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La memoria digitale della Shoah

Elisa Mandelli ci guida tra i vari strumenti della memoria e tra le varie rappresentazioni nei media della Shoah. Musei, libri, podcast, siti, mostre e video hanno raccontato a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale questo tremendo momento della storia umana.

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La trasmissione della memoria della Shoah è strettamente legata alle possibilità di registrazione e comunicazione offerte dai media. Libri, film, programmi televisivi, sono stati nel tempo incaricati di fissare e raccontare le esperienze vissute da chi aveva subito persecuzioni e deportazioni durante la Seconda guerra mondiale. Come si evolvono nella contemporaneità gli strumenti e i linguaggi tramite cui si mantiene vivo nelle nuove generazioni il ricordo dell’Olocausto? E qual è il ruolo dei media digitali in questi processi?

L’“era del testimone” e le testimonianze audiovisive

A partire dagli anni Settanta hanno preso avvio diversi processi di raccolta sistematica delle testimonianze delle persone sopravvissute allo sterminio ebraico. Queste hanno iniziato a circolare nello spazio pubblico in maniera talmente massiccia che la studiosa Annette Wieviorka ha parlato di “era del testimone”: una fase caratterizzata da un “imperativo sociale della memoria”, che impone al sopravvissuto il dovere morale di testimoniare.

Per la studiosa, tale “dovere di testimonianza” è diventato problematico nel momento in cui ha saturato i discorsi sulla Shoah di una miriade di memorie individuali, per loro stessa natura imprecise e parziali, che tendevano a sostituirsi all’oggettività del racconto storico. Il dibattito sui rapporti tra storia e memoria si è sviluppato in maniera accesa e articolata, ma non ha impedito che le testimonianze venissero considerate una risorsa preziosa e meritevole di essere conservata. E il video è diventato uno dei mezzi privilegiati per immortalare storie, voci, volti.

Nel 1979, a New Haven (Connecticut), è stato avviato un pionieristico progetto di registrazione video delle testimonianze delle persone sopravvissute all’Olocausto, che nel 1981 è diventato parte della biblioteca dell’Università di Yale e ha preso il nome di Fortunoff Video Archive for Holocaust Testimonies (https://fortunoff.library.yale.edu/). Nel corso degli anni, in sinergia con altri progetti disseminanti nel mondo, l’archivio ha raccolto più di 4000 testimonianze. Le interviste sono state effettuate da personale appositamente formato, che interveniva con più discrezione possibile, per lasciare centralità al riemergere della memoria e al dispiegarsi del racconto.

In seguito sono state realizzate numerose altre iniziative di raccolta delle testimonianze della Shoah. Tra le più importanti vi è l’USC Shoah Foundation Institute for Visual History and Education (https://sfi.usc.edu/), creata nel 1994 da Steven Spielberg, regista del celebre film sull’Olocausto Schindler’s List (1993). La fondazione si è data un’organizzazione rigorosa, di taglio quasi industriale, raccogliendo testimonianze in tutto il mondo tramite una fitta rete di volontari e volontarie, disponibili a raccontare la propria storia o registrare quella di testimoni. Si è andato così costituendo un imponente “archivio di storia visiva” (https://vha.usc.edu/) che conta ormai circa 56.000 videotestimonianze, le quali includono esperienze legate ad altri eventi traumatici che hanno segnato il Ventesimo e il Ventunesimo secolo, come i genocidi in Armenia, Cambogia e Rwanda, o i recenti eventi in Siria.

I materiali prodotti dalla fondazione si caratterizzano per una forte omogeneità, dovuta a un protocollo di registrazione molto preciso, che attribuisce a chi intervista il ruolo di strutturare l’incontro e di organizzare i tempi del racconto (che dura sempre circa due ore), oltre che il suo taglio: la prospettiva deve essere quella di un’eredità positiva che passa da chi parla a chi ascolta. Non a caso, molte delle testimonianze si concludono con la famiglia che raggiunge la persona intervistata, segno di una vita che è continuata dopo l’orrore dell’Olocausto.

Bibliografia
Annette Wieviorka, L’era del testimone, Raffaello Cortina, Milano, 1999.

Per approfondire
La metodologia di raccolta delle testimonianze l’USC Shoah Foundation Institute: https://sfi.usc.edu/collections/methodology

La memoria online

L’impegno nella raccolta delle memorie va di pari passo con quello della loro trasmissione: le moltissime testimonianze registrate sono state nel tempo proposte in film documentari, programmi televisivi, progetti didattici, esposizioni museali. I linguaggi utilizzati si sono aggiornati man mano, nel tentativo di mantenere viva la comprensione degli eventi in generazioni sempre più distanti da quella che ha li vissuti.

In tempi recenti i media digitali hanno assunto un ruolo centrale in questo processo. Gli archivi che abbiamo già menzionato, ad esempio, hanno costruito dei siti web che consentono insieme di accedere alle proprie risorse e di approfondirne il contesto storico, facendo appello ai format di divulgazione e ai linguaggi più aggiornati.

Il sito web del Fortunoff Video Archive for Holocaust Testimonies offre numerose risorse a chi voglia conoscerne meglio il patrimonio (https://fortunoff.library.yale.edu/education/): si possono consultare i video delle interviste, sia in forma integrale che appositamente montate, o ancora in edizione critica, con commenti e contestualizzazione storica. Sono inoltre a disposizione dei podcast e delle risorse didattiche pensate per le scuole. Gli strumenti di ricerca nell’archivio (https://yale-fortunoff.github.io/metadash/) si strutturano attraverso rappresentazioni grafiche che mirano a renderne la consultazione più immediata e accessibile a chiunque.

Lo stesso vale per il sito web dell’USC Shoah Foundation Institute for Visual History and Education (https://sfi.usc.edu/), le cui risorse sono accessibili tramite un sito web che sfrutta tutte le potenzialità dei linguaggi multimediali, organizzate in archivi online, mostre virtuali, linee del tempo, percorsi educativi.

In Italia, la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (https://www.cdec.it/) offre online risorse digitali per lo studio della storia ebraica, mostre digitali e mappe georefenziate che tracciano arresti e deportazioni subiti dalle persone ebree. 

Per approfondire
I podcast e le risorse didattiche del Fortunoff Video Archive: https://fortunoff.library.yale.edu/education/podcasts/, https://fortunoff.library.yale.edu/curriculum/

I percorsi educativi dell’USC Shoah Foundation Institute for Visual History and Education https://www.teachingwithtestimony.com/

Le testimonianze nel museo

Un altro dei luoghi in cui spesso sono mostrate le videotestimonianze sono i musei di storia. Le immagini e parole di chi ha vissuto gli eventi sono trasmesse da schermi incastonati nelle esposizioni accanto a documenti, oggetti, pannelli informativi, fotografie.

Ad esempio, le interviste realizzate dalla fondazione di Spielberg sono mostrate nell’installazione chiamata “Tree of Testimony”, che chiude il percorso di visita del Los Angeles Museum of the Holocaust. Questa parte dell’esposizione è composta da circa settanta schermi di diverse dimensioni, disposti in una struttura che richiama un albero stilizzato. Ciascuno schermo ospita una testimonianza: il visitatore o visitatrice può sceglierne una tramite l’audioguida, fermandosi ad ascoltarla nelle cuffie.

I racconti testimoniali sono al centro anche dell’allestimento del Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà di Torino. Il museo è costituito da un percorso permanente interamente multimediale, “Torino 1938-1948. Dalle leggi razziali alla Costituzione”, in cui videotestimonianze, fotografie e filmati d’archivio rievocano la vita quotidiana durante la guerra, l’occupazione tedesca, la Resistenza e il ritorno alla democrazia.

I volti dei e delle testimoni sono proiettati su schermi disseminati lungo l’esposizione. Quando chi visita il museo vi si avvicina, iniziano a raccontare la propria storia. La persona che parla e quella che ascolta sono collocate faccia a faccia, come in un dialogo. Il modo in cui i video sono inseriti nello spazio espositivo enfatizza l’importanza della reciprocità nella trasmissione della testimonianza, sottolineando come chi ha vissuto gli eventi ne consegni la memoria alle generazioni successive.

Per approfondire
Il Tree of Testimony sul sito del Los Angeles Museum of the Holocaust: https://www.holocaustmuseumla.org/tree-of-testimony

Il sito del Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà di Torino: https://www.museodiffusotorino.it/

Anne Frank e le nuove generazioni

Anne Frank è sicuramente uno dei personaggi più iconici dell’Olocausto, e la sua storia è stata nel corso dei decenni oggetto di innumerevoli rielaborazioni, in una molteplicità di media.

Il suo diario, pubblicato dal padre nel 1947, è diventato nel 1955 uno spettacolo teatrale e nel 1959 un film, diretto da George Stevens. Nel 1979 ne è stata realizzata la prima versione animata, diretta dal giapponese Eiji Okabe, e in tempi recenti Ali Folman ne ha creato un nuovo adattamento, Anna Frank e il diario segreto (2016). Ci sono poi una quantità di riscritture letterarie, programmi televisivi, progetti artistici e musicali: un vero proprio “fenomeno Anne Frank”, come hanno scritto Barbara Kirshenblatt-Gimblett e Jeffrey Shandler, che ha avuto una capillare e duratura penetrazione nell’immaginario popolare, in tutto il mondo.

Una longevità a cui ha contribuito il fatto che la storia della ragazza sia stata trasposta in linguaggi sempre nuovi e aggiornati. Come avviene ad esempio al Museum of Tolerance di Los Angeles, dove ad Anne Frank è dedicato un intero percorso espositivo multimediale. La mostra si snoda attraverso diverse sale con pannelli informativi, installazioni fotografiche, dispositivi interattivi e schermi con filmati d’archivio. Alcune vetrine contengono oggetti d’epoca e una riproduzione del diario. L’ingresso avviene per piccoli gruppi e tutta la visita è accompagnata da registrazioni dei brani scritti dalla ragazza, interpretati da una giovane attrice, Hailee Steinfeld.

L’allestimento culmina nel “Secret Annex”, uno spazio immersivo dalle pareti ricurve, che evoca la stanza di Anne nel rifugio in cui la sua famiglia ha vissuto dal 1942 al 1944. Vi si accede, come fecero i Frank, tramite una fessura nascosta dietro una libreria. L’ambiente è chiuso, insieme intimo e claustrofobico. Visitatori e visitatrici si posizionano al centro della stanza e si avvia la proiezione: sui muri si muovono le ombre di Anne e degli altri occupanti della casa, intenti a vivere frammenti della loro difficile quotidianità, mentre in sottofondo suggestivi effetti sonori evocano la minaccia della guerra. Si tratta di scelte espositive che si allineano alla tendenza contemporanea a rendere il museo uno spazio sempre più multimediale e spettacolare, puntando sul coinvolgimento emotivo di chi lo visita. 

A virare ancora di più verso i recenti linguaggi della comunicazione è l’Anne Frank House di Amsterdam. Nell’ambito delle sue iniziative educative, l’istituzione ha promosso un progetto che narra la storia di Anne partendo da un deliberato anacronismo: si immagina infatti che non le sia stato regalato un diario, ma una videocamera. Ne nasce l’Anne Frank Video Diary (https://www.youtube.com/playlist?list=PLDwwb2V397Q6192UeDFpcNuSoK8uS1cgz), quindici episodi di circa cinque minuti che narrano la vita all’interno del rifugio attraverso lo sguardo della ragazza. Oltre a scene di vita comune, sono molto frequenti i momenti in cui Anne volge l’obiettivo verso sé stessa e si racconta, con una forma comunicativa che richiama da vicino quella utilizzata sui social media. I video di natura narrativa sono accompagnati da risorse e approfondimenti per insegnanti che vogliano utilizzarli in classe, a ribadire il forte intento didattico.

Come si legge sul sito stesso dell’istituzione (https://www.annefrank.org/en/museum/web-and-digital/video-diary/faq-anne-frank-video-diary/), l’iniziativa è pensata per un target di persone giovani, «che con poca probabilità prenderanno in mano un libro, ma che guardano i video sui social media».

Il progetto del videodiario di Anne Frank condivide con le altre esperienze descritte in questo articolo un interrogativo di fondo: come fare in modo che una memoria così importante per l’umanità possa continuare a essere tramandata in maniera significativa per le generazioni che man mano si avvicendano? Aggiornare le modalità di trasmissione è tradire l’autenticità di quanto è accaduto? Oppure, al contrario, perché la memoria resti viva, una modalità di racconto deve rimpiazzare l’altra, ormai poco efficace? Molte delle iniziative portate avanti dalle istituzioni della memoria, dimostrano tuttavia che per allinearsi con il presente e i suoi linguaggi non è necessario pensare per sostituzioni, quanto piuttosto mettere in dialogo media, forme espressive, supporti della memoria, e con essi le generazioni che se ne servono per comprendere e costruire il mondo in cui vivono.

Bibliografia
Barbara Kirshenblatt-Gimblett, Jeffrey Shandler (a cura di), Anne Frank Unbound. Media, Imagination, Memory, Indiana University Press, Bloomington, 2012.

Per approfondire
L’esposizione dedicata ad Anne Frank al Museum of Tolerance: https://www.museumoftolerance.com/visit/exhibits/visit-anne-frank-exhibit/

Le risorse educative collegate al videodiario di Anne Frank: https://www.youtube.com/annefrank, https://www.annefrank.org/en/education/product/152/anne-frank-video-diary-in-the-classroom-primary-ed/

Crediti immagine: cbies, 123rf.com

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