Attenzione alla frase tra virgolette nel titolo. A prima vista, ha un significato preciso, univoco: qualcuno vi sta dicendo che ha visto un film in cui recita l’attrice Margot Robbie. Però, se prestate un po’ di attenzione, vi potete rendere conto che, benché sia molto semplice, si tratta di una frase ambigua: chi parla potrebbe intendere che ha visto un film in compagnia di Margot Robbie – ieri sera, sul divano della sua casa di Los Angeles. Quel “con”, infatti, è ambiguo, e lo è volutamente: la frase è infatti costruita secondo le regole dell’anfibolia, una figura retorica che gioca con i significati doppi, a volte tripli, di certe parole, e si diverte a creare delle anfibologie, vale a dire dei discorsi, appunto, resi ambigui dalla presenza di termini che si prestano a interpretazione a volte perfino contrastanti.
Facciamo un paio di esempi: «Ero allibito da come mangiavano quei ragazzi» è una frase innocente, detta da qualcuno che non si capacita di quanto (o quanto male, o quanto volgarmente) mangiano certe persone; ma immaginate che chi sta parlando vi stia in realtà raccontando di un’avventura orribile vissuta in un villaggio di cannibali, e che “quei ragazzi” non sia il soggetto della frase ma il complemento oggetto.
Il classico esempio che si fa nei manuali di retorica è il seguente: «Una vecchia porta la sbarra» può voler dire due cose molto diverse: a una prima lettura, c’è una signora anziana che regge un paletto; a una seconda, c’è una porta logorata dal tempo che tiene chiusa una stanza.
Per fare un’anfibolia, servono termini o costrutti grammaticali che possano essere interpretati in modi differenti, a volte perfino contrastanti: bisogna perciò usare parole polisemiche («porta» che è sia un sostantivo che un verbo), oppure omonimi, e bisogna giocare un po’ con la costruzione di frase – è per esempio un’anfibolia anche una frase molto semplice e apparentemente priva di problemi come «Vecchi libri e quaderni»: che cosa è “vecchio”, qui? Sicuramente i libri. E i quaderni? Forse. Ma forse no.
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