Si dice spesso che i classici si distinguono dalle altre opere per la capacità di suscitare domande e interessi in ogni tempo. Deve averla pensata così anche un filosofo francese contemporaneo, Alain Badiou, che qualche anno fa si è lanciato in una strana impresa: riscrivere uno dei classici per eccellenza della storia della filosofia, La Repubblica di Platone.
La Repubblica di Badiou
La Repubblica nasce come opera politica, dedicata alla giustizia e allo Stato ma come spesso accade nelle opere di Platone, anche altri temi sono coinvolti, come la teoria della conoscenza e quella delle idee, per via della stretta connessione che Platone stabilisce tra azione e conoscenza. Riscrivere l’opera di Platone è stato un lavoro lungo, sei anni dice Badiou, e soprattutto meditato. Badiou non si è proposto una semplice riscrittura divulgativa, ma una sorta di attualizzazione filosofica, nella quale il pensiero di Platone non si pone prima della successiva storia del pensiero, ma è contemporaneo al pensiero più recente e si confronta con Lacan, Marx, Freud e altri autori contemporanei. Per un verso, questa operazione rende Platone più semplice e leggibile: in questo si tratta di una forma di aggiornamento linguistico e stilistico. Per un altro, però, si propone anche come un’innovazione lessicale e contenutistica, come si capisce da alcune scelte terminologiche. Badiou preferisce “Soggetto” ad “anima” e “Verità” a “bene”: due scelte che al lettore moderno, laico e teoretico, possono suonare bene. Badiou preferisce anche “Altro” a “Dio”, una scelta che fa trapelare un difficilissimo concetto dello psicanalista francese Lacan, che chiamava Altro una regola non scritta di una società, o un ordine simbolico di riferimento, la sensazione per la quale ci sentiamo osservati quando agiamo.
Qualche esempio
Badiou sceglie un registro comunicativo colloquiale: i personaggi (anche una donna, Amantea) parlano con un linguaggio semplice, citano con spontaneità Lyotard, Lacan, Mauss e altri intellettuali contemporanei, talvolta mettono in discussione lo stesso pensiero del Platone originale, come quando il personaggio Socrate mostra il limite del suo metodo dell’isomorfismo, con il quale paragonava la struttura dello Stato e quella dell’individuo: “Come dimostrare l’isomorfismo tra due realtà, se non si capisce niente della struttura di una delle due? Il mio metodo degli isomorfismi, ahimé, è solo un inganno delle apparenze” (p. 88), conclude lo stesso Socrate. In qualche caso il gioco degli inserti di autori moderni non è privo di effetti. Pensiamo a un celebre brano della Repubblica originaria, nel quale Platone spiega che il tiranno è uno schiavo delle proprie passioni, oppresso da mille vizi e difetti (Repubblica, IX, VI). Nella lettura di Badiou, queste considerazioni sono riproposte in chiave psicoanalitica a proposito della figura del dittatore: “ecco molto esattamente che cos’è l’uomo tirannico, il fascista convinto: egli è, da sveglio, e senza sosta, ciò che da giovane, era solo talvolta nel cuore della notte nei propri incubi. […] La pulsione, che vive in lui e vi anima un’anarchia oppressiva, orienta l’infelice come il tiranno governa lo Stato: osa tutto per soddisfare i desideri osceni della propria soggettività corrotta, tanto i desideri in lui insediati dallo spirito di banda della sua adolescenza, quanto quelli che giacevano, inattivi, nel suo inconscio, e di cui a poco a poco le sue scelte di vita hanno spezzato le catene e liberato l’energia malfattrice” (p. 335).
Qual è il senso di questa operazione?
Come intendere l’operazione compiuta da Badiou? Come una semplice attualizzazione? Secondo l’autore della postfazione all’opera, Livio Boni, il senso sta in un’immissione di platonismo in un contesto come quello della cultura filosofica contemporanea che è dominato dalla filosofia analitica e dallo sviluppo di suggestioni nietzschiane. Così, riprendere temi fonativi della storia della filosofia, come l’idea di vero e l’oggettività della giustizia, significa porre nuovamente sul tappeto questioni che la filosofia tende ad accantonare (l’idea di vero come realtà necessaria, anche se oscura; il comunismo come opzione politica con cui tutti i modelli devono confrontarsi). Un’opera così singolare non è stata accolta dalla critica in modo univoco. Per l’italiano Toni Negri, è un’opera poco convincente, perché a dispetto delle molte dichiarazioni di comunismo, dalla Repubblica di Badiou emerge un’assenza di pratica dialettica e spirito antagonistico. Questa critica ci svela un modo di considerare la riscrittura come una scrittura ex novo, un’occasione per esprimere il proprio pensiero dietro la maschera di un’operazione intellettuale di altro segno.
Forse però, pur con tutte le critiche che può attirare, il gioco vale la candela, perché la riscrittura compiuta da Badiou non è piaggeria o deformazione, ma è una nuova tessitura dell’opera che apre spazi suggestivi confronti con altre opere e che a livello di interazione tra i personaggi lascia al lettore di Platone la soddisfazione di vedere all’opera un dialogo vivace e intenso, più simile a quello reale rispetto al dialogo platonico vero e proprio. Questo “remake” dell’opera platonica (come è stato definito dal suo stesso autore) può apparire una sorta di gioco intellettuale, ma nasce dall’esigenza di riabilitare una filosofia che afferma l’esistenza dell’universalità in un mondo caotico, di fronte al quale l’umanità, spiega Badiou, ha bisogno di recuperare valori universali.
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