Aula di Lettere

Aula di Lettere

Percorsi nel mondo umanistico

Sezioni
Accad(d)e che
Come te lo spiego
Interventi d'autore
Il passato ci parla
Sentieri di parole
Nuovo Cinema Paini
Storia di oggi
Le figure retoriche
Gli antichi e noi
Idee didattiche digitali
Le parole dei media
Dall'archivio
Tutti i temi del mese
Materie
Italiano
Lettere classiche
Storia e Geografia
Filosofia
Storia dell'arte
Scienze umane
Podcast
Chi siamo
Cerca
Come te lo spiego

Pace perpetua e mantenimento dei confini: la riflessione di Kant

"Per la pace perpetua" è una delle ultime opere del filosofo tedesco Immanuel Kant. In questo testo Kant concretizza le sue riflessioni di filosofia politica in cui approda a una visione cosmopolitica, fondata sui rapporti tra stati (repubblicani) e sulla libertà di movimento dei cittadini in tutti gli stati
leggi

C’è qualche cosa di sorprendete nel fatto che un pensatore come Immanuel Kant così alieno dal cambiare residenza e collocato in un’area marginale dell’Europa settecentesca, abbia proposto una delle formulazioni più interessanti di sempre sui rapporti tra gli Stati e sulla libertà di movimento individuale. Forse la cosa è meno sorprendete se si pensa che Kant era comunque membro a pieno titolo della repubblica delle lettere, quella rete di rapporti, scambi epistolari, lettura di opere che legava gli intellettuali europei. E, inoltre, che gli eventi della storia, e in particolare la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese, facevano sentire la loro eco in ogni cantone del Vecchio continente.

Qui trovi una sintesi del pensiero di Kant: http://www.treccani.it/enciclopedia/immanuel-kant/

 

I presupposti della pace perpetua

Kant arriva tardi alla riflessione politica, quando ha già formulato le sue riflessioni teoretiche e morali. Come spiega Laura Tundo Ferrante nell’introduzione a Per la pace perpetua (1795), l’opera più importante del pensiero politico di Kant (Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2003), la storia umana è per il filosofo di Königsberg la realizzazione di una finalità della natura e un’espressione della libertà umana. La finalità in questo caso e il perfezionamento dell’uomo. La strada però non è per nulla semplice perché l’uomo è animato al contempo sia da una spinta alla socialità sia da un profondo egoismo, due principi antitetici che portano all’antagonismo e a una serie di mali sociali come la diseguaglianza, l’oppressione e lo sfruttamento.

La natura e la ragione però sono in grado di spingere gli uomini in un’altra direzione, quella di una convivenza sotto l’egida della legge, che regola i rapporti umani in sicurezza e alla libertà scriteriata dei selvaggi che si azzuffano per ogni cosa sostituisce una libertà ponderata.

Per uno strano destino la città di Kant, Königsberg, è stata spesso una città di confine strategica. Avamposto dei cavalieri teutonici nel medioevo, poi città chiave per il regno di Prussia, dopo la Seconda guerra mondiale è passata dai tedeschi ai russi: la città ha cambiato popolazione e anche nome. Oggi si chiama Kaliningrad ed è ancora una città di confine, strategica per la difesa della Russia.

 

La finalità dell’opera

Quello che vale per i singoli uomini deve valere anche per gli Stati. Occorre allora considerare le condizioni e gli aspetti fondamentali di un ordinamento cosmopolitico, ossia di una situazione in cui vigono tra gli uomini pace e civiltà. E questa non è l’esito di un millenarismo religioso, ma di un millenarismo filosofico, in cui a dominare non è Dio, bensì la ragione. 

Che cosa vuole dire cosmopolitismo? http://www.sapere.it/enciclopedia/cosmopolitismo.html

Kant nello scrivere gli articoli di Per una pace perpetua si inserisce in una lunga tradizione di aspirazione alla pace, ma con un approccio più giuridico che morale, nel quale elenca le condizioni che consentono agli Stati di convivere tra loro. Spiega però Giuliano Marini (in Giulio M. Chiodi, Giuliano Marini, Roberto Gatti (a cura di), La filosofia politica di Kant, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 215), che il progetto cosmopolitico è anche un progetto morale, nel senso che senza un’azione moralizzatrice precedente, che abitua gli uomini ad agire alla luce della ragione, una costituzione cosmopolitica non potrebbe essere realizzata.

 

Come fanno gli Stati a convivere tra loro?

Kant ritiene che una federazione tra Stati debba fondarsi su una serie di articoli che vietano tutti gli atti che sarebbero prodromici a una guerra (abolire gli eserciti permanenti, non trattare gli Stati come un patrimonio che può essere ceduto o diviso ecc.). Inoltre, la costituzione di ogni Stato deve essere repubblicana: termine che in Kant non è sinonimo di democratica, ma indica uno Stato fondato sulla libertà dei suoi membri, sull’esistenza di una sola legislazione per tutti e dell’eguaglianza tra i cittadini. Un regime repubblicano prevede inoltre la separazione del potere esecutivo da quello legislativo; quest’ultimo, inoltre è un potere rappresentativo. Kant ritiene che in uno Stato in cui le decisioni sono prese dai cittadini, questo ultimi sarebbero restii a iniziare una guerra. Il regime repubblicano è quindi una maggior garanzia di pace rispetto a quello dispotico.

 

I confini tra gli Stati

Ma perché mantenere tanti Stati divisi da confini e non unificarli in uno Stato unico e sovrano? La risposta a questa domanda è che un solo Stato nascerebbe dalla volontà di dominio di qualcuno e quindi non sarebbe altro che una forma di dispotismo. Invece, spiega Kant, la natura vuole la pluralità: “Essa si serve di due mezzi per impedire ai popoli di mescolarsi e tenerli separati; la diversità delle lingue e la diversità delle religioni: il che in realtà porta con sé l’odio reciproco ed il pretesto di guerra; ma, con il progredire delle cultura e con il graduale riavvicinamento degli uomini, porta a una maggiore intesa sui principi, all’accordo in una pace che non è prodotta e assicurata, come in ogni dispotismo (basato sulla tomba della libertà), dall’indebolimento di tutte le forze, ma da loro equilibrio nella più viva rivalità” (Primo supplemento della garanzia della pace perpetua, in Per la pace perpetua, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2003, p. 78).

In altre parole, la natura vede nella diversità una garanzia di libertà, ma anche un rischio di guerra: sta agli uomini e al progresso civile incrementare la prima e smorzare i secondi. Anzi, essa avvicina i popoli “con l’attrattiva del reciproco interesse”, ossia lo spirito commerciale, che detesta la guerra. Perciò, conclude Kant, anche se i meccanismi messi in atto dalla natura non ci assicurano dell’avvento della pace perpetua, il loro funzionamento ci induce a collaborare attivamente a tale scopo.

In questo mondo retto da un diritto cosmopolitico dovrà essere riconosciuto a ciascuno il diritto di visita, ossia il diritto a recarsi in uno Stato straniero e a restarvi fin quando non danneggia nessuno. Un diritto che riposa sull’originaria proprietà comune della terra da parte di tutti gli uomini e sul fatto che la terra non è infinita e gli uomini non possono disperdersi completamente, ma devono in un modo o nell’altro coesistere.

Affermazioni che secoli fa potevano interessare pochi uomini che viaggiavano da una parte all’altra del globo, ma che nell’epoca delle migrazioni forzate e dei profughi di guerra assumono un nuovo valore.

(Crediti immagini: Wikipedia e Wikipedia)
Albertina
Immanuel_Kant_(painted_portrait)

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento