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Filosofia

Comporre, ascoltare, riflettere. La musica da Platone a Woodstock

La musica ispira da sempre riflessioni filosofiche. Gli autori si interrogano su questioni ontologiche, etiche ed estetiche. Quando è lecito definire “musica” un insieme di suoni? Come possiamo stabilire la qualità di un brano musicale? E quale la funzione sociale di questa arte?
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La musica ispira da sempre riflessioni filosofiche. Gli autori si interrogano anzitutto su questioni ontologiche: data la sua natura astratta, che tipo di “oggetto” è la musica? E quando è lecito definire “musica” un insieme di suoni? A queste domande se ne aggiungono altre di carattere etico ed estetico riguardanti le funzioni sociali di questa arte e i criteri con cui stabilire la qualità di un brano musicale. Le categorie di apollineo e dionisiaco introdotte da Friedrich Nietzsche (1844-1900) costituiscono una possibile chiave di lettura della storia della musica, in quanto delineano due tendenze interpretative che si sono alternate nel corso dei secoli: musica come espressione di equilibrio e razionalità; musica come frutto di istinto e genio.  

Musica per l’anima. Ordine e armonia nella tradizione greca e cristiana

Nella Grecia antica, alla musica è attribuita una funzione moralizzatrice. È Damone, consigliere di Pericle nell’Atene del V sec. a.C., che elabora la teoria ripresa in seguito da Platone. Damone ritiene che la musica influenzi direttamente lo stato d’animo degli individui e, dunque, le loro azioni sociali. Sviluppando questo argomento, nella Repubblica Platone difende la centralità della musica nell’educazione dei cittadini. Non tutta la musica è tuttavia adatta a questo compito: solo la musica armoniosa può infondere negli uomini il senso della misura e della compostezza, entrambe necessarie per plasmare la Città ideale. Per bocca del personaggio-Socrate, Platone sostiene che «l’educazione artistica più efficace» è quella che «fa penetrare fin nel profondo dell’anima il senso del ritmo e dell’armonia, facendovelo aderire nel modo più saldo, apportandovi una certa finezza, ed anzi rendendo fine l’anima stessa» (Repubblica, libro III, 401d-e). A questo scopo, anche la scelta dello strumento musicale si rivela essenziale: grazie al suono chiaro e pulito delle sue corde, è la lira a favorire il perfezionamento morale. La musica non è valutata in base al piacere che se ne ricava ascoltandola, ma dalla sua efficacia come strumento di governo. Tra il IV e il V secolo d.C., i Padri della Chiesa riprendono le suggestioni platoniche integrandole nella teologia cristiana. Banditi i canti profani e la musica puramente strumentale, accusata di trascinare l’uomo verso i più lascivi istinti corporei, l’interesse si indirizza verso la pratica del canto di inni e salmi, a cui è anzitutto attribuita una funzione gnoseologica: essa permetterebbe infatti all’anima di elevarsi dalla semplice conoscenza sensibile al pensiero filosofico, ovvero alla conoscenza razionale dell’universo. Il canto dei salmi non farebbe che esprimere l’armonia del mondo, facendo da contraltare ai cori angelici celesti. Esempio emblematico di questa tradizione è l’inno Deus creator omnium composto da sant’Ambrogio da Milano (340-397). Se è armonioso è razionale e, dunque, morale. Questa visione resisterà a lungo nel mondo occidentale.  

L’armonia si spezza. I compositori dell’Ottocento alla sfida delle convenzioni

«Amici e ammiratori […] di fronte alle opere dell’ultimo periodo si erano trovati con la pena nel cuore come davanti a un processo di dissoluzione e di abbandono del terreno noto, sicuro e familiare: davanti a un plus ultra nel quale sapevano scorgere solo una degenerazione di tendenze […]». Con queste parole Thomas Mann, nel romanzo Doctor Faustus (1947), coglie il senso di smarrimento causato dalle composizioni più tarde del grande musicista Ludwig van Beethoven (1770-1827), il primo vero sovvertitore dei canoni della musica tradizionale. Sono in particolare le ultime sonate ad essere giudicate dai suoi contemporanei sempre più incomprensibili e difficilmente eseguibili: Beethoven introduce infatti forme considerate sino ad allora estranee al genere, come variazioni e fughe, generando un inedito senso di frammentarietà e incompiutezza. A inizio Ottocento, ad essere in crisi è la visione di un mondo stabile e accogliente.
La trentaduesima e ultima sonata op. 111 di Beethoven rappresenta per molti il testamento musicale del compositore. È proprio intorno a questo celebre brano che si sviluppano le riflessioni nel romanzo del Doctor Faustus. Per poter cogliere al meglio le implicazioni dell’opera di Beethoven, Thomas Mann chiese aiuto all’amico Adorno, esperto musicista. Alla seguente pagina, si può usufruire di una guida all’ascolto della sonata: http://www.flaminioonline.it/Guide/Beethoven/Beethoven-Sonata32.html
Il secolo aperto dalle “stravaganze” di Beethoven si concluderà con l’audacia del compositore austriaco Gustav Mahler (1860-1911), le cui opere sono conosciute per la notevole durata, non a caso si parla di gigantismo, e per l’eterogeneità stilistica, entrambi elementi che le resero scandalose per l’epoca. Al contributo di Mahler, il filosofo e appassionato musicista Theodor W. Adorno dedica uno studio nel 1960, in cui evidenzia come la musica diventi con Mahler una «carta assorbente»: in essa, infatti, è ricondotta tutta la complessità del mondo, con le sue insanabili contraddizioni, un mondo che non reca in sé alcuna traccia di armonia e che non può essere oggetto di idealizzazione. Per Adorno, la musica di Mahler riesce comunque a raggiungere un senso di unità e di sintesi non malgrado le fratture che descrive, ma proprio attraverso di esse. Nell’arco di un solo secolo, si affermano nuovi standard tecnici che riflettono una più profonda trasformazione, preparando così il terreno alle avanguardie novecentesche.  

Sperimentazione e contestazione. Un “caotico” Novecento

La crisi dell’io e del rapporto individuo-società trova espressione in tutte le forme artistiche del Novecento. In ambito musicale, è il significato stesso dell’“oggetto musica” che viene messo in discussione: i musicisti diventano essi stessi filosofi. Emblematica è la figura dello statunitense John Cage (1912-1992), convinto che rigettare in modo definitivo le regole dell’armonia significhi introdurre la categoria di libertà nella musica. Per comporre, Cage si affida al lancio delle monetine del testo cinese I Ching, o Libro dei Mutamenti: le sue opere sono il risultato di una sintesi tra metodo e caso e si caricano di una continua tensione tra ordine e libertà. Con questo espediente, Cage critica anche l’importanza da sempre attribuita alla soggettività artistica: solo i suoni, e non l’intenzionalità del compositore, devono essere posti al centro dell’attenzione. E i suoni, per Cage, possono essere prodotti anche da elementi extra-musicali. Risultato significativo della sua filosofia della musica è il brano Music of Changes del 1951.
In questo breve stralcio tratto da un’intervista rilasciata nel 1991, un anno prima della morte, John Cage riflette sulla differenza tra musica e suono e sul significato di «esperienza sonora»: https://www.youtube.com/watch?v=jlVlSdkTa14
Il Novecento non solo sperimenta nuovi linguaggi, ma fa della musica un potente strumento di contestazione e rivendicazione sociale e politica. Non basta registrare contraddizioni e ingiustizie, è necessario reagire ad esse. Grande scalpore suscita il brano Strange fruit, entrato nel repertorio della cantante Billie Holiday (1915-1959) nel 1939. Gli “strani frutti” della canzone sono i corpi degli afroamericani vittime della pratica del linciaggio e appesi senza vita agli alberi delle terre del Sud. L’immagine cruda e senza filtri del testo stride col ruolo socialmente riconosciuto alla musica jazz, blues, swing negli Stati Uniti di quegli anni, ovvero quello di una musica di svago e divertimento per i bianchi. Il pezzo che decreta il successo internazionale di Billie Holiday è lo stesso che le impedisce in molti casi di esibirsi. La sfida alle irrisolte tensioni razziali è raccolta dalla controcultura giovanile degli anni Sessanta, il cui epicentro culturale è l’Università di Berkeley in California. Si tratta di un movimento eterogeneo, unito però dalla critica alla guerra del Vietnam e al conformismo della società americana. Evento simbolo di quella stagione di protesta è non a caso il concerto di Woodstock, una «tre giorni di pace e musica rock», tenutosi dal 15 al 18 agosto del 1969. Tra i gruppi che si alternano sul palco, i Jefferson Airplane si esibiscono con il brano White Rabbit, ispirato ai romanzi Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio del logico e matematico Lewis Carroll (1832-1898). Gli episodi narrati da Carroll sono ripresi per descrivere gli effetti psichedelici delle nuove droghe, ma è proprio in opere filosofico-letterarie come queste, ricche di non-sense, situazioni paradossali e fuori dal senso comune, che la controcultura trova una sponda contro la razionalità strumentale del pensiero capitalista. (Crediti immagini: Wikimedia Commons, Wikimedia Commons)
Apollo_citaredo,_età_augustea,_dalla_zona_delle_scalae_caci_01
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