Aula di Lettere

Aula di Lettere

Percorsi nel mondo umanistico

Sezioni
Accad(d)e che
Come te lo spiego
Interventi d'autore
Il passato ci parla
Sentieri di parole
Nuovo Cinema Paini
Storia di oggi
Le figure retoriche
Gli antichi e noi
Idee didattiche digitali
Le parole dei media
Dall'archivio
Tutti i temi del mese
Materie
Italiano
Lettere classiche
Storia e Geografia
Filosofia
Storia dell'arte
Scienze umane
Podcast
Chi siamo
Cerca
Scienze umane

Il faticoso lavoro dell'identità

L'identità di una persona - il suo "io" - è in continua evoluzione nel corso della vita e richiede un continuo "lavoro" psichico per essere definita

leggi

L'identità di una persona non è una statua di marmo inalterabile nel tempo. Tutti, con il passare dell'età, fanno esperienza dei propri cambiamenti interiori: opinioni, atteggiamenti, interessi a distanza di anni possono variare in profondità, anche se non è detto che la nostra percezione dei cambiamenti sia condivisa dalle persone intorno a noi che possono trovarci identici o profondamente cambiati a dispetto della percezione che abbiamo noi. Ma che cosa succede a questa identità soggetta al tempo quando insorge una disagio psichico? Alcuni disturbi possono essere temporanei e svanire lasciando tracce più o meno profonde; altri sono così radicati da parere una componente stessa della personalità. Anzi, secondo la psicologia la causa di alcuni disturbi è proprio un problema di integrazione tra le parti della propria interiorità. Noi siamo abituati a identificarci con la nostra mente molto più che con il nostro corpo. Perciò un disagio psichico pone interrogativi sulla propria identità molto più profondi di quanto non faccia una malattia del corpo. Prendiamo in considerazione qualche caso. Gli stress post traumatici Partiamo da un caso semplice. Di ritorno da un'operazione di guerra, un militare inizia a manifestare sbalzi d'umore, non sopporta i rumori forti e ricorda costantemente alcuni episodi drammatici della sua esperienza. Non è più lui. La diagnosi è quella di stress post traumatico. Per uscire da questa situazione si possono battere molte strade: dalla terapia che aiuta a controllare il ricordo e a valutare le proprie sensazioni, forme di rilassamento. In un caso come questo il disagio non sembra appartenere all'identità del paziente (in alcuni casi le conseguenze di un evento spiacevole proseguono solo per qualche giorno e quindi non sono vere nevrosi).

Per un rapido inquadramento degli stress post traumatici leggi qui

L'Io dello schizofrenico Molto più complesso è il caso della schizofrenia, un disturbo psichico difficile da definire. Uno dei suoi tratti tipici è una forma di dissociazione di volta in volta tra pensieri ed emozioni, tra se stessi e il corpo, tra sentimenti diversi presenti in contemporanea a cui si possono aggiungere molte altri tratti: allucinazioni, deliri, disturbi del linguaggio. Che cosa accade nella mente dello schizofrenico? Questo interrogativo se lo sono posti numerosi psichiatri e psicanalisti fin dai primi anni di vita delle loro discipline e come spesso accade in questi casi con risposte molto varie. Per William Fairbain (1889-1964) la schizofrenia deriva da una mancata integrazione di componenti diverse dell'Io: in particolare, durante l'infanzia, il bambino si identifica con oggetti cattivi per tentare di controllarli (dal punto di vista del bambino, è meglio pensare che sia lui cattivo e non i genitori). Ronald Laing (1927-1989) ha ipotizzato che l'Io del paziente si costruisca un Io corporeo distinto con una scissione interiore. Quell'Io è destinato ad essere uno scudo difensivo che preserva l'integrità dell'Io più nascosto. È un Io molto contiguo al mondo e distante dal vero Io più profondo. Quindi i recitativi degli schizofrenici, gli usi linguistici bizzarri e tutte le altre anomalie sarebbero una sorta di maschera difensiva costruita per difendere un Io fragile dalle minacce del mondo esterno. Per certi versi queste prospettive rendono la malattia una parte integrante dell'identità del paziente dato che è così radicata nella sua mente. Dall'altro però in questa identità fatta di componenti distanti, c'è forse una parte più vera delle altre. Lo psichiatra statunitense Edwin Fuller Torrey, esperto proprio di schizofrenia, sembra di questo avviso: i tratti di base della personalità restano inalterati e alcuni tratti della personalità come la calma o l'irrequietezza di uno schizofrenico erano in realtà già presenti nel soggetto prima dell'insorgere del disturbo. Né tanto meno esiste una correlazione tra personalità e schizofrenia: la schizofrenia colpisce in modo imparziale ricchi e poveri, calmi e nervosi.

Qui trovi una sintetica descrizione della schizofrenia

Nei disturbi della personalità multipla esiste una personalità ordinaria L'identità della persona appare ancora più compromessa nei disturbi di identità multipla o disturbi dissociativi di identità. In questo tipo di disturbo la continuità dell'esperienza è interrotta dall'emergere di un'altra personalità (ma usando questo termine con molta cautela, perché molti esitano a definirla personalità). L'alter, o gli alter che emergono al posto della personalità possono essere di età diversa dalla personalità primaria e avere atteggiamenti nei suoi confronti di protezione o di persecuzione (o anche di indifferenza). Secondo lo psichiatra e psicoanalista Giovanni Liotti, la dissociazione è una strategia difensiva che si presenta in età adulta ma che si è costituita nel soggetto quando era bambini, in seguito a un complesso di fattori tra i quali sono centrali un attaccamento disorganizzato a un genitore ed eventi traumatici. Lo scopo di una terapia psicoanalitica, in questo caso, è rendere il paziente consapevole dell'esistenza dell'alter separato dall'identità ordinaria del paziente, della sua origine, della sua funzione limitata come forma di protezione L'identità comporta un lavoro psichico continuo Studiare le patologie ha sempre un effetto di rimbalzo sulla situazione normale. Si scopre che anche senza essere schizofrenici possiamo costruire delle maschere per relazionarci con gli altri, magari senza riuscire a dominarle del tutto, o accorgerci che alcune componenti della nostra personalità non sono coerenti tra loro. Insomma, inizia a insinuarsi un sospetto, ossia che, come scriveva anni fa lo psichiatra Giovanni Jervis, «l'Io non solo rende coerente ciò che era incoerente e unitario ciò che era molteplice, ma in parte fa anche apparire coerente e unitario, secondo un meccanismo di autoinganno, tutto ciò che di fatto non lo è» (G. Jervis, Presenza e identità. Lezioni di psicologia, Garzanti, Milano 1984, p. 60): come dire che la nostra identità non è un dato di fatto, ma un lavoro senza fine.

Per una serie di riflessioni di Jervis sull'identità clicca qui

Immagine di apertura: "Blow your mind", di Camilo Rueda López (via flickr)

Immagine per il box: "Stress", di Bernard Goldbach (via flickr)

6273248505_43d0b56424_o
4918575268_668c415bd7_b

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento