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Le prime espulsioni degli Ebrei da Roma Antica

Michela Mariotti si soffrema sulla presenza ebraica, sulle leggi e sulle espulsioni degli ebrei nell’Antica Roma.

La presunta cacciata del 139 a.C. e il silenzio di Giuseppe Flavio

Secondo gli epitomatori dell’opera di Valerio Massimo (I,3,3), Giulio Paride e Nepoziano, il primo provvedimento di espulsione a carico degli Ebrei da Roma risalirebbe già al 139 a.C. e vedrebbe gli Ebrei associati ai Caldei, gli astrologi babilonesi le cui pratiche erano avversate dall’establishment romano. In particolare gli Ebrei avrebbero tentato di corrompere la religione tradizionale di Roma diffondendo il culto di Giove Sabazio, un’accusa che confonde il culto frigio di Sabazio, dio cavaliere identificato con Zeus, con il «Dio Signore degli eserciti (Sabaoth)» dell’Antico Testamento. A rendere estremamente incerta questa notizia c’è il silenzio di tutte le altre fonti, compreso Giuseppe Flavio, lo storico ebreo della Guerra giudaica del 66-70 d.C. (partecipò egli stesso al conflitto e, passato alla causa del vincitore, ottenne la cittadinanza romana da Vespasiano, donde il nome Flavius), autore dei venti libri di Antichità Giudaiche, la poderosa opera che narra (in greco) la storia del popolo ebraico dalla Creazione del mondo fino alla ribellione del 66 d.C., che si concluse con la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 a opera di Tito.

Inoltre, la notizia di Paride e Nepoziano contrasta con i rapporti amichevoli intercorsi nel II secolo a.C. tra Romani e Giudei e testimoniati dal trattato di alleanza stretto con la dinastia dei Maccabei nel 161 a.C. e rinnovato nel 141 a.C., in funzione di difesa contro la Siria dominata dalla potente dinastia dei Seleucidi.

La presenza ebraica a Roma

Benché la notizia della cacciata del 139 a.C. resti probabilmente un falso, costruito (come per primo ha suggerito S. Alessandrì, SCO 1968) per creare un precedente a sostegno del provvedimento di espulsione (questo sì indubbio) adottato da Tibero nel 19 d.C., la presenza ebraica a Roma risale appunto alla metà del II secolo a.C. La più antica testimonianza letteraria, l’orazione pronunciata nel 59 a.C. da Cicerone in difesa di Flacco (Pro Flacco), propretore d’Asia accusato di concussione, ci parla di una comunità ebraica numerosa e ben organizzata (definita con i termini turba, manus, concordia in Flacc. 66), in grado di esercitare la sua influenza sui processi, e quindi stanziata a Roma già da qualche decennio. Inoltre Plutarco nella Vita di Cicerone, riferisce di una battuta sarcastica ai danni di Quinto Cecilio Nigro, cui l’oratore si sostituisce nell’accusa contro Verre, basata su un gioco di parole tra «Verre» e «verro» (maschio del maiale), e sulle presunte simpatie filoguidaiche di Cecilio stesso, che consente di retrodatare con sicurezza la presenza di Ebrei a Roma almeno al 70 a.C., anno in cui furono pronuciate le Verrine. Ne risulta così smentita la testimonianza di un altro scrittore ebreo di lingua greca, Filone Alessandrino, che (nella Legatio ad Gaium, 23) daterebbe l’arrivo degli Ebrei a Roma solo dopo conquista di Gerusalemme del 63 a.C., evento che altresì determinò un incremento del numero di Ebrei nell’Urbe, in seguito all’arrivo dalla Giudea dei prigionieri ridotti in schiavitù.

La legislazione romana e la tutela dei diritti delle comunità ebraiche

Nella tarda repubblica era ben rappresentata a Roma una comunità giudaica formata da cittadini romani, liberti, schiavi e liberi privi di cittadinanza romana. Qui, come negli altri territori della diaspora, le comunità ebraiche, fedeli alle proprie tradizioni, mantenevano un profilo distinto, che la legislazione romana cercò di garantire a partire dall’età cesariana. Furono varati, probabilmente dallo stesso Cesare, una serie di provvedimenti che tutelavano gli Ebrei nella propria libertà religiosa: la libertà di riunione per ragioni di culto, il diritto di osservare il riposo del sabato e le altre festività ebraiche, il diritto di inviare oro al tempio di Gerusalemme, l’esonero dal servizio militare per l’impossibiltà di osservare il riposo del sabato e di seguire uno speciale regime alimentare.

Non si trattava di un corpo di leggi omogeneo, nato da un programma politico ben definito, ma di singoli provvedimenti presi in risposta alle richieste formulate dalle varie comunità della diaspora (dell’Egitto, della Siria, dell’Asia, come testimonia Giuseppe Flavio, Ant. Iud. XIV 202 ss.), oggetto di attacchi da parte della popolazione locale, in prevalenza di origine greca. Essi però formarono una letteratura giuridica con valore di precedente legale in situazioni che coinvolgevano i diritti della popolazione giudaica.

Augusto e la ricerca di un equilibrio delicato

L’attività legislativa a tutela delle minoranze giudaiche fu ripresa e potenziata da Augusto, che esentò gli Ebrei della Giudea e della diaspora dal culto divino dell’imperatore, limitandosi a richiedere la celebrazione di un sacrificio al loro Dio per la salute del princeps, e un giuramento di fedeltà all’imperatore, cui tutti gli Ebrei erano tenuti. Si tentava così di trovare un sottile equilibrio tra le esigenze della politica imperiale e la libertà religiosa di un gruppo etnico dell’impero.

Tuttavia i provvedimenti adottati dal governo di Roma si rivelarono inefficaci a difendere gli Ebrei dall’ostilità delle popolazioni con cui essi convivevano nei vari territori dell’impero. I diritti garantiti da Roma furono spesso percepiti come privilegi e contribuirono a inasprire il clima di ostilità.

Tiberio, un’espulsione in difesa del mos maiorum

Il primo provvedimento certo di espulsione da Roma, che colpisce gli Ebrei insieme ai seguaci dei culti egizi, risale al 19 d.C., sotto il principato di Tiberio. Secondo Tacito (Annales 2,85,4) quattromila liberti ebrei in età idonea al servizio militare furono inviati in Sardegna per la campagna contro il brigantaggio, con scarse speranze di sopravvivenza alle asperità del clima e del territorio (cfr. Suetonio, Tiberio 36); tutti gli altri furono costretti ad abbandonare l’Italia se non avessero abiurato la loro religione entro un termine stabilito. Per quanto crudele, il provvedimento di Tiberio non è però imputabile né ad antisemitismo, odio razziale contro gli Ebrei, né ad antigiudaismo, ostilità pregiudiziale contro la religione ebraica, poiché esso è diretto contro tutte le religioni straniere, la cui diffusione è considerata in contrasto con il mos maiorum (Externas caerimonias, Aegyptios Iudaicosque ritus compescuit, Suet., Tib. 36).

In particolare, la testimonianza di Giuseppe Flavio (Ant. Iud. XVIII, 81.5-84), che individua all’origine dell’espulsione degli Ebrei da Roma la truffa perpetrata da quattro ebrei disonesti ai danni di una matrona romana proselita dell’ebraismo, che essi avrebbero convinto a inviare oro a Gerusalemme per stornarlo invece nelle proprie tasche, attira l’attenzione su un possibile motivo di attrito tra i Romani e le comunità ebraiche: l’oro destinato al tempio di Gerusalemme, cioè il contributo annuo di almeno due dracme a testa che gli Ebrei inviavano a Gerusalemme da tutti i territori della diaspora. Questo ci riporta a Cicerone e alla Pro Flacco.

L’oro per Gerusalemme, una risorsa che faceva gola ai Romani

Flacco era accusato di avere confiscato l’oro destinato a Gerusalemme. Cicerone (Flacc. 67) chiarisce che il suo assistito prima aveva emanato un editto in cui proibiva l’esportazione di oro fuori dall’Asia; contravvenendo gli Ebrei a questo divieto, aveva quindi provveduto a confiscare l’oro per versarlo interamente nelle casse dello Stato. Nessuna colpa quindi era ravvisabile nel suo operato, tanto più che decreti simili, volti cioè a vietare l’esportazione di oro verso luoghi diversi dalla capitale, erano stati emessi dal Senato nel 63 a.C., anno del consolato di Cicerone, e negli anni precedenti (prima dunque che il diritto di inviare oro a Gerusalemme fosse riconosciuto da Cesare). In effetti, secondo Giuseppe Flavio (Ant. Iud., XVI 2,3 et al.) il governo romano avrebbe ripetutamente tentato di tassare o confiscare l’oro destinato al tempio di Gerusalemme, ravvisando in esso evidentemente una perdita per l’erario pubblico. Roma in quegli anni attraversava infatti una crisi economica e monetaria legata alle guerre condotte su più fronti. In particolare il decreto di Flacco è stato messo in relazione con la sospensione dell’emissione di monete d’argento in Asia nel decennio 67-57 a.C.

Vale la pena di ricordare che dopo la conquista di Gerusalemme e la distruzione del tempio nel 70 d.C. il testatico di due dracme che gli Ebrei destinavano al tempio di Gerusalemme fu trasferito sotto forma di tassa al tempio romano di Giove Capitolino, dando così origine al fiscus Iudaicus.

Gli stereotipi contro gli Ebrei

Cicerone (Flacc. 67) bolla questa usanza del popolo giudaico come barbara superstitio, attirandosi da parte dei lettori moderni anacronistiche accuse di antisemitismo. Occorre infatti ricordare che era comune prassi oratoria che il difensore screditasse con pesanti attacchi personali i testimoni addotti dall’accusa; e come nella pro Flacco Cicerone cerca di gettare il discredito sugli Ebrei, così ha parole di fuoco contro i Galli nella pro Fonteio (21; 30-31) o contro i Sardi nella Pro Scauro (38 ss.). In generale nella letteratura latina gli Ebrei sono rappresentati come una delle comunità straniere presenti a Roma, su cui si fa satira etnica (cfr. per esempio Orazio, serm. 1,4,139 ss.; 1,5,96 ss.; 1,9,60 ss.; Petron. 102,13-14; Mart. 7,82; 11,94), utilizzando un serie di luoghi comuni che mirano a stigmatizzarne le differenze, sottolineando in particolare quei tratti che più erano lontani dalla cultura romana, come la circoncisione, il riposo del sabato o l’astensione dalla carne suina, che potevano apparire a un Romano dell’epoca esotismi incomprensibili.

Gli Ebrei assimilati ai Cristiani nell’espulsione da Roma del 49 d.C.

A quello di Tiberio seguì un nuovo provvedimento di espulsione degli Ebrei da Roma nel 49 d.C. sotto il principato di Claudio. Eppure Claudio aveva rinnovato la politica di tolleranza di Augusto, restituendo agli Ebrei i privilegi di cui godevano, dopo la grave crisi nelle relazioni romano-giudaiche causata dall’ingerenza di Caligola in Palestina. Secondo Suetonio, Claudio 25, il provvedimento mirava a porre fine ai disordini fomentati da un certo Chrestus, dietro il quale fin dall’antichità si è visto un riferimento a Cristo e ai Cristiani (Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantis Roma expulit, «espulse (da Roma) i Giudei perché erano continuamente in tumulto per istigazione di Cristo»). Gli Ebrei furono colpiti quindi a causa del proselitismo cristiano e il provvedimento fu comunque preso per ragioni di ordine pubblico e non per odio razziale o religioso.

Per riflettere sul problema del razzismo e delle sue proiezioni su Roma Antica, puoi seguire questo intervento di Andrea Giardina: https://www.youtube.com/watch?v=LVboY1CGbYI

Crediti immagine: Wikimedia Commons

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