Ogni 27 gennaio si celebra nel mondo la Giornata della memoria. La data rimanda al 27 gennaio del 1945, quando le truppe sovietiche entrarono ad Auschwitz, rivelando al mondo l’orrore del genocidio nazista.
Le democrazie europee hanno accolto la memoria di quel giorno nel loro pantheon laico, come monito per il futuro e ricordo delle vittime.
Ma, allora, come si pongono quelle stesse democrazie nei confronti di coloro che negano, in modo grossolano e antiscientifico, la realtà storica dell’Olocausto? È giusto che il diritto intervenga in modo punitivo, per arginare il risveglio di ideologie che hanno portato ad atrocità estreme e si pongono in conflitto insanabile con i fondamenti democratici? Oppure in democrazia, in nome della libertà di pensiero, qualsiasi tesi deve poter essere espressa, anche se sbagliata o deprecabile, e spetta al dibattito pubblico – e non alla legge – il compito di mostrarne l’infondatezza e debellarla?
Che strada hanno scelto i paesi europei e l’Italia?
In breve, su quali equilibri si è andato delineando l’intreccio tra storia, memoria e diritto?
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