Una recensione a “I demoni e la pasta sfoglia”: http://www.ilsaggiatore.com/wp-content/uploads/2017/07/2017_07-indice-mari.pdf
L’autoanalisi del Tasso
Non sono chiarissimi i motivi “ufficiali” per cui Torquato Tasso fu rinchiuso, tra il 1579 e il 1586, nel manicomio di Ferrara: sicuramente l’odio che nutriva per lui Alfonso II d’Este giocò un ruolo decisivo. E però si sa che il poeta soffriva di smemoratezza e che aveva un umore piuttosto instabile, figlio di allucinazioni che lo portavano a vedere larve, fantasmi, diavoli, folletti che lo inseguivano. La stanza LXXVII del dodicesimo Canto della Gerusalemme liberata sembra quasi, se letta con la consapevolezza dello stato precario di salute del Tasso, una pagina di autoanalisi: Vivrò fra i miei tormenti, e fra le cure Mie giuste furie, forsennato errante. Paventerò l’ombre solinghe e scure Che ’l primo error mi recheranno innante; E del Sol, che scoprì le mie sventure, A schivo ed in orrore avrò il sembiante. Temerò me medesmo, e da me stesso Sempre fuggendo, avrò me sempre appresso. Dopo la pubblicazione della Gerusalemme, avvenuta nel 1580 senza l’approvazione dell’autore, Tasso divenne uno degli scrittori più noti e celebrati del mondo cristiano e, con lui, divenne celebre anche la sua follia, tanto che pare che a Londra, con Tasso ancora vivo, andasse in scena un dramma intitolato Tasso’s Melancholy. Molte biografie furono scritte, tra Seicento e Ottocento, per raccontare la vita di quest’uomo solo e geniale. Due su tutte: una Vita di Torquato Tasso, scritta nel 1621 da tale Giambattista Manso, divenne un autentico bestseller in Europa; Goethe completò, nel 1790, il dramma teatrale Torquato Tasso, in cui si mette in scena il doppio tormento del poeta: quello con il suo tempo (l’esilio da Ferrara, il suo amore, forse non corrisposto, per Eleonora d’Este, l’ostilità di Alfonso II) e quello con se stesso e le sue turbe. Il poeta, nel dramma goethiano, alla fine impazzisce del tutto e viene internato: ma ha scritto uno dei più grandi libri di ogni tempo. Che cosa affascinava tanto, della vicenda del Tasso, gli scrittori del tardo Settecento e dell’Ottocento? Sicuramente che, in qualche modo, essa rispecchiava e anticipava alcuni grandi temi romantici: racchiudeva genio e follia, ossessione e talento smisurato. Per Goethe, e per i romantici che lo seguirono, la vita e le tribolazioni di Tasso erano un paradigma della creazione.
La follia di Tasso: http://web.tiscali.it/bibliopsi/torquatotasso.htm
Un matto fiorentino
Ma anche il Novecento ha avuto i suoi matti. Ce n’è uno, grandissimo, che viene da Marradi, in Toscana: si chiama Dino Campana, fu un uomo irrequieto e instabile, capace di grandi accensioni e di altrettanto grandi rancori, e che finì i suoi giorni nella follia dopo aver sfidato gente a duello, aver avuto comportamenti borderline e aver visitato parecchi psichiatri fiorentini. A partire dal 1905 entrò e uscì da vari manicomi da cui spesso fuggiva per venire ripescato dalla polizia. Scrisse uno dei più bei libri di poesia italiana del secolo, i Canti orfici (prima edizione 1914, seconda 1928), che è un’opera difficile da catalogare: contiene versi, prose liriche, brani di diario, e poi visioni, sogni, deliri ma anche mancamenti, invettive. La vicenda di Campana, uomo perennemente in fuga e perennemente contro il mondo, ha ispirato nel 1984 a Sebastiano Vassalli, grande scrittore recentemente scomparso, un bellissimo romanzo-biografia: La notte della cometa.
Su “La notte della cometa” di Sebastiano Vassalli: http://www.italialibri.net/opere/nottedellacometa.html
Ma forse è meglio che sia Campana a parlare direttamente. Ecco L’invetriata:
La sera fumosa d’estate
Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra
E mi lascia nel cuore un suggello ardente.
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? - c’è
Nella stanza un odor di putredine: c’è
Nella stanza una piaga rossa languente.
Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c’è
Nel cuore della sera c’è,
Sempre una piaga rossa languente.