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Filosofia

Una persona è la propria coscienza: John Locke e il problema dell'identità

John Locke è stato il primo grande filosofo della modernità a riflettere criticamente sull'identità personale, slegandola dalla metafisica e portandola su un piano più psicologico
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Per secoli la filosofia ha faticato ad affrontare il problema dell'identità. L'uso di categorie metafisiche e di definizioni generali rendeva difficile scendere dalla generalità dell'essere umano e della sostanza alla particolarità del singolo individuo. Forse non è allora un caso se una chiara riflessione sull'identità sia comparsa in un filosofo deciso a smontare la metafisica tradizionale e le sue categorie, l'inglese John Locke (1632-1704).
Qui trovi una sintesi del pensiero di John Locke
Una polemica contro la nozione di sostanza Locke parla dell'identità nel capitolo 29 del Libro II del Saggio sull'intelletto umano, all'interno di un più ampio discorso che ha come oggetto l'idea di sostanza, un concetto tipico della filosofia di cui Locke mostra la fragilità (nel senso che, a suo avviso, è solo un nome vuoto perché non corrisponde a nulla di conoscibile). Lo scopo della sezione dedicata all'identità è mostrare come essa non riposi su una sostanza. Il discorso però finisce con l'abbracciare in modo più ampio il tema dell'identità in un modo che rende interessante il pensiero di Locke al di là della polemica filosofica in cui nasce La riflessione di Locke, inoltre, non è solo interessante per il suo argomento, ma anche per il costante uso di immagini, aneddoti e ipotesi paradossali, che ci rivelano un modo molto vivace di fare filosofia. L'identità di un uomo non è l'anima Il primo passo è stabilire che cosa è l'identità di un uomo. Per Locke è una certa organizzazione della materia, che sopravvive al ricambio delle particelle, che si associano e si allontanano dal nostro corpo. L'identità, afferma Locke, non può essere l'anima, perché altrimenti un'anima potrebbe risiedere tanto nell'imperatore Eliogabalo quanto in un maiale, e in questo secondo caso ci troveremmo nella singolare condizione di dover dire che un certo maiale è l'imperatore Eliogabalo. L'uomo non è solo una mente Una volta chiarito questo punto, Locke affronta un altro problema: che cosa è un uomo. Secondo la definizione più tradizionale l'uomo è un animale razionale. Locke però non è d'accordo con questa definizione. Quando parliamo di “uomo” intendiamo un animale che ha una certa forma corporea: se ci riferissimo alle sue qualità mentali, dovremmo concludere che un pappagallo particolarmente versato nel linguaggio è un uomo. Perciò quando parliamo di “uomo” ci riferiamo a un certo corpo e a un certo spirito. Che cosa è l'identità personale A questo punto, dice Locke, dobbiamo capire che cosa è l'identità personale. Quando parliamo di persona, abbiamo in mente un essere pensante, intelligente che compie molte azioni, delle quali è cosciente. Proprio quest'ultimo è l'elemento fondamentale: la coscienza. Fin dove si estende la consapevolezza delle proprie azioni, fin lì si estende la persona, afferma Locke. Uomo e persona sono quindi concetti diversi: infatti, argomenta Locke, se l'anima di un principe si insinua nel corpo di un calzolaio, la persona del principe resta la stessa, “ma chi potrebbe dire che si tratta dello stesso uomo?”. Considerazioni di questo genere possono strappare il sorriso (e forse gli esempi scelti da Locke avevano proprio questo scopo), ma quando cerchiamo di tradurle in termini moderni e immaginiamo il caso di un uomo affetto da disturbi di personalità multipla che commette un delitto, la faccenda si fa drammatica e complessa, soprattutto per il giudice che deve decidere se il delitto è stato commesso dalla personalità principale o da una personalità secondaria (il cosiddetto "alter ego"). Proprio perché una persona è la coscienza, conclude Locke, non si può punire Socrate da sveglio per ciò che ha pensato Socrate mentre dormiva ed era privo di coscienza. Oppure, più concretamente, la legge non punisce il savio per ciò che ha commesso quando era pazzo, perché erano due persone diverse (ma sempre lo stesso uomo).
Qui trovi alcune considerazioni del filosofo Remo Bodei a proposito di Locke e di altri autori che hanno riflettuto sul tema dell'identità
Consapevolezza di sé e condanna La riflessione di Locke ha il merito di aver spostato il problema dell'identità dal campo della metafisica a quello della psicologia. Nello stesso tempo, però, affida del tutto la nostra identità alla coscienza e alla sua continuità nel tempo. Ma possiamo pensare a molti casi in cui, senza cadere nelle psicopatologie, la nostra coscienza è lacunosa e la nostra memoria manchevole. Basta non ricordare un evento per non esserne considerati gli autori? Locke, che non sembra preoccuparsi di una consapevolezza a tratti intermittente (in fondo, è un dato di fatto che non compromette l'identità di una persona), si sofferma sulla responsabilità degli atti e la loro punibilità e conclude che punire una persona che non è consapevole di ciò che ha fatto è un atto ingiusto. Al di là di quanto tutto questo possa creare problemi a un giudice (e Locke ricorda le attenuanti concesse in caso di ubriachezza), far coincidere la persona con la coscienza solleva un'altra questione, propria di un pensatore cristiano: un peccatore smemorato riuscirà a sfuggire al pericolo delle fiamme dell'inferno? No, risponde Locke, usando gli strumenti concettuali della sua epoca, perché il giorno del Giudizio “verranno aperti i segreti di tutti i cuori”: in altre parole, saremo ben coscienti delle nostre azioni e ci ricorderemo di tutto che, magari volentieri, eravamo riusciti a dimenticare. Immagine di apertura: ritratto di John Locke di Sir Gotfrey Kneller (via Wikipedia) Immagine per il box: copertina della quarta edizione del Saggio sull'intelletto umano di John Locke (via Wikipedia)
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