Seguendo questo link puoi vedere alcune monete antiche, una delle quali ritrae forse Teodorico. Qui trovi invece una sintetica indicazione delle opere scritte da Boezio
A che cosa serve la filosofia a un condannato a morte? Innanzitutto a risvegliarlo da quella letargica melanconia che lo ha travolto. Filosofia – racconta Boezio – piomba nel carcere sotto l'aspetto di una vecchia signora, dignitosa nonostante le vesti stracciate (dalle dispute tra i filosofi, apprendiamo poco dopo) e lo scuote dal suo torpore: un vero filosofo deve sapere che, nonostante il male sia diffuso, il mondo è governato dalla ragione divina. E deve anche ricordare che i veri beni sono quelli interiori e non la ricchezza, il potere e la gloria che sono nelle mani della fortuna e come sono venuti così possono svanire in un batter di ciglia. Proprio i rivolgimenti della sorte insegnano questa verità e permettono di scoprire i veri amici.
Filosofia aiuta quindi Boezio a relativizzare i beni terreni: l'uomo non è nulla rispetto all'universo e quand'anche abbia un grande potere, sarà come un topo che si pavoneggia della sua autorità sugli altri topi.
La felicità inoltre non coincide con i beni materiali, ma solo con Dio, che è la somma bontà. Anche se Boezio è cristiano (cattolico, al contrario di Teodorico che era ariano), il suo Dio non ricorda tanto quello della Bibbia, quanto un Dio dei filosofi, venato di platonismo e neoplatonismo. E di questo Dio gli uomini possono partecipare, coronando il loro sogno di felicità e divenendo essi stessi dei, in una qualche misura.
Ma il percorso lungo il quale Filosofia lo ha condotto, non soddisfa del tutto Boezio. Che sia puramente una questione filosofica o la diretta conseguenza degli ultimi burrascosi mesi e della consapevolezza dell'approssimarsi della morte, Boezio non può fare a meno di chiedersi perché nel mondo vi sia così tanto spazio per il male. Com'è possibile, se a reggere le sorti dell'universo è un Dio che è sommo bene? È la domanda tipica della teodicea (il termine “teodicea” sarà coniato nel 1705 dal filosofo tedesco Gottfried Wilhem Leibniz per indicare un problema che agitava da secoli filosofi e teologi), alla quale Filosofia risponde da par suo, ossia analizzando ciò che in genere viene ritenuto male dalla maggior parte degli uomini.
Segui questo link per trovare una breve storia del termine “teodicea”.
Il discorso di Filosofia si basa su un presupposto di origine neoplatonica: l'essere e il bene coincidono. Perciò tanto più una cosa o una persona è cattiva, tanto meno “è” e ha valore. In una celebre pagina della Consolazione nella quale si mescolano l'immaginazione retorica e il rigore filosofico, Filosofia dichiara:
«Brucia di avidità il rapinatore violento dell’altrui ricchezza: e tu lo puoi dire simile a un lupo. [...] Si spaventa davanti alle cose più innocue il tipo pauroso e rinunciatario: lo si consideri una specie di cervo. [...] Si tuffa un altro in turpi e immonde passioni: i piaceri di cui è schiavo son quelli di una lurida scrofa. Questo, dunque, è il risultato: chi, spogliatosi dell’onestà, ha cessato di essere uomo, non potendo d’altronde salire a una condizione divina, si trasforma in bestia» (La consolazione della filosofia, IV, 3 intr. Di C. Mohrmann, tr. e note di O. Dallera, Bur, Rizzoli 1999, pp. 287-.289 )
Filosofia offre quindi a Boezio non tanto una via per sottrarsi a un triste destino, quanto la consapevolezza dello scarso valore di chi ha cospirato per la sua caduta. L'uomo buono potrà anche cadere vittima dei malvagi, ma questi ultimi, proprio in quanto malvagi, gli saranno infinitamente inferiori e, anzi, a stento potranno essere definiti esseri umani (come, d'altro canto, pensiamo ancora oggi, quando usiamo espressioni come “comportamenti bestiali” o “branco di violenti”).
Boezio non si accontenta della risposta di Filosofia e pone un'altra domanda: come è possibile l'esistenza di un “mondo rovesciato” dove ricchezza, fama e onore sono beni solo apparenti e dove i potenti sono più bestie che uomini, se a reggere il governo del mondo è il sommo bene?
Ma di nuovo Filosofia lo convince di essere caduto in un errore di prospettiva. Il mondo è retto dalla provvidenza anche se a prima vista può sembrare il contrario. Un tiranno sanguinario, per esempio, non è un uomo potente, perché, sospettoso, inquieto e preda di grandi timori, si circonda di guardie del corpo. La sua malvagità è già la sua punizione. E un uomo costretto a subire le angherie dei nemici sarà stimolato a sviluppare comportamenti virtuosi, proprio per distinguersi da chi lo opprime.
Un nuovo dubbio coglie Boezio: ma questo governo provvidenziale non annulla la libertà umana? Dio sa tutto prima che accada, argomenta Boezio, perciò le nostre scelte sono solo un’illusione.
Di nuovo Filosofia lo corregge, con una risposta tanto sottile quanto problematica: Dio conosce tutto nell’eternità, che è la sua dimensione, un presente senza inizio e senza fine. Ma questo non toglie efficacia alle nostre scelte, che si svolgono nel tempo.
È impossibile sapere se Boezio sia stato veramente consolato dalla filosofia né a che cosa si rivolgesse il suo pensiero mentre veniva strangolato e colpito dalla mazza del boia nei primi mesi del 525. Ma è comunque notevole che con la lucida freddezza di chi non ha via di scampo, Boezio abbia deciso di lasciare in eredità ai posteri una summa della filosofia antica e un'arma per affrontare le avversità della vita.