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Genere e potere

Nonostante nella nostra società i ruoli di comando siano ancora tendenzialmente affidati a maschi, non sono più così rare figure femminili al potere in diversi ambiti sociali. Questo significa che la nostra società è riuscita a superare i dettami di una società patriarcale? Partendo dal pensiero di Simone de Beauvoir, Beatrice Collina si interroga sui nodi ancora aperti della condizione femminile.

Un modello vincente. Per chi?

«Non sono contraria al fatto che ci siano delle donne alla testa dello Stato, ma non è questo che aiuta le donne. […] Si è spesso sottolineato […] che quando una donna ha il potere lo usa esattamente come un uomo: non è differente da loro, anzi spesso è più tirannica, perché per lei è un fatto talmente nuovo e importante avere il potere che finisce quasi per essere peggiore degli uomini».

Queste parole di Simone de Beauvoir (1908-1986), figura imprescindibile per chiunque si approcci al pensiero femminista contemporaneo, furono pronunciate dalla filosofa francese in un’intervista del 1980 e ben ci introducono a un nodo quanto mai attuale: se e in che misura si sia compiuto quel percorso di emancipazione, di conquista di una cittadinanza piena e compiuta, iniziato in epoca illuminista (si pensi a testi come Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, scritto nel 1791 da Olympe de Gouges, o Rivendicazione dei diritti delle donne di Mary Wollstonecraft del 1792), passato per il suffragismo dell’Ottocento ed esploso in epoca più recente nei movimenti femministi degli anni Sessanta e Settanta del Novecento.

Negli ultimi tempi si è infatti assistito all’affermazione sulla scena pubblica, europea e non solo, di donne che sono arrivate a ricoprire ruoli di primo piano all’interno di istituzioni da sempre appannaggio degli uomini: dai partiti politici, alle alte cariche dello Stato, fino a organismi sovranazionali come l’Unione europea. Questo fatto oggettivo suggerirebbe un indubbio successo, o comunque un notevole progresso, nel lungo e impervio percorso di emancipazione delle donne.

In un recente saggio, la docente di filosofia Giorgia Serughetti osserva tuttavia che alcune di queste figure provengono da percorsi di vita e politici lontani dai sentieri tracciati dalle lotte femministe, e si sono fatte strada in contesti di stampo dichiaratamente conservatore. Potrebbe apparire una contraddizione, ma non lo è. Le donne che hanno raggiunto queste posizioni di prestigio, ci sono riuscite a volte riproducendo un preciso modello di potere, quello patriarcale, tanto da arrivare spesso a rifiutare la declinazione al femminile dei nomi dei propri ruoli.

Come modello, il patriarcato si contraddistingue per precisi elementi: l’aspetto fortemente gerarchico, l’idea dell’individuo solo al comando, un approccio fortemente decisionista, la divisione ben chiara di ruoli sociali e familiari. Soprattutto quest’ultimo aspetto lascia bene intravedere uno scarto: le donne conservatrici al potere hanno chiaro quale sia il ruolo delle altre donne nella società, quello tradizionale di moglie e di madre, su cui intendono costruire conseguenti politiche (Potere di altro genere, 2024).

Meccanismi inconsapevoli e modelli alternativi

Gli elementi di sopraffazione, controllo ed esclusione costitutivi del modello patriarcale operano non solo in modo consapevole con precisi obiettivi politici e ideologici, ma soprattutto inconsciamente, creando il sostrato su cui si innestano violenze piccole e grandi.

In questo senso, l’intellettuale francese Pierre Bourdieu (1930-2002) ha parlato di violenza simbolica, esercitata attraverso strutture cognitive talmente interiorizzate da non permettere alle categorie dominate di pensarsi all’esterno di quello stesso modello di dominio: le strutture corporali (il modo di muoversi e gesticolare), la disposizione degli spazi, il linguaggio e i modi dire, tutti elementi che decifrati restituiscono un ordine culturale e sociale ben preciso (Il dominio maschile, 1998).

Il problema allora pare spostarsi: non si tratta solo di una questione di equa rappresentanza, pur fondamentale, ma anche della necessità di scardinare in modo profondo un paradigma di potere che è stato storicamente e culturalmente costruito su una sola tipologia di soggetto: l’uomo, bianco, proprietario e cittadino a tutti gli effetti. Il punto è che possiamo anche ambire ad avere sempre più donne in posizioni chiave, ma ciò che si dovrebbe costruire è un modello alternativo a quello di un potere violento ed escludente per tutte le soggettività che in esso non si riconoscono.

La mente acuta di de Beauvoir era ben consapevole di questo nodo, che resta aperto: 

“«Certamente il rapporto con il potere crea un problema serio. Molte compagne si domandano: “Bisogna o no mirare in alto, oppure ci si deve accontentare di mirare in basso?” Perché se si mira in alto si rischia di essere prese nell’ingranaggio del potere […]. D’altra parte se nessuna donna che ne sia veramente capace se ne occupa, allora non si vedrà mai un cambiamento […] che permetta di trattare di problemi femminili in altro modo».

Una rivoluzione incompiuta

Il  termine femminismo è a volte percepito come antiquato o comunque legato a lotte appartenenti al passato; d’altro canto, l’impegno a scardinare il modello patriarcale accomuna sempre più istanze provenienti non solo dalla galassia femminile, ma anche da altre categorie (spesso definite minoranze, sebbene minoranze non siano) che da quel modello sono ingiustamente schiacciate.

Si parla quindi di intersezionalità, termine coniato dall’attivista statunitense Kimberlé Crenshaw alla fine degli anni Ottanta, proprio per sottolineare come siano molteplici i fattori (sesso, genere, classe, etnia, disabilità) che si possono sovrapporre e determinare una condizione di grave svantaggio.

Tuttavia continua a esistere una specificità della violenza esercitata sulle donne in quanto tali: dai femminicidi alla femminilizzazione del lavoro, che fa coincidere le professioni tradizionalmente femminili con le professioni meno pagate della società, si pensi all’insegnamento o ai lavori “di cura”; dal controllo dei corpi femminili alle minori opportunità che le ragazze hanno in ambito di studio e lavoro rispetto ai loro colleghi uomini, anche quando più preparate.

Persino nella patria di Simone de Beauvoir, quella Francia da sempre in prima linea nella lotta per i diritti e che ha dato un contributo storico e filosofico fondamentale all’emancipazione femminile, si assiste a vicende preoccupanti.

Proprio in questi mesi, sta destando grande clamore il processo per gli abusi subiti da Gisèle Pelicot, narcotizzata per più di 10 anni dal marito che l’ha “offerta” contro la sua volontà a un centinaio di uomini. Pelicot ha voluto che il processo fosse pubblico “perché la vergogna si spostasse dall’altra parte”.

Questo episodio, come ricostruito dal giornale francese Libération, sta scuotendo la Francia non solo per il grave fatto di cronaca in sé, ma per quello che sta scoperchiando: di questa donna non hanno abusato “uomini-mostro”, ma uomini “comuni”, padri di famiglia, lavoratori, di diverse estrazioni sociali, tutti francesi, che anche durante il processo continuano a “normalizzare” le loro violenze, non cogliendone la portata e lasciando emergere il sostrato culturale ancora solido su cui la violenza di genere si innesta e prospera, nonostante tutte le battaglie portate avanti.

Consigli di lettura:

O. de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791), Roma: Caravan, 2012.
M. Wollstonecraft, Sui diritti delle donne: una rivendicazione dei diritti della donna con osservazioni di carattere politico e morale (1792), Milano: BUR, 2012.
P. Bourdieu, Il dominio maschile, Milano: La Feltrinelli, 1998.
S. de Beauvoir, Quando tutte le donne del mondo…, Torino: Einaudi, 1982.
S. de Beauvoir, Sulla liberazione della donna, Roma: Edizioni e/o, 2019.
G. Serughetti, Potere di altro genere, Roma: Donzelli Editore, 2024.
V. Woolf, Le tre ghinee, Milano: Feltrinelli, 2014 (1938).
J. Delage, S. Harounyanu, M. Thomas, “Lo stupratore della porta accanto”, Libération, tradotto in  Internazionale, n. 1584, anno 31, 11/17 ottobre 2024, pp. 32-34.


Crediti immagini: Jacques-Louis David, "L'incoronazione di Napoleone", 1806, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi. (Wikipedia)

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