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Chi sono i violenti? Alla ricerca di un difficile identikit

Come e perché si diventa violenti? E, in particolare, quali sono le cause che portano un uomo a essere violento – fino alle più estreme conseguenze – verso una donna, con la quale spesso ha un rapporto affettivo o di parentela? Le diverse correnti psicologiche che hanno provato a rispondere a queste domande forniscono spunti importanti su come elaborare strategie per evitare la violenza di genere. 

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Le notizie di violenze sulle donne colpiscono profondamente la nostra sensibilità, perché ci mostrano che è stato infranto il divieto dell’aggressività nel conteso delle relazioni familiari, laddove essa, in nome dell’affetto reciproco, non dovrebbe avere spazio. Ben presto si scopre che l’atto che ha fatto notizia è solo l’episodio culminante di un crescendo quotidiano di violenza verbale e fisica. 

È quindi inevitabile chiedersi perché un uomo sia strutturalmente violento nei confronti della partner. Per la psicologia la questione si sdoppia: gli essere umani sono inevitabilmente aggressivi? E perché alcuni sono aggressivi nei rapporti di coppia?

Evitare le soluzioni facili

I dati statistici cancellano ogni illusione. A fronte di un generalizzato calo degli episodi di violenza nelle società occidentali, non diminuiscono quelli sferrati contro le donne, soprattutto gli omicidi. E neppure possono valere idee preconcette sul tasso culturale, il tenore di vita o le patologie psichiatriche di persecutori e vittime: la violenza contro le donne appartiene a tutti i livelli sociali e a commetterla non sono solo uomini con problemi psichiatrici. Psicologhe che hanno lavorato sul campo, come Maria Luisa Bonura, puntano allora il dito contro la cultura e l’immaginario collettivo in cui sono cresciuti gli uomini violenti.

Un’analisi sui dati dei femminicidi è offerta dal video di Francesca Faenza pubblicato su Aula di Lettere in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 2023:

https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/archivio-lettere/tutti-i-temi-del-mese/25-novembre-contro-la-violenza-di-genere/femminicidio-e-violenza-di-genere-gli-strumenti-per-capire-1

Ma per capire meglio questa interazione tra individuo e contesto culturale, occorre volgere l’attenzione verso alcune dottrine che fanno di questo snodo un tema fondamentale.

A onor del vero le resistenze ad accettare un’origine culturale o psicologica della violenza domestica non possono essere accantonate con superficialità. Il criminologo Adrian Raine, per esempio, invita proprio a considerare la neurobiologia dei violenti, ma non per giustificare le loro azioni, bensì per prevenirle dopo averne capita la causa autentica.

Un primo passo verso la comprensione dell’aggressività

Seguendo la ricostruzione fornita da Mauro Fornaro, con qualche semplificazione possiamo dire che in psicologia esiste una linea innatista, che vede nell’aggressività una componente fondamentale della psiche umana. Sigmund Freud, sua figlia Anna e Leo Spitz hanno colto una componente aggressiva nei bambini, nei loro comportamenti e nelle loro fantasie. Questa posizione è stata avversata in più modi sia da altri psicanalisti sia da psicologi di altre correnti.

Più che un dato originario, per alcuni psicanalisti l’aggressività è una reazione alle frustrazioni. Il primo a formulare una tesi simile è stato un ex collaboratore di Freud, Alfred Adler, per il quale l’aggressività è la conseguenza di un sentimento di inferiorità. Queste tesi si sono integrate in una concezione cognitivista che insiste sui processi di elaborazione personale, sulla valutazione e sulla rielaborazione dei dati. In altre parole, la componente istintuale spiega solo in parte gli atti violenti.

Un altro stimolo a riflettere sull’interazione tra individuo e ambiente viene dalla tradizione della psicologia sperimentale. In un’ottica comportamentista l’aggressività è la reazione a uno stimolo. Al pari di quanto avvenuto nella tradizione psicoanalitica, anche la psicologia sperimentale, nel corso degli anni, ha però valorizzato sempre di più il modo in cui gli stimoli vengono interpretati dal singolo, dalla sue idee, dalle influenze del suo gruppo di appartenenza. 

Se anche esiste un’aggressività originaria, ci dicono oggi gli psicologi, essa non sfocia necessariamente in violenza, ma la sua espressione dipende da come l’individuo intende se stesso e il proprio rapporto con il mondo.

In altre parole, è in una complessa sfera in cui rientrano tanto la costituzione della personalità quanto l’influenza delle idee sociali che si sviluppa una propensione all’aggressività.

La responsabilità del contesto

Un tentativo di portare ordine in questa discussione è quello della psicoanalisi di taglio culturalista rappresentata da Erich Fromm, uno psicoanalista molto critico nei confronti delle dinamiche della società capitalista. Negli esseri umani, a suo avviso, esiste una aggressività benigna, adattiva, che ha la funzione di preservare il soggetto dal rischio di morte o di portarlo ad acquisire beni necessari.

Per ridurne la portata, occorre agire sulle condizioni sociali (i “fattori realistici”, dice Fromm), che la scatenano. L’aggressione maligna, invece, si sviluppa attraverso comportamenti distruttivi e sadici, che spesso nascondono un patologico desiderio di controllo: essa non è però un dato naturale, ma affonda le sue origini “nelle condizioni stesse dell’esistenza umana” e può essere quindi sradicata.

Dalle cause generali ai casi particolari

Ma come si arriva da una teoria generale dell’aggressività alla spiegazione di un femminicidio o di una violenza sistematica? La psichiatra Marie-France Hirigoyen sgombra il campo dai dubbi: trovare una sola causa è illusorio. Come tanti altri fenomeni comportamentali, la violenza psicologica e fisica che sfociano nell’aggressività si spiegano in modo multifattoriale.

Analizzando i casi individualmente, non si possono escludere disturbi psichiatrici o particolari condizioni biologiche, ma queste condizioni non esauriscono il numero delle cause della violenza, perché non sono sempre presenti. L’autrice sottolinea piuttosto alcuni aspetti frequenti, come un’educazione nella quale il ricorso alla violenza è accettabile (e a volte praticata sui figli) o una personalità narcisistica.

Questo secondo caso appare molto interessante. Non è raro che i violenti siano persone dal profilo narcisistico, ossia assillate dal riconoscimento di se stessi al punto da non accettare l’autonomia della partner, ridotta a strumento di supporto, ma a volte anche respinta in una complessa dialettica nella quale l’altro è necessario per la propria affermazione, ma anche pericoloso perché un rapporto fusionale mette a repentaglio la propria autonomia.

Un narcisista può anche essere un abile manipolatore, che inganna la partner sul suo passato, la professione, la vita quotidiana, in assoluta mancanza di rimorso. Usando una serie di metafore molto efficaci, la psichiatra francese spiega che per il narcisista “l’altro non esiste in quanto individuo, ma in quanto specchio”; anzi, l’altro è una preda di cui il narcisista si nutre, come se egli fosse un vampiro o una sanguisuga.

Marie-France Hirigoyen sviluppa la sua analisi in modo analitico e individua altri profili psicologici. Tra i violenti rientrano anche gli ossessivi, animati da un bisogno di controllare, e i paranoici, gelosi, diffidenti, sospettosi ogni oltre ragionevole dubbio.

Nonostante tutte le spiegazioni possibili della sociologia e della psicologia e qualsiasi razionalizzazione, ogni nuovo caso di femminicidio o di violenza sulla partner farà sollevare di nuovo lo sconforto e la riflessione di sempre: la violenza non può essere una cosa normale.

Bibliografia

Maria Luisa Bonura, Che genere di violenza. Conoscere e affrontare la violenza contro le donne, Erickson, Trento 2016.
Mauro Fornaro, Aggressività, Centro scientifico editore, Torino 2004.
Erch Fromm, Anatomia della distruttività umana, Oscar Mondadori, Milano 1975.
Marie-France Hirigoyen, Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, Torino 2000.
Marie-France Hirigoyen, Sottomesse. La violenza sulle donne nella coppia, Einaudi, Torino 2006.
Adrian Raine, L’anatomia della violenza. La radici biologiche del crimine, Mondadori Università, Milano 2016.


Crediti immagine: Edgar Degas, Lo stupro, 1896, olio su tela, Philadelphia, Museum of Art (crediti: Wikipedia)

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