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Tra passato e presente, memoria e oblio

Tempo, memoria, poesia: Roberta Ioli mostra come nell'Antica Grecia il poeta sia immerso nel tempo in cui vive ma anche in quello eterno delle Muse che lo ispirano. Il legame con il tempo si sviluppa anche nella polarità tra memoria e oblio, esperienza centrale non solo del poeta ma anche di chi fruisce dell'opera poetica
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C’è un tempo della storia e un tempo della biografia personale, una successione di istanti verso un fine, necessario o casuale, e l’eterna ripetizione dell’identico. C’è soprattutto un tempo della coscienza che, come scrive Bergson, si traduce in durata, potenza fluida della vita, un gomitolo che cresce su se stesso e della cui ricchezza nascosta siamo per gran parte inconsapevoli. Il tempo della memoria e del ricordo è sottratto alle determinazioni spazio-temporali, si dilata in una sospensione incantata, i cui effetti per gli antichi sono assicurati principalmente dalla poesia. L’italiano “ricordo” e “ricordare” derivano dal latino recordari, voce dotta che corrisponde a “rimettere nel cuore (cor)” un pensiero, un’immagine, un volto, con un movimento di tenace resistenza al tempo, come suggerito dal prefisso re- che indica un’inversione di direzione.   Mneme in greco è memoria, ma anche ricordo e, per metonimia, allude a ciò che ci permette di ricordare altro, come una pietra sepolcrale in memoria di un defunto, o il dono di un poema che garantisce il ricordo imperituro di una persona amata. Dalla radice *mne derivano anche i numerosi verbi greci del ricordare, ognuno con una propria sfumatura semantica: mimnesko è il ricordo condiviso e che sollecita ricordi negli altri, mentre la sua forma media mimneskomai indica soprattutto la rimemorazione personale. Una sottile distinzione nel processo della memoria è suggerita dal mito platonico di Teuth sulla nascita della scrittura. Nel Fedro (275a5) la scrittura è presentata come “medicina non per la memoria (mneme), ma per la reminiscenza (hypomneseos)”: mneme è dunque per Platone la memoria personale, sollecitata dall’ascolto e costruita pazientemente nel tempo, mentre hypomnesis è il ricordo di breve durata, a cui si è sollecitati da elementi estrinseci. E la scrittura garantirebbe solo la cura di una memoria estemporanea, che non corrisponde però a un’esperienza profonda, a un sapere vitale.   Anche per gli antichi poeti dell’epos la memoria è parola udita, ben prima che scritta, incisa nella mente, ed è un dono talmente prezioso da essere divinizzato: Mnemosyne è il nome della dea, dalla cui unione con Zeus nacquero le Muse, custodi della memoria che le ha generate e che in loro ha partorito frutti perfetti. Della madre le Muse condividono l’esperienza di una memoria attiva, intesa non come serbatoio di ricordi, ma come pratica inesauribile che si traduce anche nella capacità di far ricordare. Tra i doni che esse offrono al poeta Esiodo vi è infatti la memoria, soprattutto onomastica e catalogica, che si esprime perfettamente nella narrazione della stirpe di dei ed eroi, attraverso un canto che parte dall’origine, secondo una precisa idea di ordine e di rispetto delle priorità.   Esiodo, descrivendo la propria investitura poetica, così narra nella Teogonia (vv. 31-34):   […] e una voce m’ispirarono divina perché celebrassi le cose che saranno e quelle che furono, e m’ingiunsero di lodare la stirpe dei beati sempre viventi, e di cantare loro sempre al principio e alla fine.   Nessuna invenzione, nessuna conquista autoptica della verità, ma l’obbedienza a un ordine divino. Il canto che le Muse insegnano presuppone dunque una sapienza che si traduce nel rigore della narrazione: in primo luogo viene cantata l’originaria stirpe degli dei, discendenti da Urano e Gea; in seguito saranno celebrati Zeus e la sua discendenza, e infine la stirpe degli uomini e dei Giganti. La voce del poeta epico si presenta come ripetizione della parola divina e cura della tradizione, conservata nell’armonia di un canto che riproduce l’ordine dei nomi e degli eventi, secondo una precisa successione temporale.   Le Muse e gli indovini conoscono presente, passato e futuro: così, per esempio, è introdotto l’indovino Calcante nell’Iliade (1.70), come una figura ubiqua nel tempo, mentre il poeta, pur essendo guidato da una voce divina, è menzionato nell’epos come colui che canta “le cose che saranno e quelle che furono”, cioè gli eventi del futuro e del passato, ma non il presente. È possibile ricordare ciò che è accaduto, perpetuando la narrazione del passato, e forse anche anticipare il futuro, se gli dei ci faranno dono di questa preveggenza, ma il presente non può essere narrato: può essere solo vissuto con un’adesione totale alla sua istantaneità.   La consacrazione del poeta presuppone dunque l’incontro della temporalità con l’eterno in cui le Muse sono immerse; solo quando abbia ricevuto il dono del canto, e attraverso di esso la possibilità di rendere presenti i fatti del passato, il poeta diventa capace di celebrare le cose che saranno e quelle che furono. Ma il suo rapporto con la temporalità non finisce qui: infatti la poesia, che è memoria, è paradossalmente anche dimenticanza, “oblio dei mali e ristoro dagli affanni” (Esiodo, Teogonia, v. 55). Per sortire il suo effetto di incantamento, di malia che addomestica temporaneamente il dolore, il poeta chiede al pubblico un’adesione profonda ma mai totale, un’identificazione non piena con quanto narrato. Lo dimostra Odisseo che, ascoltando il divino aedo Demodoco presso la corte dei Feaci, per ben due volte piange e nasconde il proprio turbamento, udendo prima il canto della contesa delle armi di Achille, poi le vicende del cavallo di Troia. Troppo intenso è il dolore di Odisseo perché possa godere del canto: l’eroe è infatti ancora dentro la storia narrata da Demodoco, nella sua drammatica propaggine finale. Anche per Esiodo la poesia esercita il suo potere lenitivo solo quando, ascoltando il canto dell’aedo, il pubblico dimentica il proprio doloroso presente attraverso le glorie degli uomini di un tempo. Non basta, cioè, la sapiente strutturazione delle sequenze narrative secondo un principio d’ordine e bellezza; affinché la poesia possa incantare chi ascolta, è necessario uno scarto temporale, una distanza tra memoria cantata e vita del presente.
Per avere un quadro completo dell'ambito semantico dellla parola "tempo": qui di seguito il pezzo di Roberta Ioli sul "futuro" (gennaio 2016) https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/il-passato-ci-parla/chronos-kairos-aion-eterno-ritorno/ e qui quello su "rivoluzione", strettamente legata al concetti di tempo (gennaio 2017) https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/il-passato-ci-parla/rivoluzione-ovvero-il-ciclico-ritorno-dellidentico/ 
(Crediti immagini: Wikipedia e Wikipedia)
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