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Per gioco, per desiderio e per potere. Tre violenze contro le donne

Quali sono i moventi e le cause della violenza maschile sulle donne? Andrea Tarabbia individua tre temi seguendo tre drammatiche storie che vengono raccontate dalla letteratura italiana (Giovanni Verga) e internazionale (Leonid Andreev e Thomas Hardy).

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Per gioco

C’è un racconto, breve e violentissimo, che Giovanni Verga (sì, proprio lui!) scrisse nei primi anni Ottanta dell’Ottocento. Si chiama Tentazione!, col punto esclamativo, ed è contenuto nella raccolta Drammi intimi (1884), che l’editore presentò al pubblico come una serie di «fantasticherie erotiche, “malsane divagazioni della mente”, amori che uccidono ed insieme novelle rusticane».

Tentazione! racconta la storia di tre ragazzotti lombardi, Ambrogio, Carlo e il Pigna, che una sera qualunque decidono di prendere il tram per fare serata a Vaprio d’Adda. Ma si perdono, perché uno di loro pensa di conoscere delle scorciatoie che non conosce. Sono giovani, belli e contenti però: così vagano per la campagna cantando, hanno un lavoro, dei soldi e delle fidanzate, e nelle loro vite sembra non ci siano problemi. Girano un po’ a vuoto, è quasi ora di cena.

Sul loro cammino incrociano una contadina, la avvicinano per chiederle la strada giusta per il tram. Lei li vede e tira dritto: è sola e loro sono in tre. Ma loro sono bravi ragazzi, le dicono cose gentili, così lei dà loro le indicazioni che chiedono. Questo è il momento in cui qualcosa, nella storia, comincia a incrinarsi: lei ha dato un po’ di confidenza e il Pigna, chissà perché, allunga le mani.

La contadina risponde con una gomitata, ma è ancora un gioco: lei è sospettosa, ma loro le fanno un complimento che le strappa un sorriso. Così si avvicinano, Verga costruisce una specie di danza in cui i quattro corpi si sfiorano: lei respinge i ragazzi con decisione, ma un po’ sembra spaventata e un po’ ride, perché siamo ancora in quel momento in cui può succedere che la cosa finisca lì.

Non finisce però. È di nuovo il Pigna, a cui la ragazza piace, che si fa molesto, e gli altri due si mettono in mezzo per dividerli. Da qui non si torna indietro, però, perché appena toccano il suo corpo, i tre si eccitano: presto lei è a terra e, benché Verga non descriva che cosa accade, tutti lo capiamo. Poi c’è la ragazza che grida e chiede aiuto, ma la campagna è larga e vuota, e la sua voce si perde. È Carlo il primo a metterle le mani attorno al collo per farla tacere. E lei tace, infine, perché muore. Scavano una buca in cui la seppelliscono, e all’improvviso trovano la strada per il tram.

Il racconto ha un finale, se si vuole lieto: i tre vengono arrestati. Ma per la vittima questo non cambia nulla.

Per desiderio

Zinočka e Nemoveckij passeggiano al calar del sole e parlano d’amore dandosi del voi: siamo nella Russia d’inizio Novecento, loro sono giovani, nel cielo ci sono nuvole fioccose, nella campagna tutt’intorno non c’è nessuno.

Siamo dentro L’abisso, terribile racconto che Leonid Andreev scrisse nel 1901: comincia come un idillio che piano si incrina, perché il buio comincia a calare e gli enormi spazi vuoti in cui i ragazzi si muovono generano inquietudine; incrociano due prostitute, Zinočka ne viene turbata, per farsi coraggio i due si prendono per mano.

Camminano verso casa, ma la direzione è incerta: chiedono informazioni a tre uomini, che si rivelano però ubriachi e molesti. Guardano Zinočka in modo lubrico, ne commentano le forme e si avvicinano minacciosi. Zinočka scappa, uno dei tre la insegue mentre i due rimasti picchiano Nemoveckij. Lo lasciano in un fossato quasi privo di sensi e si buttano all’inseguimento della ragazza, che per qualche pagina sparisce dal racconto, mentre chi legge intuisce che cosa le stia capitando.

Ma non è questo l’abisso che il titolo promette. Non ancora. L’abisso arriva nel giro di un paio di pagine.

Ripresosi, Nemoveckij cerca Zinočka, la chiama nel buio, chiede aiuto.

Quasi per caso si imbatte in lei: è sdraiata a terra, svenuta, coi vestiti lacerati e quasi completamente nuda:

«(...) ciò che gli uomini avevano fatto di quell’indifeso corpo di fanciulla gli sorse dinanzi alla mente in tutta la sua orrenda chiarezza e si ripercosse con strana, eloquente forza in tutto il suo essere»

scrive Andreev. Nemoveckij si assicura che la ragazza sia viva, e continua a ripeterle «Sono io!» come per tranquillizzarla. Ma lei è inerme: è viva ma non reagisce. Nemoveckij

«sentì, chissà perché, che era meglio non si svegliasse ancora. Trattenendo il respiro, guardandosi furtivamente intorno, l’accarezzò lievemente sulla guancia e la baciò prima sugli occhi, poi sulle labbra che si schiusero dolcemente sotto il suo bacio ardente».

E ancora:

«Nemoveckij si sforzava di afferrare l’idea che quel corpo era Zinočka, la fanciulla che gli camminava accanto poco prima e parlava dell’infinito; ma non ci riusciva. Cercava di sentire l’orrore di quanto era accaduto, ma troppo orribile era il pensiero che quella era la verità perché lo si potesse penetrare».

Nemoveckij non capisce più cosa prova: chiede aiuto, chiama la ragazza, ma allo stesso tempo la osserva, la bacia, la desidera, le ripete ossessivamente che la ama, le promette di sposarla, la bacia di nuovo finché, in risposta a un suo bacio

«Gli parve che le labbra della fanciulla tremassero. Un terrore abbagliante, come una fiamma, accecò un attimo il suo cervello, spalancandogli dinanzi un abisso nero. E l’abisso nero lo inghiottì».

Il racconto finisce così, senza dire davvero che cosa accade, ma lasciando poco spazio al dubbio. Zinočka, violata dagli ubriachi e inerme, diventa semplicemente un corpo, qualcosa su cui scaricare il proprio desiderio, ma anche la paura e, perché no?, l’amore.

Solo che l’amore sopra un corpo inerme è violenza, e della specie più orrenda. Questo Nemoveckij, nelle sue condizioni, non è in grado di capirlo, Andreev sì: e infatti l’abisso a cui allude il titolo non è riferito allo stupro di gruppo che quasi uccide la ragazza, ma a questa violenza per così dire intima, figlia di un desiderio puro e piena di buone intenzioni.

Per potere

Thomas Hardy, scrittore inglese vissuto a cavallo tra Otto e Novecento, fu autore di alcuni libri dal tono melodrammatico: uno dei più noti, scritto nel 1891, è Tess dei d’Urberville, la cui protagonista, Tess, è una povera ragazza che viene dalla campagna inglese.

Quando suo padre scopre una lontana discendenza nobiliare, viene mandata dalla famiglia altolocata dei d’Urberville. E qui comincia una storia cupa, basata sui rapporti di classe e di potere. Nessuno, né Tess né gli Urberville, è davvero nobile: Tess poiché ha vissuto poveramente, la famiglia perché ha comprato il titolo nobiliare.

Eppure, le differenze tra loro si fanno da subito evidenti: Alec d’Urberville, bellissimo e affascinante, non accoglie in famiglia Tess, ma le propone di lavorare per loro. Tess non può che accettare, ma da qui in avanti deve continuamente respingere le avances di Alec, a cui può dire no ma dal quale, per ragioni economiche e per via di quel sogno nobiliare che non si è ancora spento, non si può separare.

Finché lui la trascina in una foresta e la violenta. Tess torna dalla sua famiglia, partorisce il figlio di Alec – che morirà subito e sarà seppellito quasi di nascosto, poiché è nato fuori dal matrimonio e non è stato battezzato.

In seguito, Tess vaga di lavoro in lavoro, si innamora, riamata, di Angel, che però fatica a reggere il peso del suo passato (la violenza subita è vissuta spesso come una colpa: come se la vittima non fosse una vittima ma qualcuno che porta impresso un marchio, una vergogna), e va via dall’Inghilterra per qualche tempo. La morte del padre e le ristrettezze economiche costringono Tess ad accettare, dopo molti anni, l’offerta che Alec fa, a lei e alla sua famiglia, di vivere nella sua proprietà – a patto ovviamente che Tess condivida il suo letto.

Tess dei d’Urberville finisce in tragedia, perché Tess infine si ribella e uccide Alec e viene condannata a morte, mentre Angel, ritornato a casa, promette che si occuperà della sua famiglia.

In questo romanzo l’abuso sessuale non è figlio del gioco, come accade in Verga, e solo parzialmente lo è del desiderio: viene piuttosto da un’idea di dominio, di potere. Alec pensa di poter disporre della vita di Tess (offrendole lavoro prima, un focolare poi) e dunque di poter disporre del suo corpo: quando questo gli viene negato, lo prende con la violenza.

La proposta di vivere insieme, come una famiglia, che egli fa alla ragazza alcuni anni dopo la violenza dice che, nel modo di pensare di Alec, non esiste il senso di colpa e nemmeno la morale: Tess è una cosa bella, e come tale va posseduta.

Per gioco, per desiderio e per potere

Ho scelto consapevolmente, per il tema di questo mese, di parlare soltanto di libri scritti da uomini. Ovviamente gioco, desiderio e potere non sono le uniche cause della violenza di genere: molte pagine sono state scritte, in letteratura, su gelosia, rabbia, paranoia e altri motivi, compreso anche il fatto che, a volte, di motivi non ce n’è.

Leggete per esempio Arancia meccanica di Anthony Burgess (o guardate il film che ne ha fatto Stanley Kubrick): lì si mette in scena una violenza pura, fine a sé stessa, fatta per motivi estetici – ovvero per il semplice gusto di fare il male. Il culmine di questo libro, o almeno uno dei suoi picchi, è rappresentato proprio da un tentativo di stupro che Alex, il protagonista, compie nei confronti di una signora, nella cui casa si era intrufolato a scopo di rapina.

In una scena atroce, surreale, che nel film è accompagnata dall’allegra ouverture della Gazza ladra di Rossini, i due cominciano una lotta furibonda che porta Alex, che per tutto il tempo sembra divertirsi molto, in qualche modo racchiudendo in un’unica azione il gioco, il desiderio e l’affermazione di un potere, all’omicidio. Da lì in poi le cose cambiano, per lui e per il romanzo, ma questa è un’altra storia.

Chiudo con un consiglio di lettura. È un breve saggio, uscito lo scorso anno per un piccolo editore: si chiama La misoginia tra le righe. La violenza sulle donne nella storia della letteratura (https://www.carmignanieditrice.com/negozio/misogenia-tra-le-righe/). Lo ha scritto una latinista che ora non c’è più, si chiamava Francesca Allegri: è andata a cercare, nella storia della letteratura, i casi in cui, spesso inconsapevolmente, è stata messa in scena qualche forma di violenza contro le donne, li ha radunati e li ha commentati. È un piccolo libro, ma è un lascito prezioso.

Che cosa sono i femminicidi e che cos’è la violenza di genere? Per approfondire definizioni e aspetti giuridici, rimandiamo al video di Francesca Faenza pubblicato nel novembre 2023 in occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della violenza contro le donne: 

https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/sezioni-lettere/interventi-d-autore/femminicidio-e-violenza-di-genere-gli-strumenti-per-capire-1 

Crediti immagini: Caspar David Friedrich, "Tramonto", 1837, olio su tela, Hermitage, San Pietroburgo (Wikipedia)

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