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L’autobiografia: la riscrittura dei ricordi

L'autobiografia come atto terapeutico: filosofi e psicoanalisti hanno visto nell'autobiografia una riscrittura critica e complessa dei ricordi, che sono elemento primario nel definire l'io di una persona, la sua più profonda essenza. Metterli insieme in un'autobiografia non significa descriverli in modo asettico, ma rileggerli e appunto riscriverli in una costante ridefinizione dell'io
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L’autobiografia: la riscrittura dei ricordi Sigmund Freud si era accorto che la parola era una delle chiavi per accedere alla psiche dei pazienti e aveva messo a punto un metodo di analisi che partiva dalle libere associazioni di pensieri e parole. Non gli sfuggiva però l’importanza che la parola scritta poteva svolgere. Nel rileggere la sua autobiografia (1925) una decina di anni dopo averla terminata, egli riscrive qualcosa di sé e precisa come i suoi interessi siano andati allontanandosi dalla psicoanalisi vera e propria per diventare sempre più filosofici. Freud, quindi, nel compilare una semplice postilla alla ripubblicazione della sua autobiografia, si rende conto di quanto il proprio animo è mutato, ma anche di come alcune delle sue attuali propensioni intellettuali covassero da tempo sotto la cenere. Anche un’autobiografia, quindi, talvolta andrebbe riscritta.  

Scrittura e inconscio

La psicoanalisi non ha impiegato molto a capire che la scrittura può avere un ruolo importante in un percorso di autoanalisi. Scrivere e riscrivere, infatti, costituiscono un’operazione complessa, che riguarda in profondità l’identità, la memoria, le emozioni di chi scrive. A questo proposito, il filosofo e psicanalista francese Jacques Lacan (1901-1981) sostiene che l’attività dell’inconscio è una forma di scrittura, nel senso che l’inconscio scrive sé stesso – potremo forse dire – generando tracce mnemoniche che restano sepolte in profondità.
Nel link seguente trovi una breve biografia di Lacan http://www.treccani.it/enciclopedia/jacques-lacan/
A partire da questa suggestione immaginiamo la nostra memoria come un insieme di segni, a cui possiamo attingere, soprattutto quando un’altra componente di noi, l’Io, vuole provare a raccontare se stesso. Scrivere in senso proprio, ossia prendere in mano carta e penna o più modernamente attivare un programma di videoscrittura, e articolare pensieri a proposito di sé, appartiene da secoli alla nostra cultura ed è una sorta di tecnica di cura di se stessi, come suggeriva il filosofo francese Michel Foucault: per filosofi dell’antichità come Seneca e Marco Aurelio, scrivere a proposito di se stessi era un vero e proprio atto terapeutico.  

L’autobiografia come atto terapeutico

Prendendo spunto da questa intuizione, Duccio Demetrio, professore di filosofia dell’Università Bicocca di Milano, ha riflettuto sull’esperienza del racconto di sé (Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina editore, Milano 1996; Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sé, Raffaello Cortina editore, Milano 2003). Il racconto di sé parte dai ricordi, che non sono elementi secondari nella costituzione della propria identità, ma al contrario ne sono il nucleo profondo. Il racconto autobiografico è una riscrittura proprio di tali ricordi, non una semplice trasposizione di essi su carta. Nel momento in cui questi ricordi diventano un testo esterno, passano attraverso un’operazione complessa durante la quale l’intelligenza retrospettiva collega un certo ricordo ad altri, trova un filo logico, lega cause ed effetti: in questo modo, spiega Demetrio, chi scrive un’autobiografia dona un senso ai propri ricordi. In poche parole, potremmo dire che riscrive la trama dei propri ricordi. Se ci accingiamo a scrivere un’autobiografia, infatti, in modo retrospettivo individuiamo una sequenza precisa dei ricordi, li ordiniamo secondo un senso, una pregnanza.
Nel link seguente trovi un intervento di Duccio Demetrio a proposito dell’autobiografia https://www.youtube.com/watch?v=1RGRbUkmMIc
Anche se i risultati possono essere assai diversi, l’autobiografia è un genere letterario accessibile a chiunque, perché tutti noi abbiamo una biografia. Con la libertà di scrivere, cancellare e riscrivere, e di usare tutti i mezzi possibili per annotare pensieri e ricordi, chi si accinge a scrivere la propria autobiografia inizia una forma di autoanalisi (che lo scrivente sia un paziente o non lo sia) e scopre la propria ricchezza interiore, entrando in un territorio nello stesso tempo familiare (perché è la propria mente), ma anche inesplorato (perché molti ricordi emergono da oscure profondità della memoria).   Scrivere e riscrivere Scrivere di sé è quindi un’operazione ben diversa dall’inventare un romanzo o raccontare un fatto di cronaca. L’autobiografia costringe a riannodare i propri ricordi, imbastendo in forma nuova la trama del proprio passato. Ma come autoanalisi, essa modifica il soggetto che la pratica, donandogli una maggior consapevolezza di sé e nello stesso tempo rendendolo più curioso delle vite degli altri, afferma Demetrio. La riscrittura del proprio passato, quindi, sembra recare con sé anche una ridefinizione di parti significative della propria identità. È ciò che accade, per proporre un esempio celebre, in una delle più grandi autobiografie della storia, le Confessioni di Agostino di Ippona. Nel ripercorrere il proprio passato, Agostino disegna il percorso che lo ha portato alla sua condizione attuale di credente e a una riflessione sulla volontà e le sue debolezze: una riscrittura del proprio passato che definisce l’identità attuale del filosofo. Crediti immagini: jen, flickr ed Enrico, flickr
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