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Il fordismo ieri e oggi

“C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”: con queste parole Henry Ford, all’inizio del secolo scorso, cambiava completamente il concetto di lavoro. Ma qual è il segreto del fordismo?

Nel 1936 il regista e attore Charlie Chaplin dirige Tempi moderni, un film che rappresenta in modo ironico le trasformazioni che la fabbrica ha attraversato nei primi decenni del Novecento.  Chaplin affronta tutti gli elementi di un nuovo modo di organizzare il lavoro: la ripetitività dei gesti alla catena di montaggio, la disumanizzazione del lavoro, la perdita di forza contrattuale degli operai. Sono le caratteristiche di un’incarnazione della suddivisione scientifica del lavoro che deriva dalle idee di Frederick Taylor, operata a cavallo tra XIX e XX secolo. Agli operai viene affidata una singola operazione ripetitiva da eseguire rimanendo fermi davanti al nastro trasportatore, che fa circolare i pezzi da assemblare. La catena di montaggio rappresenta una svolta formidabile per aumentare l’efficienza e ridurre i costi di produzione, ma porta con sè anche critiche forti per il ruolo puramente meccanico, quasi di ingranaggio a sua volta, al quale viene relegato l’operaio, che accentua l’alienazione del lavoratore dell’era industriale, già denunciato da pensatori come Karl Marx.

 Guarda questo estratto dal film "Tempi moderni"

 

Trent'anni più tardi rispetto al film di Chaplin la condizione dell’operaio alla catena di montaggio è al centro di un celebre brano del cantautore Giorgio Gaber. Siamo alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso e il modello di lavoro che si è consolidato nella prima metà del Novecento appare in crisi. Si tratta di quel modello che simbolicamente può essere fatto nascere cent’anni fa negli Stati Uniti, ha avuto il suo periodo di massima efficacia nel secondo dopoguerra, ma che, come vedremo, ha ancora strascichi anche nel mondo del lavoro di oggi.

Giorgio Gaber a Senza Rete nel 1969, “La catena di montaggio (Tic)”

Henry Ford e il fordismo Il 5 gennaio 1914 Henry Ford, fondatore della Ford Motor Company (ancora oggi una delle più grandi aziende automobilistiche), dà un annuncio sorprendente: agli operai viene raddoppiata la paga diaria, che passa da 2,34 a 5 dollari, e viene ridotta da 9 a 8 ore la durata della giornata lavorativa. Per gli operai delle fabbriche di allora, quelle che vediamo anche in Tempi moderni, è una rivoluzione. Tanto forte che nella città dove ha sede la Ford, Detroit, le code di persone in cerca di un lavoro sono talmente lunghe da generare momenti di tensione e disordini. I capitani d’industria statunitensi considerano quella di Ford una mossa sciagurata che rovinerà l’economia capitalista (lo definiscono “un pazzo socialista”). Il quotidiano economico Wall Street Journal accusa Ford di immoralità e di stravolgimento dei principi scritti nella Bibbia. Ma gli eventi gli danno ragione: nel giro di due anni, tra il 1914 e il 1916, i profitti della Ford passano da 30 a 60 milioni di dollari e la vita di migliaia di famiglie migliora sensibilmente. Qual è il segreto di Ford? Secondo l’imprenditore statunitense, pagando meglio i lavoratori si aumenta la loro produttività, ma li si rende anche dei consumatori in grado di acquistare sempre più beni, innescando un circolo virtuoso che fa crescere l’economia e la prosperità di una nazione. La svolta di Ford dà il via alla formazione della classe media americana: i lavoratori sono pagati abbastanza da potersi permettere le automobili che loro stesso producono, come la Model T, la prima auto a conoscere una popolarità di massa. La crisi del ’29 sembra dare una battuta d’arresto al fordismo, cioè il modello produttivo di Henry Ford. Ma come racconta l’economista Andrea Fumagalli, è nel secondo dopoguerra che il fordismo fiorisce. Accade perché uno dei più influenti economisti del secolo, John Maynard Keynes, spinge la politica statunitense a sostenere con l’intervento dello Stato nell’economia il modello economico pensato da Ford.  Tra il 1945 e il 1970 gli Stati Uniti e l’Europa, sotto il paradigma taylorista-fordista-keynesiano conoscono una dei periodi di maggior crescita economica e di benessere della storia. In Italia questo periodo si identifica con il “miracolo italiano”, un periodo di crescita e consolidamento dell’economia che è testimoniato dai film della cosiddetta “commedia all’italiana”: La dolce vita di Federico Fellini, Divorzio all’italiana di Pietro Germi, I soliti ignoti di Mario Monicelli tra gli altri.
In questo video di Rai Scuola l’economista Romano Prodi racconta il passaggio dal modello fordista a quello postfordista nel mondo dell’auto, parlando delle innovazione introdotte all'inizio degli anni '80 del secolo scorso nelle fabbriche giapponesi.
Da Ford a oggi Oggi viviamo nell'era del postfordismo. Con la crescita di un’economia sempre più globalizzata, e sempre più basata sui servizi (deindustrializzazione), a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso la produzione industriale ha subito una nuova mutazione: i consumatori non sono più intere classi sociali ma gruppi di consumatori con gusti mutevoli. Grazie anche all’uso massiccio delle nuove tecnologie digitali, le imprese sono in grado di modificare e adeguare la produzione alle esigenze del mercato: il nuovo paradigma, nella produzione e nell'organizzazione del lavoro, è la flessibilità. Strascichi degli effetti negativi del fordismo sulla vita dei lavoratori, però, permangono in alcune situazioni. Ne sono una testimonianza le denunce di sfruttamento, per esempio, della grande distribuzione internazionale, come ha raccontato un reportage della giornalista Carol Cadwalladr della rivista britannica The Observer e intitolato Gli schiavi di Babbo Natale. La giornalista racconta le difficili condizioni di lavoro a cui sono costretti gli addetti alle consegne di uno degli enormi magazzini da cui si organizzano le spedizioni per un sito di ecommerce. In Italia, forse con la commedia all’italiana nel sangue, un film come Tutta la vita davanti di Paolo Virzì è una rappresentazione a tratti grottesca di come si siano trasformati i paradigmi del lavoro nella nostra società, ma alcune delle critiche al modello taylorista-fordista rimangano di attualità. Le contrattazioni tra gruppi industriali e operai, invece, sembrano aver preso in alcuni casi direzione opposta rispetto a quella indicata da Ford nel 1914. Sullo sfondo della crisi economica che dal 2008 ha colpito tutti i paesi industrializzati si registrano sempre più spesso casi di aziende che chiedono ai propri dipendenti una riduzione dei salari, pena la chiusura o il trasferimento della produzione altrove, con una conseguente perdita di posti di lavoro. Nello stesso filone di pensiero critico verso la rivoluzione del fordismo, si potrebbe dire che sono cambiate le condizioni al contorno, ma è rimasta invariata la scarsa capacità contrattuale della forza lavoro.

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