Aula di lettere

Aula di lettere

Percorsi nel mondo umanistico

Sezioni
Accad(d)e che
Come te lo spiego
Interventi d'autore
Il passato ci parla
Sentieri di parole
Nuovo Cinema Paini
Storia di oggi
Le figure retoriche
Gli antichi e noi
Idee didattiche digitali
Le parole dei media
Come si parla
Dall'archivio
Tutti i temi del mese
Materie
Italiano
Lettere classiche
Storia e Geografia
Filosofia
Storia dell'arte
Scienze umane
Podcast
Chi siamo
Cerca
Il passato ci parla

Il mondo è una casa: mundus, kosmos, oikia

Mondo, cosmo, globo, globale: Roberta Ioli ci mostra come tutte le parole delle lingue antiche che appartengono a questo campo semantico evocano l’idea di un universo complesso ma riconoscibile, governato da un ordine razionale.
Le lingue antiche hanno parole diverse per “mondo”, “cosmo”, “globo” e “globale”, e i loro ambiti semantici sono fluidi e per noi spesso sfuggenti. Condividono tutte, però, l’idea di ordine, armonico equilibrio tra le parti, evocando un intero dotato di complessità e coesione in virtù delle sue componenti. Mundus in latino è l’aggettivo che corrisponde all’ordine e al nitore, ma è anche il termine specifico che indica la terra abitata e l’universo intero nella sua dimensione più remota e inaccessibile. Mundus è non solo lo spazio che conosciamo e viviamo, ma persino il cielo e l’insieme dei suoi corpi celesti. Analogamente globus, detto di ogni cosa che presenti la forma di una sfera, può significare il mondo (globus terrarum), ma anche tutto ciò è caratterizzato da una massa compatta e composita, come un drappello di soldati in marcia o l’insieme minaccioso delle onde che formano il corpo immenso del mare. Il termine greco che meglio traduce la complessità semantica di mundus è kosmos, armonia composta dalla perfetta combinazione delle parti. Kosmos è un discorso ben strutturato, una città equilibrata nelle sue componenti socio-politiche, una casa saggiamente amministrata. Kosmos è anche la grande casa dell’umanità, l’oikoumenē ghē, alla lettera “la terra abitata”. Per il mondo greco l’ordine non si dà nell’indistinzione, ma si costituisce attraverso la separazione e la differenziazione degli elementi che lo compongono. Si pensi agli antichi miti cosmogonici: nella Teogonia di Esiodo, ad esempio, la prima parte è dedicata alla nascita del cosmo e di tutti i suoi elementi. Crono, nascosto nell’abisso oscuro della madre Gea, evirerà il padre Urano. Si tratta di un atto cruento, un’offesa difficilmente accettabile nella dialettica padri e figli, ma è necessaria affinché si compia la separazione tra cielo e terra. L’unione di cielo (Ouranos) e terra (Ghē) è un legame informe che dilaga come acqua e ha bisogno della violenza del figlio per scindersi: solo così il grande caos primordiale verrà domato e l’ordine entrerà nella storia e nel mondo che gli uomini abiteranno. Anche per Anassimandro, uno dei filosofi-naturalisti di Mileto, tutte le cose hanno origine per separazione e differenziazione da quel principio indistinto e indefinito che è l’apeiron. Non ci muoviamo più nell’universo del mito, ma vi sono con esso sorprendenti analogie: per Esiodo il distacco primordiale di cielo e terra avviene attraverso inganno e violenza, per Anassimandro la separazione degli elementi che danno origine alla vita rappresenta una forma di adikia, un’ingiustizia cosmica eppure necessaria. Anassimandro, inoltre, fu il primo a ridurre la terra a uno spazio bidimensionale, consacrando il passaggio dalle antiche cosmogonie mitiche alla cosmologia e realizzando la prima carta geografica; egli non racconta più una storia sulla nascita del mondo, ma ricorre a un vero e proprio modello geometrico, la sua tavola (pinax): “per primo ebbe l’ardire di disegnare la terra abitata su una tavoletta (12A6 DK)”. Nella sua visione del mondo, la terra sta ferma al centro di forze contrarie che spingono dal limite esterno dell’universo, muovendosi verso l’interno. Il centro è in equilibrio assoluto, e quel punto è saldamente occupato dalla terra. Se il mondo per gli antichi è oikoumenē, esso si contrappone alle terre desertiche e disabitate. Il mondo è infatti uno spazio-casa in cui uomini anche lontanissimi e tra loro diversissimi hanno stabilito la propria dimora. Lo storico Erodoto ci descrive, ad esempio, la Libia come composta da una terra costiera abitata, a sud della quale si trovano due zone esterne all’oikoumenē, precisamente una popolata di fiere e, ancora più a sud, “nient’altro che sabbia e tremenda aridità e una terra priva di tutto” (Storie, II 32). Questo spazio desertico e inospitale è una non-casa e, propriamente, un non-mondo. Anche il mare è uno spazio estraneo all’oikoumenē, un deserto di acque popolato da mostri da cui è bene tenersi lontani, soprattutto se si spalanca come una voragine al di là delle colonne d’Ercole. Finis terrae era battezzata la fine del mondo in età tardo-antica e medievale: lì Eracle avrebbe posto, secondo il mito, il confine oltre il quale è tracotante e folle il viaggio. Lì la geografia cristiana immaginava si elevasse la montagna del Purgatorio, bruna e immensa come ce la descrive l’Ulisse dantesco, ardito navigatore che tentò l’impossibile, “infin che ’l mar fu sovra noi richiuso” (Inferno, XXVI 142). In realtà non erano mancati, fin dall’antichità, audaci marinai e navigatori che avevano cercato di avventurarsi in mare aperto, ma si era trattato di tentativi poco fortunati. Dobbiamo attendere l’era delle grandi esplorazioni geografiche, da Bartolomeo Diaz a Vasco da Gama, da Cristoforo Colombo ad Amerigo Vespucci perché quel grande oceano, insieme al “Nuovo Mondo”, sveli il proprio mistero. Portolani, astrolabi, vele triangolari avevano in parte addomesticato i mostri del mito. Infine, recuperando la radice etimologica di oikoumenē, il mondo appare agli antichi non solo come la casa (oikos/oikia), ma anche come ciò che ci è proprio e familiare (oikeios): è lo spazio abitato e riconosciuto come a noi amico, anche se immenso e remoto. Gli Stoici suggeriscono che chi segue la giustizia, l’ordine razionale del cosmo, non sarà mai schiavo né straniero, ma “cittadino del mondo” (kosmopolitēs). Per usare le parole di Cicerone, “vi è una vera legge, la retta ragione conforme a natura, presente in tutti, stabile, eterna […]. Essa non sarà diversa a Roma o ad Atene, ora o in futuro, ma unica, eterna, immutabile legge governerà tutti i popoli in ogni tempo” (De re publica III 33). Ciò che fa del mondo un universo complesso ma riconoscibile non è altro, per gli antichi, che la legge naturale degli uomini, unica, superiore a ogni particolarismo, confine nazionale, divisione per lingua e costumi: essa è il fondamento incrollabile di una comunità universale e crea cittadini liberi, a casa nel mondo.     Crediti immagini Apertura: Mappa di Eratostene (Wikimedia Commons) Box: Possibile Atlante di Anassimandro (Wikimedia Commons)  

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento