W. Shakespeare, sonetto 130, My mistress’ eyes are nothing like the sun…
Gli occhi della mia donna non sono come il sole;
il corallo è più rosso del rosso delle sue labbra:
se la neve è bianca, allora il suo petto è grigio;
se i capelli sono filamenti, sulla sua testa crescono fili neri.
Ho visto rose damascate, e rosse, e bianche,
ma non ne vedo sulle sue guance;
e in certe fragranze c’è più delizia
che nel suo fiato.
Amo sentirla parlare, eppure so
che la musica ha un suono più lieto:
non ho mai visto camminare una dea –
la mia donna, quando cammina, calpesta il suolo:
ma, giuro, il mio amore è così raro
come raro è ciò che da falsi paragoni è sminuito.
A lungo, in poesia, si è finto di parlar della donna. La si trattava come una creatura ultraterrena, direttamente discesa dalle sfere celesti a portar l’amore. I poeti dello Stilnovo, ma anche Petrarca, usavano parlare delle loro amate come di creature eteree che facevano da tramite con l’Assoluto. L’amore era qualcosa di perfetto, ideale: si amava per contemplare la bellezza, per arrivare a toccare Dio, ma non c’era carne, non c’erano imperfezioni né litigi, e tutte le donne cantate, a ben guardare, si assomigliavano tra loro.
La fine della distanza
È stato Shakespeare uno dei primi a riportar le donne sulla terra. Lo ha fatto in un sonetto che prende le distanze dalla vecchia tradizione ed è una parodia delle poesie che cantavano le donne-angelo: Shakespeare riusa tutti i topoi di quel tipo di lirica e li ribalta, raccontando che la sua donna non è bionda e forse nemmeno bella; che non fa da tramite con Dio ma cammina sulla terra. Eppure, scrive, proprio per questo lei è unica ed è sua. La donna di Shakespeare non è lontana dagli uomini, ma è qui, con le sue imperfezioni e la sua verità. Il poeta l’ha resa di nuovo umana, viva, sgonfiando una volta per tutte quell’enfasi celestiale che per secoli aveva guidato la mano degli altri poeti: ecco, in questo c’è dell’ironia, ha notato qualcuno. L’ironia non sta nel prendere in giro gli altri, ma nel raccontare le cose in modo sghembo: si dice l’opposto di quello che si vuol dire (in questo caso si dice che si fa un’antifrasi). Ma, soprattutto, la si usa quando ci si vuole prendere poco sul serio e sfrondare il discorso da ogni saccenteria. È, o può essere, un modo come un altro per dire di qualcuno «non è perfetto, ma lo amo».
Immagine per il box: ritratto di Laura de Noves, da alcuni ritenuta la Laura amata dal poeta Francesco Petrarca (via Wikimedia Commons)
Immagine di apertura: frontespizio del "First Folio" di William Shakespeare (via Wikipedia)