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Filosofia

Il dono impossibile di Derrida

Fare un regalo nel vero senso della parola è possibile? No, almeno stando a Jacques Derrida, filosofo francese e padre della corrente filosofica del decostruttivismo
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È raro che i filosofi si occupino del tema del dono, mentre più frequentemente si interessano delle qualità etiche che sembrano connesse all'atto del donare (la liberalità, la generosità, lo spirito di sacrificio ecc.). Fa eccezione uno dei maggiori filosofi del nostro tempo, Jacques Derrida (1930-2004). La decostruzione Protagonista della “svolta linguistica” propria della filosofia del Novecento (cioè un'attenzione verso il linguaggio come “luogo” dell'esistenza), Derrida ha messo a punto una pratica di lettura che egli definisce “decostruzione”. All'atto pratico la decostruzione è un processo inverso rispetto alla costruzione di un testo e delle tesi che espone: decostruendo un testo, Derrida va alla ricerca di aspetti marginali, rimandi, contraddizioni improvvise: insomma, tutti quegli aspetti problematici e aporetici che sono presenti in una teoria. Di fatto, in questo modo, un testo diventa fonte di interpretazioni infinite e può trascinare il lettore verso lidi inaspettati, magari molto distanti da quelli attesi. Questo modo di procedere, che rende difficile fornire una sintesi delle posizioni di Derrida, si applica a espressioni del linguaggio comune, teorie filosofiche, testi narrativi, prassi consolidate, attraverso una fitta rete di richiami. Perciò i saggi di Derrida sono un denso concentrato di considerazioni che ampliano un problema e mostrano le crepe di una teoria data per sicura (anche se un filo conduttore dei suoi sforzi è l'esplorazione della parola, che è molto meno nelle mani del soggetto che la usa di quanto normalmente si pensi).
Qui puoi saperne di più a proposito di Derrida e della decostruzione
A partire da Mauss Derrida ha dedicato al dono un saggio del 1991 intitolato Donare il tempo. La moneta falsa (Raffaello Cortina Editore, Milano 1996). Il titolo preannuncia una certa complessità, perché Derrida analizza il dono, gli usi linguistici del verbo donner (dare), la connessione dare-donare- tempo e il tutto a partire dal Saggio sul dono dell'antropologo Marcel Mauss e da un racconto di Baudelaire, La moneta falsa (ma per semplicità ci limitiamo a considerare le riflessioni di Derrida sull'opera di Mauss). Derrida sonda molti passaggi del Saggio sul dono. Mentre l'ottica dell'antropologo era quella di svelare la funzione del dono e di cercare un fondamento ai rapporti sociali in pratiche diverse da quelle dell'economia occidentale, lo scopo di Derrida è chiarire la problematicità del concetto di dono. Mauss ha notato come l'uso del termine “dono” non sia esatto per definire ciò che accade nelle società melanesiane o di altre parti del mondo, dove esistono forme di scambio o consumo molto lontane dalle prassi occidentali. Egli, però, accetta e usa questo termine per pura prassi e segnala l'ambiguità di gesti a cavallo tra libertà e obbligo che caratterizzano alcune società primitive. Derrida vede in questa riflessione di Mauss una rivelazione della natura impossibile del dono. Dal suo punto di vista, è come se il Saggio sul dono fosse una «follia», perché arriva a mettere in dubbio ciò di cui ha parlato fino a quel momento.
Di Marcel Mauss abbiamo parlato anche nel "Come te lo spiego" di scienze umane a lui dedicato ed è al centro del commento della professoressa Chiara Frugoni, protagonista di questo intervento d'autore sempre qui sull'Aula di Lettere
Il dono è impossibile La paradossale conclusione a cui giunge Derrida è che il dono, come lo concepiamo usualmente, sia impossibile. Si vorrebbe infatti che un dono fosse un oggetto dato con gratuità, senza chiedere nulla in cambio, offerto ad altri per affetto e generosità. Le cose non stanno così, argomenta Derrida, perché donare richiede una forma di restituzione, materiale o simbolica. Materiale, nel senso che il dono deve essere ricambiato; simbolica, nel senso del riconoscimento del donatore come soggetto che offre qualcosa a qualcuno, il quale è consapevole di aver contratto un debito, magari suo malgrado. Il dono crea quindi un vincolo e una circolarità di rapporti, e proprio per questo smentisce se stesso. Il dono possibile, secondo Derrida, è quello che nasconde le proprie sembianze e non si presenta come dono: non solo agli occhi di chi riceve il dono, ma anche a quelli del donatario. Nel momento in cui un oggetto è qualificato come dono nella coscienza di qualcuno, si attivano aspettative e vincoli. Anche il donatario che, per pudore o per evitare la nascita di legami gravosi, si tiene nascosto agli occhi del donatore, ha rotto l'incantesimo del vero dono, perché si appropria di una gratificazione in quanto donatore: il gesto ha perso la sua gratuità. Questo dono inconsapevole deve anche essere al di fuori della memoria: se fosse ricordato da qualcuno, innescherebbe il circuito della reciprocità. Donare su altre basi Fare un regalo su queste basi è impossibile: dovremmo agire nella più totale inconsapevolezza, essere immuni da forme di autogratificazione e sperare che anche i beneficiari restino all'oscuro di quanto accade. Potremmo dire quindi che le persone usualmente non si fanno regali veri, ma regali che contraddicono se stessi. Per certi versi, la tesi di Derrida sembra un ottimo motivo per smettere di fare regali e offre conforto a chi detesta le ritualità del dono come il Natale e i compleanni. Volgendo a nostro vantaggio la riflessone di Derrida, però, possiamo serenamente abbandonare la ricerca del regalo perfetto (ossia veramente gratuito) e accontentarci di versioni più terrene del dono, consapevoli che il donare è uno snodo di vincoli, forme di gratificazione, richiesta di reciprocità e forse molto altro ancora, in una strutturale (ma non per questo spiacevole) ambiguità.
Per una recente riflessione sul dono, puoi ascoltare le considerazioni di Francesca Brezzi, docente di filosofia morale
Immagine di apertura: Jacques Derrida for PIFAL, Arturo Espinosa (via flickr) Immagine del box: Jacques Derrida, painted portrait _DDC3327, thierry ehrmann (via flickr)
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