A pochi anni dal termine della Seconda guerra mondiale, l’Europa si trova ad affrontare nuovi e cruenti conflitti, non più all’interno dei propri confini, ma nei suoi storici possedimenti coloniali che tentano ora di ribellarsi a secoli di violenze e sopraffazioni in un complesso scenario geopolitico globale. In questo contesto, emblematico si rivela la lotta del popolo algerino contro il dominio francese che porta con sé non solo sette lunghi anni di lotte sanguinose – dal 1954 al 1962 – ma anche una profonda lacerazione all’interno della società francese con alcuni filosofi e intellettuali di primo piano che, prendendo le difese della causa algerina, vengono etichettati come traditori dal proprio paese e arrivano persino a rischiare la vita per difendere queste posizioni.
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La Francia, patria dell’Illuminismo, della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), del motto «Libertà, uguaglianza, fraternità», si trova a fare i conti con gli spettri di un passato e di un presente coloniale in cui alcuni dei suoi valori fondanti sono stati deliberatamente e ripetutamente calpestati, in nome di un benessere economico destinato a pochi. Certamente, non si tratta dell’unica potenza colonialista europea. Tuttavia, proprio in virtù della narrazione su cui ha costruito la propria identità, attraverso la sua cultura e il suo pensiero filosofico, la Francia costituisce forse l’esempio più significativo della crisi dell’Europa e dell’Occidente di fronte alle rivendicazioni dei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo che porteranno nel corso del Novecento al processo di decolonizzazione (per alcuni mai davvero realizzato).
È il testo I dannati della Terra di Frantz Fanon (1925-1961) a squarciare la cortina delle certezze francesi ed europee. Fanon è uno psichiatra e scrittore, originario della Martinica, una piccola isola del Mar dei Caraibi, possedimento tuttora francese. Egli stesso si unirà al Fronte di Liberazione Nazionale algerino, con il fine di combattere per una causa che oltrepassa le motivazioni strettamente nazionaliste. Il testo di Fanon, pubblicato nel 1961, è ancora oggi una pietra miliare per questi temi, imprescindibile punto di partenza per chiunque intenda affrontarli.
La prefazione del libro è firmata da uno dei più importanti filosofi francesi, Jean-Paul Sartre (1905-1980), da anni schierato contro il proprio paese sulla questione algerina. Sartre definisce “scandaloso” il libro di Fanon, perché per la prima volta il rapporto tra soggetto e oggetto della narrazione viene ribaltato: sono gli europei e le loro azioni a essere ora al centro dell’analisi e a portare avanti questa critica sono le vittime del secolare sistema colonialista. Nel suo testo, Fanon accusa in modo duro e deciso non un generico Occidente, ma specificamente l’Europa, colpevole di aver «arrestato la progressione degli altri uomini e [di averli] asserviti ai suoi disegni e alla sua gloria; secoli che in nome di una pretesa “avventura spirituale” hanno soffocato la quasi totalità dell’umanità».
L’Europa ha posto al centro della costruzione della propria identità l’“uomo” e l’“umanità”, intendendo però con questi concetti solo una minoranza ben circoscritta e privilegiata della popolazione mondiale. Già nell’editoriale Il colonialismo è un sistema, pubblicato nel 1956 su Les Temps Moderns, Sartre individuava in modo chiaro la strategia utilizzata per giustificare prevaricazioni e violenze: abbassare l’indigeno al rango di selvaggio, di animale, di sub-umano. Questa disumanizzazione dell’Altro ha consentito di difendere sfruttamento e schiavismo, mantenendo volutamente interi popoli nella miseria e nell’ignoranza per poter continuare a servirsene. Lo stesso linguaggio che è stato coniato ed elaborato nel tempo per riferirsi ai popoli colonizzati è un linguaggio che Sartre definisce «zoologico» quando si riferisce a uomini e donne dei territori conquistati alla stregua di «scimmie superiori»: persone che si scoprono «animali nelle parole dell’altro».
Emerge in questo discorso anche un altro tema, quello della paura dell’uomo bianco di fronte all’Altro. Fanon aveva già toccato questo punto nell’altro suo fondamentale testo del 1952 Pelle nera, maschere bianche, in cui scardinava il meccanismo sottile che si crea tra carnefice e vittima: «lui [il bianco] ha paura di me non a causa di ciò che gli ho fatto, ma a causa di quello che lui mi ha fatto e che pensa potrei fargli in risposta». Come superare allora la frattura che si è generata tra europei e resto del mondo? Fanon pone come primo imperativo quello di non imitare l’Europa e il suo pensiero, ma di orientare lotte e cervelli verso la creazione di un essere umano che sia davvero “totale”, archiviando la corrispondenza tra essere umano ed essere europeo.
Mettere in discussione una narrazione. Il lato oscuro dell’Illuminismo europeo
Non sarebbe corretto pensare al colonialismo come mera azione di forza e conquista. Riprendendo le parole di Sartre, il colonialismo ha costituito un vero e proprio sistema, che ha potuto radicarsi e prosperare per secoli anche grazie alle argomentazioni filosofiche del mondo intellettuale europeo che si sono depositate nell’immaginario comune. L’illuminismo è tuttora descritto come il periodo che più ha plasmato l’Europa e i suoi valori fondanti, ma spesso si sorvola sulle responsabilità del pensiero europeo nella giustificazione di azioni atroci.
Ne Lo spirito delle Leggi, tra i testi caposaldo del diritto europeo, Charles-Louis Montesquieu (1689-1755) si dichiarava favorevole alla colonizzazione. Riprendendo la teoria dei climi, già diffusa nel mondo greco, sosteneva che il clima temperato, tipico dei paesi europei, non predisponeva i suoi abitanti alla schiavitù, a differenza di quello asiatico che rendeva impossibile poter trovare in quei territori una vera «anima libera». Montesquieu riusciva in questo modo da un lato a sostenere che la schiavitù fosse contro natura, ma dall’altro ad argomentare che in alcuni paesi si basasse su una legge naturale. Ancora, nel Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (1755), Voltaire descriveva i neri come dotati di un’intelligenza inferiore a quella degli europei, incapaci di attenzione e poco propensi a combinare qualcosa, certamente non portati per la filosofia. Per buona parte degli illuministi, la colonizzazione consisteva in una vera e propria missione civilizzatrice, che aveva il nobile obiettivo di far progredire intellettualmente e moralmente i “cattivi selvaggi”. Per giustificare posizioni di questo tipo, viene spesso usato l’argomento secondo cui la “sensibilità” di quel periodo storico fosse ancora scarsa su questi temi. Tuttavia, voci contrarie si erano levate, poche e isolate, anche se non meno prestigiose. È il caso di Denis Diderot (1713-1784) convinto che “civilizzare” significasse assoggettare a una forma di tirannia.
E oggi? La crisi pare non essere stata davvero affrontata e tantomeno superata. Le sfide contemporanee a livello globale fanno tornare in primo piano le lucide analisi di Fanon, mostrando come determinati processi storici siano strettamente legati al nostro presente. La letteratura che affronta, da prospettive diverse, questi temi è molto ricca, ma proviamo a segnalare un paio di testi significativi.
Il primo è Il pensiero bianco (2021) di Lilian Thuram, ex calciatore da anni impegnato contro il razzismo. Il libro, di carattere divulgativo e accessibile, si concentra proprio sulla Francia, ricostruendo passaggi storici importanti per il paese. Questo percorso è orientato alla lettura del presente e a quanti e quali siano ancora gli irrisolti di una (ex) potenza coloniale.
Il secondo libro che si segnala è La maledizione della noce moscata (2022) del celebre scrittore indiano Amitav Ghosh. Partendo da un fatto realmente accaduto nel lontano arcipelago delle Banda nel 1621, Ghosh ripercorre secoli di conquista e sfruttamento da parte degli europei, mostrando come quella storia non sia ancora chiusa ma giochi un ruolo cruciale nei problemi geopolitici attuali.
Crediti immagine: Soldati del Fronte di Liberazione Nazionale durante la Guerra d’indipendenza algerina, 1958, Museo d’Arte Africana, Belgrado. Foto di Zdravko Pečar (Wikimedia Commons)