Quando facciamo un’endiadi modifichiamo il rapporto sintattico tra due membri, dando a ciascuno di essi la stessa importanza, per creare immagini evocative utilizzando vocaboli semplici e il più semplice dei sintagmi.
1 Allora Giobbe rispose al Signore e disse:
2 «Io riconosco che tu puoi tutto
e che nulla può impedirti di eseguire un tuo disegno.
3 Chi è colui che senza intelligenza offusca il tuo disegno?
Sì, ne ho parlato; ma non lo capivo;
sono cose per me troppo meravigliose e io non le conosco.
4 Ti prego, ascoltami, e io parlerò;
ti farò delle domande e tu insegnami!
5 Il mio orecchio aveva sentito parlare di te
ma ora l'occhio mio ti ha visto.
6 Perciò mi ravvedo, mi pento
sulla polvere e sulla cenere».
Libro di Giobbe, 42, 1-6
Facciamo un’endiadi quando accostiamo, in modo coordinato, due sostantivi che normalmente farebbero parte di un’espressione composta da due membri di cui uno è subordinato all’altro (nome/aggettivo, nome/complemento di specificazione e così via).
Detto altrimenti: diciamo, o scriviamo, «Nella strada e nella polvere» anziché usare il sintagma «Nella strada polverosa», o «Sulla polvere e sulla cenere» anziché «Sulla polvere di cenere». Ovviamente esistono endiadi che non hanno nulla a che vedere con la polvere, come per esempio nel Canto XIX del Purgatorio, quando Dante scrive: «O eletti di Dio, li cui soffriri/e giustizia e speranza fa men duri», dove «e giustizia e speranza» è un’endiadi per «la speranza della giustizia».
Che cosa succede, dunque, quando facciamo un’endiadi? Succede che modifichiamo il rapporto sintattico tra due membri, dando a ciascuno di essi la stessa importanza e accostandoli tramite la congiunzione “e”. Il risultato è spesso straniante: «nella strada e nella polvere» è un’espressione molto più poetica e sontuosa di «nella strada polverosa». Con l’endiadi, dunque, si possono creare immagini potenti ed evocative utilizzando vocaboli semplici e il più semplice dei sintagmi (sostantivo – “e” – sostantivo).
(Crediti immagini: Flickr, Pixabay)