Per una riflessione filosofica più generale sul processo della globalizzazione, sui suoi molteplici significati e le sue implicazioni politiche e culturali, si rimanda alla seguente puntata di Zettel: http://www.filosofia.rai.it/speciale/lo-speciale-di-rai-filosofia-la-globalizzazione/1134/24177/default.aspx
Globalizzare la pace: la tradizione del cosmopolitismo democratico
Con l’espressione cosmopolitismo democratico si indica una tradizione di pensiero tipicamente europea che affonda le proprie radici nel saggio di Immanuel Kant (1724-1804) Per la pace perpetua, apparso nel 1795. Fulcro del pensiero kantiano è la convinzione che al di fuori delle singole comunità statali esista una comunità superiore, cosmopolitica, a cui apparterrebbe ogni individuo, in quanto tale e non in quanto cittadino di uno Stato. La posizione di Kant segna il passaggio da un diritto internazionale concepito come jus ad bellum, codice regolatore tra Stati che si trovano tra loro in costante tensione, a un diritto internazionale inteso come strumento di tutela della pace mondiale. Per Kant, gli Stati non dovrebbero sacrificare le singole identità nazionali, ma impegnarsi volontariamente a garantire la pace sul piano internazionale. Questo risulterebbe tanto più facile per le repubbliche, la cui forma di governo le renderebbe maggiormente portate a comportarsi pacificamente anche verso l’esterno. A recuperare queste idee è il giurista e filosofo austriaco Hans Kelsen (1881-1973), che nel 1944 pubblica il volume La pace attraverso il diritto. Sullo sfondo delle macerie della Seconda guerra mondiale, Kelsen vede nel progetto kantiano la base da cui partire per rifondare il diritto internazionale. A differenza di Kant, tuttavia, Kelsen considera oramai doverosa la costituzione di istituzioni sovranazionali con potere giuridico. Le buone intenzioni degli Stati, anche di quelli democratici, si sono infatti rivelate drammaticamente insufficienti. A questo si aggiunge la consapevolezza di uno scenario internazionale sempre più complesso, in cui diviene evidente lo scarto tra chi prende le decisioni e coloro su cui ne ricadono gli effetti. Le riflessioni di Kelsen hanno contribuito alla creazione delle attuali autorità internazionali e sono un punto di riferimento imprescindibile per filosofi politici contemporanei quali David Held e Jürgen Habermas che considerano l’Unione Europea, pur con tutte le difficoltà che ne caratterizzano l’operato, il primo esempio di istituzione sovranazionale con poteri vincolanti.Il cosmopolitismo liberale: meccanismo naturale o progetto politico?
Al cosmopolitismo democratico si contrappone il cosmopolitismo liberale (o neoliberale) che si ispira alla teoria del libero scambio. I suoi sostenitori considerano la globalizzazione economica un meccanismo naturale e auto-regolativo che permetterà a strati sempre più ampi di popolazione di migliorare le proprie condizioni di vita, a patto di saper sfruttare le opportunità offerte dalla globalizzazione stessa. Per il cosmopolitismo liberale, la sovranità statale è l’ostacolo principale da abbattere per accedere ai vantaggi commerciali e finanziari. Sono tuttavia molti i critici, di diversa formazione, che tentano di smascherare la presunta neutralità di questo processo. Tra i filosofi contemporanei, è forse lo statunitense Noam Chomsky, classe 1928, il più deciso oppositore della globalizzazione economica, che egli considera solo una delle possibili «modalità di integrazione internazionale». Da sempre convinto anarchico, Chomsky evidenzia come dietro ai cosiddetti “accordi di libero scambio” si celino in realtà gli interessi di Stati e multinazionali il cui obiettivo è incrementare i profitti sfruttando la mancanza di regolamentazioni locali. Per Chomsky, non solo questi accordi, in quanto di fatto unilaterali, non possono essere ritenuti propriamente tali, ma riguarderebbero prevalentemente i «diritti degli investitori» e non il commercio. Inoltre, in contrasto con gli stessi assiomi del libero mercato, introdurrebbero elementi fortemente protezionistici come nel caso delle tutele dei brevetti intellettuali. Cogliere queste contraddizioni significa mostrare come le leggi del mercato non siano affatto leggi naturali, ma il frutto di decisioni precise prese da un ristretto numero di attori globali.
Intervistato al Festival della Filosofia nel 2016, il giornalista Federico Rampini problematizza in modo sintetico ed efficace le discrepanze tra i modelli economici teorici e la situazione dell’economia reale: http://www.filosofia.rai.it/speciale/l%E2%80%99utopia-della-convivenza-pacifica/1938/38231/default.aspx