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E il Novecento? Il Novecento ha usato le malattie e le pandemie come sfondo per dei racconti morali. Ha ambientato in un immediato futuro – o in un universo parallelo – le storie di contagio, creando un genere a parte: si parla ora di distopia, ora di genere post-apocalittico, ora più apertamente di fantascienza.
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Prendo, tra i tanti, un caso forse non notissimo, ma che viene dalla penna di uno scrittore straordinario: Jack London. Il libro si chiama La peste scarlatta e non parla della peste, ma di uno strano morbo che, nel 2013, ha cancellato la razza umana. Nel 2073, in una California post-apocalittica, dove pochissimi sopravvissuti vivono come si viveva all'età della pietra, il vecchio Smith racconta quello che è successo a dei ragazzini che non sanno nulla. Sono riuniti attorno a un fuoco, dopo la caccia, e quel che è successo è ciò che capita ogni volta che c’è un romanzo dove si mette in scena la post-apocalisse: l’umanità non è stata travolta dalla malattia, ma la malattia – peraltro figlia di un’epoca iper-industrializzata e disumana – è stata la scusa grazie alla quale gli uomini, con lo scopo di sopravvivere, si sono sopraffatti l’un l’altro. La crudeltà, la violenza, l’odio di specie ha prevalso sull'umanità e l’aiuto reciproco. Così, la specie umana si è quasi annientata, e chi è rimasto, ora, vive come vivono i lupi. Ma lupi, in fondo, gli uomini lo sono sempre stati.
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(Crediti immagine box: Wikimedia Commons)