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Di fronte alla migrazione: le riflessioni dei sociologi

Le scienze sociali indagano i fenomeni migratori attraverso l'analisi di alcune dinamiche precise: perché si emigra? C'è differenza fra emigrazione maschile e femminile? Inoltre aspetti centrali dell'analisi sociologica sono aspetti di integrazione e identitari
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Forse, tra qualche secolo il nostro e quello appena passato saranno ricordati come i secoli delle migrazioni. Presente da sempre nella storia, il fenomeno migratorio è via via diventato sempre più ampio grazie allo sviluppo dei mezzi di trasporto e delle reti di comunicazione. Prima ancora di una valutazione di lungo periodo che è compito degli storici futuri, sono però utili le valutazioni delle scienze sociali che cercano di capire come affrontare un fenomeno di portata epocale. Posti di fronte all'ampiezza delle migrazioni dei nostri giorni, gli scienziati sociali si pongono numerose questioni e in particolare si interrogano sulle cause delle migrazioni, l'inserimento degli emigranti nei paesi di approdo e la trasformazione della loro identità culturale.  

Perché si emigra 

Per quanto riguarda l’Italia, la risposta al primo interrogativo parte da lontano, notano Asher Colombo e Giuseppe Sciortino (Gli immigrati in Italia, il Mulino, Bologna 2004), ossia da quando tra gli anni Sessanta e Settanta l'Italia è iniziata a diventare un meta del flusso migratorio. Alla nozione di “causa” essi preferiscono il concetto di “progetto migratorio”, con cui sintetizzano le diverse aspettative ed esigenze che sono all'origine della migrazione. I due studiosi individuano innanzitutto migrazioni da lavoro e da reclutamento attivo che hanno come scopo quello di sfruttare la mancanza di manodopera in alcuni settori, come l'agricoltura e l'edilizia. Che questa forma di emigrazione non sia stata percepita in termini di “progetto” da parte degli italiani deriva dalla natura del sistema economico italiano, basato su piccole e medie imprese, che impiegano ciascuna poche unità lavorative e non massicce quantità di persone: perciò, per lungo tempo, il fenomeno di una migrazione che andava a colmare il bisogno di alcune figure professionali non è stato colto nella sua ampiezza. Un secondo gruppo di progetti migratori riguarda il lavoro autonomo, ossia il desiderio di aprire una propria attività: il numero di imprese gestite da cittadini non italiani è oggi rilevante in alcune province italiane.
Qui trovi un articolo interessante a proposito degli immigrati imprenditori (da Repubblica.it)
A queste voci se ne aggiungono altre, come i progetti degli studenti e le migrazioni dei rifugiati che fuggono da situazioni di guerra e che negli ultimi anni si sono moltiplicati di numero.  

L'emigrazione femminile 

Quando l'analisi sociologica si allontana dagli aspetti più noti delle migrazioni per affrontare quelli meno sotto le luci della ribalta emergono altri dati interessanti, per esempio a proposito della migrazione femminile: a intaccare il pregiudizio secondo il quale la migrazione è prevalentemente maschile e quella femminile è secondaria e si propone solo il ricongiungimento con il coniuge, i dati evidenziano che da alcuni paesi, come le Filippine o Capo Verde, l'immigrazione in Italia sia prevalentemente femminile.  In questo caso l'immigrazione è finalizzata a un guadagno indirizzato verso il paese d'origine, le famose “rimesse”, a sostegno della famiglia (marito, figli, fratelli, sorelle, genitori).  Le donne immigrate agiscono quindi all'interno di una strategia familiare che le ha indirizzate verso l'estero, notano sempre Asher Colombo e Giuseppe Scortino.
Cliccando qui trovi interessanti informazioni e riflessioni sull’emigrazione femminile
 

Come ci si integra

Il tema dell’integrazione è tra più spinosi e ha stimolato negli anni politiche sociali diverse.
Cliccando qui trovi indicazioni relative ai progetti di integrazione in Italia
Ciò che gli scienziati sociali sottolineano con forza è come sia il contesto locale a essere il teatro vero dell'integrazione, perché “è qui che si intrecciano relazioni, si negoziano diritti, e si pongono le basi dell'accesso alla cittadinanza” (T. Caponio- A. Colombo, Stranieri in Italia. Migrazioni globali, integrazioni locali, il Mulino, Bologna 2005) e sono spesso le politiche messe in atto dalle amministrazioni locali a svolgere un ruolo chiave nell'integrazione dei cittadini stranieri. Perciò i sociologi analizzano i casi di singole realtà per comprendere le ragioni dei successi o degli insuccessi delle politiche di integrazione. Un'osservazione interessante riguarda i diversi destini di integrazione che distinguono i primi arrivati dalle ondate successive. Giunti in paesi dove i connazionali sono scarsi, i “pionieri” di un certo paese devono interagire prevalentemente con la popolazione residente. Si tendono quindi a instaurare legami forti con gli autoctoni. Al contrario, i nuovi arrivati tendono ad appoggiarsi ai connazionali già presenti e a muoversi all'interno di un network di conoscenze e aiuti costituito prevalentemente da persone del proprio paese, con l'effetto di avere minori relazioni con la popolazione locale. In poche parole, allo svantaggio dell'assenza di aiuti del pioniere corrisponde però nel lungo periodo una maggior integrazione; al contrario, il vantaggio di poter contare su una rete di aiuti, danneggia i neoarrivati che avranno minori contatti con la popolazione locale (Irene Ponzo, Reti che sostengono e legami che costringono: il caso dei Rumeni a Torino, in Stranieri in Italia, cit.).  

Qual è l'identità dell'immigrato?

In ogni caso, però, un immigrato si trova di fronte a una cultura diversa dalla propria. Quale effetto determina sulla sua identità? Questa è la domanda più difficile a cui rispondere perché ha molto a che fare con il vissuto personale, le idee e la visione del mondo del singolo. Sottolinea l'economista Stefano Zamagni (Multiculturalismo e identità, Vita e pensiero, Milano 2002) che oggi l'immigrazione non è più un punto di non ritorno e l'immigrato non mira a tutti costi ad arrivare in fretta a una piena integrazione, come forse è stato nelle migrazioni del Novecento. Facilità di spostamenti e di comunicazione con la terra d'origine stimolano una sorta di sdoppiamento: sul piano dell'agire pratico si assumono comportamenti del paese ospitante, mentre sul piano dei valori e dei sentimenti si resta fedele alle tradizioni di origine. Forse però anche questa considerazione resta uno spunto o un'indicazione di massima, che può essere applicata ad alcuni immigrati e non ad altri. In fondo, un intellettuale come Amin Malouf, libanese d'origine e francese d'adozione, in Identità (Bompiani, Milano 2005), dice di se stesso di essere sia libanese sia francese e nega con forza di essere più una cosa o l'altra: una suggestione significativa, che suggerisce come l'identità sia un aspetto della personalità complesso e in evoluzione, un vissuto di cui è difficile dare conto fino in fondo. Crediti immagini: Apertura: illustrazione per un quotidiano di Frank Leslie dal titolo: "New York! Welcome to the land of freedom", da Wikipedia Box: “La festa del traforo” organizzata dagli emigrati italiani, di Pier Vincenzo Canale, da flickr
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