonianze, testi scritti, dichiarazioni. È a queste che si affida Erich From in Anatomia dell’aggressività umana, dove prende in considerazione vari personaggi storici noti per la loro malvagità nello sforzo di tracciarne un profilo psicanalitico.

Nel caso di Himmler, Fromm individua i tratti di una personalità sadica, che trova sicurezza “nella sua pedanteria, nella mania dell’ordine, nella sottomissione alle forti figure paterne”. Animato da un senso di insicurezza e di inferiorità, cresciuto in una famiglia arida, banale, in una condizione di “non-vita”, Himmler temeva la vita e invidioso degli altri, mirava a “umiliarli e distruggerli”. 

Quanto a Hitler, secondo Fromm al sadismo si aggiunge la necrofilia: umiliare gli altri e tiranneggiarli, non era sufficiente, ma occorreva ucciderli. Anzi: Fromm, riprendendo intuizioni di altri autori, solleva il sospetto che Hitler fosse attirato dalla catastrofe. Incapace di compassione, provava piacere solo nella distruzione: “Hitler odiava gli ebrei, ma è altrettanto corretto che egli odiava i tedeschi. Odiava tutta l’umanità, e la vita stessa”.  Ma queste pulsioni erano mescolate a grandi abilità comunicative, a un potente magnetismo, alla capacità di creare intorno a sé consenso e appoggio

La necrofilia è l’attrazione verso i cadaveri. Nell’uso di Fromm il termine assume un senso più ampio di attrazione verso la distruzione e perde connotati di carattere sessuale.

Lo storico Joachim Fest, con riflessioni a cavallo tra la psicologia e la sociologia, afferma che Hitler sembrava odiare negli altri ciò che gli ricordava parti della sua vita, come l’origine familiare oscura, le debolezze e i fallimenti giovanili, l’aspetto fisico. Ma tale insieme di aspirazioni insoddisfatte, di insofferenza per la povertà, di illusioni lontane dalla realtà, prosegue Fest, lo avvicinavano allo stato d’animo di una parte della società tedesca dell’epoca.

Quest’ultima riflessione ci permette di ricollegare l’analisi della psiche a quella del contesto in cui essa si forma e agisce, facendo emergere l’angoscioso interrogativo se e quando la società abbia in se stessa gli anticorpi per impedire alle pulsioni di uno di diventare la condanna di molti.

Breve bibliografia di riferimento

Tobias Buck, Processo all’ultimo nazista (in Financial Times, 28/07/2020), in L’Internazionale, n. 1351

Joel E. Dimsdale, Nella mente dei criminali nazisti. La vera storia degli psicologi che hanno intervistato i criminali nazisti, Newton Compton editore, Roma 2019

Joachim C. Fest, Il volto del Terzo Reich, Mursia, Milano 1970.

E. Fromm. Anatomia della distruttività umana, Mondadori, Milano 1975

G.M. Gilbert, Nelle tenebre di Norimberga. Parla lo psicologo del processo, Sei, Torino 2005 (ed. orig. 1947).

Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa, Einaudi, Torino 1995.

Laurence Rees, L’Olocausto. Una nuova storia, Einaudi, Torino 2018


Crediti immagini: il banco degli imputati al Processo di Norimberga. Prima fila, da sinistra a destra: Hermann Göring, Rudolf Hess, Joachim von Ribbentrop e Wilhelm Keitel.
Seconda fila, da sinistra a destra: Karl Dönitz, Erich Raeder, Baldur von Schirach, Fritz Sauckel. US Army – Fonte: Wikipedia

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