Crea quasi una litania, una preghiera, un mantra: è l'anafora, una figura retorica che attraverso la ripetizione delle parole serve a dare ritmo e a sottolineare concetti
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Se potessi riempire di fuliggine i palazzi comunali
e, singhiozzando, abbattere orologi,
lo farei per vedere quando alla tua casa
arriva l’estate con le labbra spaccate,
arriva gente col vestito d’agonia,
arrivano regioni di triste splendore,
arrivano aratri morti e papaveri,
arrivano becchini e cavalieri,
arrivano pianeti e carte geografiche con sangue,
arrivano palombari coperti di cenere,
arrivano maschere che trascinano fanciulle
trafitte da grandi coltelli,
arrivano radici, vene, ospedali,
sorgenti, formiche,
arriva la notte con il letto
dove muore fra i ragni un ussero solitario,
arriva una rosa di odio e spilli,
arriva una barca giallognola,
arriva un giorno di vento con un bambino,
e poi arrivo io con Oliverio, Norah,
Vicente Aleixandre, Delia,
Maruca, Malva Marina, María Luisa e Larco,
la Rubia, Rafael Ugarte,
Cotapos, Rafael Alberti,
Carlos, Bebé, Manolo Altolaguirre,
Molinari,
Rosales, Concha Méndez,
e altri che non ricordo.
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Pablo Neruda, Ode a Federico García Lorca (1936, trad. it. di Salvatore Quasimodo)
Crea quasi un mantra, crea quasi una litania, l’anafora, come succede in certe preghiere o in certe invocazioni ai santi o nelle laudi.
È quella figura che ripete, spesso all’infinito, una o più parole all’inizio di un verso o di una frase. È quella figura che, nell’ode di Neruda, ci costringe a porre l’attenzione su qualcosa che arriva, e arriva, e arriva.
Perché, a volte, mentre si parla o si scrive, si sente il bisogno di ripetere delle parole, di insistere su dei concetti? Per sottolinearli, certo: così risultano inequivocabilmente chiari. Ma non solo. Pensateci, l’anafora ottiene due effetti, uno ritmico e uno di senso. Quello ritmico è presto detto: dei versi, o delle frasi, che cominciano sempre allo stesso modo hanno una struttura simile, si leggono quasi come una filastrocca: ne viene una sorta di elenco scandito, c’è come un colpo di grancassa che segnala ogni volta l’arrivo di una frase nuova; e poi il senso: i costrutti anaforici sono parenti. Anche se dicono cose diverse, il loro ritmo avvicina i concetti, li mette sullo stesso piano e li rende paragonabili l’uno all’altro. Questo è evidente, per esempio, in cose tipo il Cantico delle creature di San Francesco, che è fondato sull’anafora:
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Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
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(Crediti immagini: flickr, Wikimedia Commons)