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La figura maschile nelle campagne contro la violenza sulle donne

Contro la violenza sulle donne sono state realizzate diverse campagne di comunicazione sociale. Come funzionano queste campagne e quali strategie comunicative adottano? In particolare, come ritraggono e si rivolgono agli uomini? 

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Le campagne di comunicazione sociale sono importanti strumenti per contrastare la violenza contro le donne. Si tratta di discorsi che si avvalgono delle tecniche pubblicitarie di persuasione per obiettivi di utilità pubblica e di interesse generale. Lo scopo è promuovere determinati tipi di comportamenti e valori, per produrre un cambiamento che vada a vantaggio della collettività.

Gli attori che si fanno promotori di campagne sociali sono diversi: le istituzioni pubbliche, il terzo settore, i brand commerciali.

Analizzare le campagne di pubblicità sociale

Per comprendere meglio il significato e gli obiettivi di una campagna di pubblicità sociale ci si può chiedere chi la propone e a chi si rivolge, qual è il messaggio che viene trasmesso e il tipo di sentimento (o azione concreta) che si vuole suscitare.

Punto di partenza è l’analisi del testo e delle immagini scelte per la comunicazione: che cosa rappresentano, che soggetti e situazioni mettono in scena. Per esempio, l’atto o gli effetti della violenza sono mostrati e raccontati direttamente, oppure solo in modo allusivo?

Più a fondo, ci si può chiedere come sono raccontate le dinamiche della violenza. Si può cercare di capire se vengono mostrati un soggetto attivo (l’uomo) e una donna passiva, vittima, oppure se alla donna è attribuita una capacità di reazione. È importante anche considerare il punto di vista da cui si racconta: quello della donna su cui viene agita violenza, quello di una persona esterna che le offre aiuto, oppure quello dell’uomo.

Da questa analisi potrà emergere quale visione della violenza di genere e delle diverse soggettività coinvolte è sottesa alla campagna. La violenza contro le donne è un fenomeno complesso, sistemico e pervasivo che si regge su pregiudizi e stereotipi diffusi. Ci si può quindi chiedere se, oltre alla doverosa condanna del fenomeno in quanto tale, ci sia anche l’obiettivo di proporre visioni non stereotipate, che promuovano una lettura diversa delle relazioni e portino a un cambiamento culturale profondo.

Un possibile percorso di lettura delle campagne contro la violenza sulle donne è quello che analizza la presenza (o meno) della figura maschile: qual è il suo ruolo? Oltre ad essere il soggetto che agisce violenza, gli viene chiesto di attivarsi nel contrastarla? Facciamo alcuni esempi tratti da campagne nazionali.

L’uomo che non c’è

Lacrime, sangue, lividi, donne con occhi neri, rannicchiate in un angolo, sole o sovrastate da una figura scura e minacciosa. Donne che non possono parlare, rappresentate con una mano davanti alla bocca, la bocca cucita o altre variazioni sul tema.

Spesso la rappresentazione delle donne che hanno subito violenza ne ha mostrato i corpi segnati, dipingendole come deboli, annientate, incapaci di reagire. Come nella campagna “La violenza sulle donne non ha scuse” (Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2012): la donna è sola in uno spazio pubblico, il suo viso riporta palesi segni di violenza, mentre lei ripete nella sua testa possibili giustificazioni (“sono caduta”, “ho sbattuto contro gli sci”). L’uomo è assente non solo dalla scena, ma anche dalla ricostruzione.

Dell’uomo sentiamo solo la voce nella campagna “100% contro la violenza sulle donne” (Dipartimento per le Pari Opportunità, 2015). Nello spot, voci maschili fuori campo pronunciano frasi aggressive e sminuenti. Intanto vediamo immagini di donne impegnate in attività quotidiane, apparentemente ignare della minaccia. L’obiettivo è sottolineare che la violenza non è solo fisica, ma anche verbale, e può emergere in molti momenti della vita di una donna.

Questa impostazione viene ripresa in una campagna della Regione Lazio, “#nonseisola” (2023). Nello spot video, una voce maschile fuori campo pronuncia frasi violente, che appaiono scritte sullo schermo. A fermarle è una donna, la testimonial Nancy Brilli, che le cancella con un tratto rosso. Infine Brilli tende la penna verso chi osserva: è una comunicazione da donna a donna, volta a trasmettere un’offerta di aiuto e sostegno. Viene suggerito un atteggiamento attivo di reazione, ma rimane un’opposizione tra uomo, che agisce violenza, e donna, a cui è affidato il compito di uscirne, anche in alleanza con altre donne.

L’uomo diventa visibile quando viene mostrato mentre commette violenza: i video della campagna “Sblocca il coraggio” (Dipartimento per le Pari Opportunità, 2017) rappresentano un dialogo tra amiche, durante il quale una delle due inventa una scusa per non essersi presentata ad un appuntamento la sera prima. Le immagini smentiscono il racconto, mostrando che sono state bloccate dall’aggressività di un uomo. Sul finale, la donna che ha subito violenza viene convinta dall’altra a denunciare. 

Questo paradigma individua un’opposizione vittima/carnefice che viene menzionata in modo esplicito nella campagna della Regione Lazio, “#dallapartedelledonne” (2018), il cui slogan recita: “Le vittime: milioni di donne. I carnefici: milioni di mezzi uomini”. In primo piano una donna che guarda verso di noi, mentre dietro di lei incombe una figura maschile scura e sfocata. L’uomo rimane non visibile, quasi una figura da esorcizzare. Il testo lo definisce un “mezzo uomo”: il messaggio che viene lanciato è che chi esercita violenza non sia un uomo “vero”.

Eppure, la rappresentazione delle dinamiche di genere sottesa alla campagna sembra rispecchiare proprio l’idea stereotipata della donna debole e indifesa di fronte all’uomo forte e minaccioso. Sembra mancare il riconoscimento che proprio il modello dominante della mascolinità assegna all’uomo la facoltà di prevalere, moralmente e fisicamente, sulla donna, e serve invece elaborare nuovi modelli di relazione.

La scelta di rendere “invisibile” l’uomo, si ritrova anche nella campagna La violenza ha mille volti. Impara a riconoscerli” promossa nel 2010 da Anna Paola Concia, Alessandra Bocchetti ed Eliana Frosali e “adottata” da vari soggetti pubblici e privati, tra cui il Dipartimento per le pari opportunità (2013). Nei diversi manifesti, una donna sorridente è abbracciata a un uomo, il cui volto è coperto da un riquadro nero che ripete lo slogan che dà il titolo alla campagna. Sopra le due figure sono riportate frasi che hanno l’obiettivo di aiutare la donna a riconoscere le diverse forme di violenza e a reagire ad esse. Per esempio: “Un uomo violento non merita il tuo amore. Merita una denuncia”; “Gli schiaffi sono schiaffi. Scambiarli per amore può farti molto male”. L’uomo è presente nelle immagini, abbraccia la donna a testimoniare una forte prossimità con lei, ma il suo volto è volutamente cancellato. Al centro c’è ancora la figura femminile, che deve riconoscere la violenza e denunciarla.

Le figure maschili nelle campagne

Se numerose campagne si rivolgono alla donna chiedendo di attivarsi per iniziare un percorso di fuoriuscita dalla violenza, alcune assumono il punto di vista degli uomini e parlano prevalentemente a loro.

Ne è un esempio il progetto NoiNo.org (Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna), nato nel 2011 come campagna di sensibilizzazione sociale. Diversi uomini famosi hanno fatto da testimonial della campagna. Fotografati con lo sguardo in macchina e la postura decisa, sono affiancati sul manifesto da frasi che descrivono le diverse tipologie di violenza, fisica e verbale e da una chiara presa di posizione: “noi no”. Al lancio della campagna, il sito del progetto lanciava agli uomini una chiamata all’azione precisa, fungendo da punto di aggregazione per coloro che volevano opporsi pubblicamente alla violenza sulle donne.

La necessità di un’assunzione di responsabilità da parte dell’uomo è al centro della più recente campagna #laviolenzamiriguarda della Cooperativa sociale Agorà Coop, finanziata dal Dipartimento delle Pari Opportunità (2023). Il claim è molto chiaro: “la violenza sulle donne riguarda tutti. Ogni uomo può contribuire a prevenirla, evitarla, rifiutarla”. Le immagini sui manifesti sono primi piani di uomini che si rivolgono a noi con sguardo fermo. Accanto a queste fotografie sono riportate frasi che esprimono i loro pensieri: “potrebbe essere mia madre”, “… mia moglie”, “… mia sorella”.

L’obiettivo è far capire che la violenza sulle donne è un problema che riguarda tutti i membri della società, inclusi gli uomini. Come riportato sul sito della Cooperativa, il claim sottolinea che nessun uomo può restare indifferente “in quanto le donne sono potenzialmente a rischio, quindi anche quelle che rientrano nella sfera degli affetti: madri, sorelle e compagne”. Il richiamo all’ambito più intimo vuole dare concretezza all’idea di pervasività della violenza, ma rischia di risultare ambiguo e suggerire che il problema diventi davvero rilevante solo se tocca direttamente le persone più care.

Altre campagne trasmettono un messaggio che agisce ancora più in profondità, suggerendo che l’atto violento sia potenzialmente agito da ogni uomo, in una cultura intrisa di stereotipi che condizionano l’idea di mascolinità e gli atteggiamenti che ne derivano. Questo perché la violenza si insinua in moltissimi risvolti delle relazioni quotidiane tra uomini e donne.

In questa direzione va il lavoro di Maschile Plurale, Associazione che si rivolge agli uomini per promuovere una cultura che superi il maschilismo e il sessismo. La campagna “Riconoscersi uomini – Liberarsi dalla violenza” (campagna di Maschile Plurale del 2014) mostra immagini di diverse situazioni quotidiane in cui tra uomo e donna si profila una conflittualità a rischio violenza: si permette di identificarle, ma invece che mostrare la dinamica violenta si suggerisce una possibile risposta positiva al conflitto. “Ti rispetto anche se hai deciso di lasciarmi. Lello”; “È sempre difficile ripartire. Ti ricordo con affetto. Peppe” sono due frasi che si concentrano sul momento critico della fine della relazione, suggerendo un’alternativa all’idea dell’ex geloso e violento.

La campagna social #parlacontrolaviolenza, promossa da Maschile Plurale nel 2024, si spinge ancora oltre nel mettere in discussione la cultura su cui si innesta la violenza. Punto di partenza sono alcune frasi fatte che esprimono sessismo e maschilismo, agendo dinamiche violente in situazioni molto comuni della vita familiare, sociale, lavorativa: “Dove vai tutta sola?”; “Chissà a chi l’ha data per avere quel ruolo”; “Non ce l’hai solo tu”. La chiamata all’azione è esplicita: “Dì la tua contro la violenza maschile sulle donne”. Viene infatti chiesto alle persone, soprattutto uomini, di dire come risponderebbero a quelle frasi. L’obiettivo è suscitare un impegno nel quotidiano per smontare gli stereotipi sessisti e l’aggressività che sottendono.

Un nuovo destinatario: uomini che agiscono violenza

Il riconoscimento dell’uomo come soggetto attivo nel contrasto alla violenza permette di fare un altro passaggio: rivolgersi direttamente agli uomini maltrattanti. Il termine non è casuale: non si parla di “uomini violenti”, rendendo la violenza una caratteristica essenziale e non superabile, ma ci si concentra su un insieme di azioni violente, da cui può comunque scaturire un cambiamento.

Stai usando violenza? C’è sempre un altro modo” recita la campagna del Centro Senza Violenza di Bologna (2019), che supporta uomini che hanno avuto comportamenti violenti. Sui manifesti, un uomo di spalle è riflesso in uno specchio insieme a una donna. Il suo sguardo è rivolto verso di noi, non è fiero ma sembra chiedere aiuto. Il testo riporta i pensieri dell’uomo, che ha riconosciuto la violenza e vuole liberarsene: “Non voglio che abbia paura di me”; “Le ho messo le mani addosso. Non voglio più farlo”; “Insulti umiliazioni minacce. Voglio smettere”. L’obiettivo è far comprendere che l’uomo è un soggetto attivo nel superamento della violenza, a partire da un lavoro su stesso, cui lo specchio del manifesto rimanda in modo simbolico.

Ma essere aggressivo con la propria compagna è un problema? Chiedo per un amico” recita la campagna della Regione Emilia-Romagna (2023) che ha l’obiettivo di far conoscere i percorsi di trattamento rivolti agli uomini autori di violenza di genere. Il testo, accompagnato dalla foto di un uomo che guarda dritto verso chi osserva, riconosce la difficoltà di confrontarsi con se stessi e ammettere pubblicamente le proprie responsabilità (l’espediente del rimando all’amico), ma nello stesso tempo fa un invito molto chiaro: “Se l’amico sei tu, possiamo aiutarti”.

In queste campagne l’uomo che agisce violenza non è un “mostro” da lasciare nell’ombra o da cancellare deliberatamente, ma un interlocutore con cui provare a operare un cambio di prospettiva. Non c’è una distinzione netta tra “carnefici” che agiscono violenza e uomini “per bene” che si professano contro di essa, ma il riconoscimento che tutti sono chiamati a ripensare se stessi e il proprio modo di agire la propria mascolinità, nella sfera intima così come in quella sociale.

Per analizzare la presenza del maschile in altre campagne di comunicazione sociale contro la violenza sulle donne, si può partire da questo dossier che elenca esperienze nazionali e internazionali: https://www.whitedove.it/joomla/PDF/Dossier-verso-un-patto-2.pdf

Bibliografia

Comunicattive, Violenza di genere e comunicazione: un focus sugli uomini, https://comunicattive.it/campagne-di-genere/violenza-di-genere-e-comunicazione-un-focus-sugli-uomini/.

Oddone Cristina, “Invisibili e muti. Gli uomini e la comunicazione sulla violenza maschile contro le donne” in Bozzoli Alessandra, Merelli Maria e Ruggerini Maria Grazia, Il lato oscuro degli uomini. La violenza maschile contro le donne: modelli culturali di intervento, Ediesse, Roma, 2013, pp. 301-316.

Polizzi Gabriella, “Prevenire la violenza contro le donne attraverso i media: il caso delle campagne di comunicazione sociale del Governo italiano”, in Media Education 15(1): 5-15, 2024, https://oaj.fupress.net/index.php/med/article/view/13302.


Crediti immagini: gajus – 123RF

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