Che si tratti di fraseologia formulare è evidente, oltre che da quanto sopra accennato, dal raffronto con altri passaggi omerici dove è costante la struttura:
–∪∪ – ζώειν καὶ ὁρᾶν φάος ἠελίοιο
che ricorre in Il. 25. 558, Od. 4. 540 = 10. 498 ecc. (cfr. anche, con variazione, Od. 4. 833, 14. 44 ecc.).
Per farla breve: vivere e vedere la luce del sole sono un binomio sinonimico usuale, tanto usuale da far credere che già a un livello cronologico alto "vedere la luce del sole" fosse una metafora spenta.
Questa equivalenza "luce = vita" a volte appare declinata con un ulteriore scarto metaforico, questa volta di tipo affettivo: qualcuno rappresenta per qualcun altro la luce, ovvero la vita. In questo caso la "luce/vita" sottolinea la dichiarazione di un affetto profondo che lega gli individui. Nel corso del suo sfogo emotivo con la madre Teti, accorsa a consolarlo dopo la morte di Patroclo, a un certo punto così Achille dice di sé (Il. 18. 101-103):
ora non tornerò alla cara terra patria, né sono stato luce a Patroclo né ai compagni...
dove qui "luce" vale vita, aiuto, conforto, sostegno e tutto quello che si può immaginare adatto al contesto. Su questa stessa linea si consideri ancora Od. 16. 23-24: Eumeo, il porcaro, quando vede Telemaco sano e salvo gli rivolge parole affettuose quasi di padre, e così manifesta la sua gioia profonda:Sei tornato, Telemaco, dolce luce (γλυκερὸν φάος)! Io davvero non pensavo di rivederti, dopo che partisti per Pilo.
"Abbandonare la luce del sole": morire Per converso, ma insistendo sullo stesso punto metaforico "luce = vita", il sintagma "abbandonare / lasciare la luce del sole" esprime la nozione del "morire". Un passaggio iliadico illustra bene il senso, presentando un violento contrasto tra le diverse condizioni di Achille vivo da un lato e di Patroclo morto dall'altro. A parlare è proprio Achille, che lamenta la morte del compagno per mano nemica mentre lui resta vivo, esprimendo un non troppo celato "senso di colpa del sopravvissuto" (Il. 18.9-12):quando la madre (= Teti) mi rivelò e disse che il migliore dei Mirmidoni (= Patroclo), me ancor vivo (ἔτι ζώοντος ἐμεῖο), avrebbe abbandonato la luce del sole (λείψειν φάος ἠελίοιο) per mano dei Troiani. Davvero giace morto (τέθνηκε) il forte figlio di Menezio...
Anche in questo caso l'espressione è d'uso frequente (Od. 11. 93 ecc.), e presenta una variante di senso identico ma con differente punto di vista (Od. 13. 33, 35 ecc.): dativo di persona + ἔδυ/κατέδυ φάος ἠελίοιο, per qualcuno "tramontò la luce del sole". Se nel primo caso è qualcuno che abbandona la luce del sole, ora è la luce del sole che abbandona qualcuno. Il risultato, però, non cambia: si muore sempre.
Deus dixit "Fiat lux!" et lux facta est E Dio disse: "Sia la luce!" e la luce fu.
Sempre sul piano dell'elaborazione culturale, assumendo il punto di vista inverso, questa evidenza è stata variamente elaborata nelle credenze relative al mondo dei morti, che nelle più varie società è stato immaginato come luogo buio, avvolto dalla nebbia, caratterizzato da una pervasiva non- visibilità: un luogo dove "non si vede la luce", appunto. E nemmeno l'Inferno di Dante fa eccezione.





